Nell’agosto del 2014, Giuseppe Caimmi ha registrato una lunga intervista con il pittore e illustratore Giuseppe Festino, disegnatore storico della rivista Robot per cui ha collaborato anche nella versione prodotta dalla Delos. Giuseppe Festino si dedica alla riproduzione di una copertina di Urania N. 72 disegnata da Kurt Caesar.
Kurt Caesar fu disegnatore e pittore notissimo in Italia nel primo periodo di Urania. Riprodurre Caesar è un esercizio che piace molto al “nostro”. L’intervista è divisa in origine in quattro parti, che noi abbiamo mantenuto. Ecco qui la prima parte.
F.G.
Buongiorno a tutti. Le mani che state guardando sono chiaramente le mani di un artista, e, per gli appassionati di fantascienza, dovrebbero essere amate tantissimo, perché i in tanti anni hanno donato gioielli meravigliosi, disegni, illustrazioni in bianco e nero e a colori: si tratta delle mani di Giuseppe Festino, colui che ha dato tantissimo alla fantascienza italiana, ed il cui nome in una futura storia della fantascienza avrà sicuramente uno spazio notevole. Stiamo per assistere alla creazione di un’opera come vedete a colori; in particolare Giuseppe farà la copia fedele di una copertina di Urania prima serie. Il numero 75 ha come titolo Operazione Centauro, ed è romanzo di lee Correy. Sappiamo che l’autore di questa copertina fu il mitico Kurt Caesar, nome che deve significare tantissimo e che per il nostro Giuseppe Festino rappresenta colui che lo ha lanciato nel mondo della fantascienza dandogli quelle emozioni che lo hanno reso quello che è stato. Vuoi dire qualcosa Giuseppe?
Qui non intendo dare una lezione su come si dipinge, io lavoro con tutta la spontaneità possibile e con quel corredo di nozioni che ho costruito in completa autonomia da quando tredicenne incontrai per la prima volta le copertine e i romanzi di Urania. Mi innamorai di queste immagini, della fantascienza e questa malattia me la porto dietro da quando vidi appunto queste prime copertine i cui fascicoli mi vennero regalati da un vicino.
Che cosa ti colpì in particolare, cosa ti trasmisero?
La prima cosa fu il colore e contemporaneamente la bizzarria dei soggetti. Ero già attirato da tutto quello che poteva essere colore, immagini fantastiche, quindi giocoforza queste cose mi sedussero e cercai di replicarle. Alla terza immagine che vidi di questi bellissimi romanzi, bellissimi in quanto a estetica, perché non avevo letto nulla del contenuto, quindi non potevo sapere alcunché delle storie ,ma intuirne solo la bizzarria. Se le copertine rispecchiavano in minima parte quello che era il testo, allora la storia doveva essere qualcosa di fuori dall’ordinario. Queste immagini tanto evocative mi catturarono, in particolare la copertina del romanzo Deserto dei mostri (Urania n°114, di Eric North), che dovevo restituire, non potendo tenerlo come i primi due che mi avevano regalato. Provai così a ricopiarlo e quello fu il mio primo esercizio pratico di pittura fantascientifica. Seppi in seguito, mentre osservavo questi lavori, che erano stati realizzati a tempera. Io invece da ragazzino il materiale di cui sentivo più parlare era l’acquarello, tanto è vero che me ne ero comprato una scatola, quelli non a tubetto ma a pastiglie solide, che andavano diluite con un po’ d’acqua. Trattavo il colore come se fosse materia densa, non esattamente come avrei dovuto fare essendo acquarello, che si stende per velature, con pennellate molto delicate. Riuscii a fare qualche cosa che all’epoca mi sembrava strepitoso; non era dello stesso formato, perché non mi ero preoccupato di rispettare il formato della copertina né immaginavo, nella mia ingenuità, che gli originali sono di solito di misura maggiore del prodotto stampato. Di conseguenza adattai dei fogli che utilizzavo a scuola per disegni e cose di questo genere e feci del mio meglio deformando un po’ l’immagine per rendere gli effetti cromatici al meglio. Poi mi capitarono altre immagini, fino a quando non scoprii che avevo la possibilità di comprare tutti i fascicoli che avrei desiderato e che mi mancavano, praticamente iniziare da capo; poi smisi di copiare, però nel frattempo ne avevo dipinti una trentina il che mi permise di fare un notevole esercizio come se l’autore, Caesar a sua insaputa mi avesse dato lezione di pittura. Era una lezione che interpretavo con mio intendimento privato senza stare a pensare quali potessero essere i canoni migliori, però questo mi veniva e questo riuscivo a fare e fu la prima volta. Non ho ancora smesso, la voglia c’è sempre, e questo è una bella occasione per fare un piccolo esercizio, un piccolo ritorno al passato.
Quindi, se ho capito bene, ciò che ti ha colpito soprattutto nelle opere di Kurt Caesar è stato l’uso del colore e il montaggio delle scene particolari.
È verissimo. Innanzitutto il colore e, immediatamente dopo, il tipo di soggetto che le copertine stesse mostravano. Non era tanto una questione di mostri o di astronavi o di paesaggi insoliti, quanto questo modo fantastico di proporre un’immagine che non si era mai visto prima.
Quindi sotto questo aspetto Caesar è stato un innovatore.
Un innovatore senz’altro per quanto riguardava l’arte editoriale italiana e la stessa fantascienza che il lungimirante Giorgio Monicelli propose per la prima volta, anche se erano almeno cinque anni che stava meditando di realizzare una pubblicazione che riprendesse quelle storie e quei fascicoli che arrivavano alla redazione direttamente dagli Stati Uniti, dove la fantascienza e l’illustrazione fantastica avevano avuto origine. Grazie sempre però agli interventi degli europei, perché Hugo Gernsback, che propose ai lettori degli Stati Uniti una pubblicazione di fs era nato in Lussemburgo, e il primo illustratore dei suoi fascicoli, Frank Paul a sua volta era un europeo, e in quegli stessi fascicoli si pubblicavano storie di Jules Verne, francese, e di Herbert George Wells, inglese. L’America era stata scoperta dagli europei, in fondo.
Ti sembra che oggi gli illustratori europei svolgano ancora un ruolo importante?
Gli illustratori europei hanno svolto e svolgeranno sempre un ruolo importante per il semplice fatto che è nel vecchio mondo che l’arte ha potuto diffondersi nel mondo, parlo dell’arte “moderna”. Anche gli amerindi avevano un loro modo di fare arte, particolarissimo, che ha ispirato un sacco di artisti più attuali. Resta il fatto che l’arte moderna, quella proposta a più copie dopo l’invenzione della stampa, con le pubblicazioni specializzate in questo settore, è nata in Europa, e poi si è diffusa grazie al talento degli artisti americani.
Una domanda da profano, Giuseppe. Con quali criteri scegli i colori da miscelare?
Vedendo quello che c’è sulla copertina. Io intuisco che c’è una punta di verde, di nero, di azzurro e poi vado a istinto. È il risultato del mio lavoro di autodidatta, intuire come veniva steso il colore, le tonalità da utilizzare nelle varie tinte. Non ci trovo nulla di strano perché ormai è istintivo per me, però è sempre interessante perché certe volte mi vengono poste delle domande che mi costringono a riflettere su me stesso, su pensieri che in autonomia non mi verrebbero.
Non prima comunque di aver abbozzato un canovaccio.
Quello è necessario per una questione di proporzioni, di equilibrio.
Facciamo una domanda a quiz: qual è stato secondo te il più grande artista e illustratore legato alla fantascienza negli ultimi ottant’anni.?
Io continuo sempre a pensare a Chesley Bonestell. Vide la luce nel 1888 quando della fantascienza non si era mai sentito parlare e non era stata inventata l’automobile, gli aerei non c’erano. Insomma ha precorso tutti i tempi nella maniera più incredibile, poi è diventato grandicello e contemporaneamente seguiva i tempi, quello che la tecnologia e la scienza proponevano.
Tu lo ammiri per la tecnica usata?
Sì, sapeva dipingere in una maniera egregia. Credo che sia stato il primo iperrealista di tutta l’arte mondiale. Le sue immagini erano persino più belle di certe fotografie che si vedono ancora oggi.
Anche se lui faceva paesaggi alieni…
Sì, ma anche moltissime vedute terrestri, dipingeva qualunque cosa. Era un pittore di formazione architettonica, quindi le sue immagini erano perfette.
Come anche Paul…
Sì, ma Paul era molto più libero e si lasciava andare alla fantasia più sfrenata. Era portato a soluzioni immaginifiche, fuori dell’ordinario nel vero senso della parola, mentre le architetture di Bonestell erano dettate da quello che vedeva già realizzato oppure dalle proposte che molti architetti impegnati in progetti di grattacieli proponevano. Spettava a lui il compito di visualizzarli. Alla fine queste erano solo linee, forme e prospettive, cose grafiche. Lui le rendeva tridimensionali, come se desse ai progettisti la possibilità di toccare con mano quello che probabilmente non avevano neppure costruito come plastici.
Nato a Legnano, professore di scuola, ha amato Silverberg, Simak e ammira P. K. Dick. Ha prodotto la fanzine "Alternativa," con Piergiorgio Nicolazzini, votata alla critica. La sua produzione letteraria è cospicua e ama soprattutto la sua produzione per "Robot" di Vittorio Curtoni. Apprezza gli artisti Caesar, Festino, Thole, Bonestell, Paul, Finlay, Robida.