Autore: David O. Woodbury
Prima pubblicazione: Astounding Stories, luglio 1934
Titolo originale: The Electric Snare

ANCORA 48 ore e sarebbe finita. Shelby Cobb era in cima a una scala e stava aggiustando un ultimo collegamento lungo il muro della sua ultima e più grande invenzione: il cannone a raggi catodici da un milione di volt. Un assistente avrebbe potuto farlo alla perfezione, ma a Shelby non piacevano gli assistenti. Preferiva lavorare da solo. Inoltre, gli assistenti erano potenziali spie – spie di Jorgensen. Un segreto industriale di tale portata – il seme di vasti miglioramenti in campi così diversi fra loro come la medicina e la metallurgia – non sarebbe mai stato sorvegliato troppo. Fin tanto che il segreto fosse stato solo suo.

In un giorno o due, completati i test finali, e inseriti gli ultimi dati, sarebbero stati convocati gli avvocati di brevetti e un grande, tremendo peso sarebbe stato tolto dalle strette spalle di Shelby e trasferito ad altre molto più ampie. E tutto sarebbe filato liscio.

Due giorni! Jorgensen aveva ancora tempo di colpire. E, come varie persone interessate sapevano, c’era il Rapporto Confidenziale 129…

Le pinze di Shelby strinsero l’ultimo collegamento. Sotto di lui, in un angolo della stanza gremita, la porta della camera rivestita in piombo restava in attesa della sua mano. Come un ragazzino pregustava questo momento da settimane, mesi. Ma, dal maturo scienziato che era, non aveva mai considerato scorciatoie, mai una volta ceduto al desiderio di chiudere la piccola fila di interruttori e di liberare, prima del momento giusto, l’enorme potenza della macchina. Lui sapeva che il Rapporto Confidenziale 129 avrebbe avuto o sarebbe crollato in base a ciò che sarebbe successo nei prossimi dieci minuti.

“Scendi da quella scala!” ringhiò la voce di un uomo alle sue spalle. “Ti tengo sotto tiro.”

SHELBY si allungò in su ancora un po’ e fece con le dita un test extra al collegamento. La sua mente, risolto quest’ultimo problema, lavorò in fretta, distaccata, com’era suo solito.

“Non mi disturbi adesso,” disse, “Se ne vada!”

L’uomo appoggiò un piede sull’ultimo piolo della scala. “Girati e scendi,” ordinò. “Voglio quel rapporto confidenziale.”

Shelby infilò le pinze nella tasca del suo camice. Poi si allungò e scosse il collegamento un’altra volta. Questa seconda scossa gli aveva dato il tempo per completare la soluzione del suo problema.

“Stamattina non ho davvero neanche un momento per occuparmi dei visitatori,” disse con tono di scusa. “Torni un’altra volta, per favore.” Poi si voltò. Se la vista della pistola lo turbò, il suo fermo passo sulla scala non lo rivelò. “Si scosti,” concluse. “Sto scendendo.”

L’uomo si accigliò, ma si spostò un poco, ancora tenendo sotto tiro il minuto scienziato. Indicò con la testa la scrivania nell’angolo. “Mettiti lì, seduto,” ordinò.

Shelby rimase esattamente dov’era e guardò l’intruso da sopra i suoi occhiali, mentre rughe di infastidita incomprensione solcavano la sua fronte. “È molto importuno da parte sua venire qui stamattina,” disse. “Invece domani, i miei test finali saranno completati e…”

“Dammi il rapporto e chiudi la bocca.”

“Lo sa,” disse Shelby con fare colloquiale, “non ho mai avuto il piacere di conoscere Jorgensen, ma lo ammiro. È un uomo intraprendente. Ha carattere abbastanza per sapere quello che vuole e perseguirlo. È un peccato che…”

L’uomo infilò la bocca della pistola fra le costole di Shelby e lo spinse indietro verso la scrivania. “Lascia stare Jorgensen e dammi quel rapporto. Ti do 60 secondi.”

Shelby si sedette alla scrivania e ne afferrò il bordo con la mano per non cadere. Poi ritrovò l’equilibrio e aprì un cassetto sulla destra. Il Rapporto Confidenziale 129 era lì in bella vista, rilegato con una copertina azzurra. Shelby lo prese e lo passò all’uomo con un lieve sorriso. La sua unica emozione visibile era fastidio, e neanche tanto.

“Dica a Jorgensen di studiarlo con attenzione prima di cominciare il lavoro. Può essere difficile scrivere spiegazioni chiare con dettagli sufficienti da…”

L’uomo gli strappò il rapporto di mano e sfogliò le pagine in fretta, i suoi occhi avidi scorrevano le illustrazioni con aria competente. Poi, all’apparenza soddisfatto, indietreggiò verso la porta, sempre puntando la pistola contro Shelby.

“Farai meglio a non parlare di questa visita,” disse a bassa voce. “Sarà più salutare per te!” Con la mano sinistra annaspò dietro di sé cercando la maniglia della porta.

“No,” mormorò Shelby, “sarà meglio per tutti se non se ne parlerà mai.”

“Ehi! Che cos’ha questa porta?” gridò l’uomo. “Fammi uscire!”

“Oh, mi scusi!” disse Shelby. “Ci ho messo una chiusura elettrica. Il macchinario qui è pericoloso, e io di solito non voglio essere disturbato.”

Si girò, ignorando la pistola, ed entrò nella camera foderata di piombo sul retro della stanza. “Il tasto di controllo è qui dentro; cioè, uno di loro lo è. Te lo aziono subito.” Allungò la mano sotto il bancone. “Prova adesso, dovrebbe aprirsi.”

NELL’ISTANTE in cui gli occhi dell’uomo si volsero verso la maniglia, Shelby sbatté la porta della camera, rinchiudendosi al sicuro. Il rumore dello sparo arrivò una frazione di secondo dopo. L’uomo sparò tre volte, e poi scese il silenzio.

“Non vorrei farlo,” la voce di Shelby giunse fioca da un’apertura in un angolo del laboratorio. “Non vorrei che ci si faccia male, e i suoi proiettili sono del tutto inutili contro 8 centimetri di piombo.”

Furioso, l’intruso fece un passo verso la camera. In quel momento la stanza sprofondò nel buio. Ci fu un tonfo pesante quando lui si schiantò contro la scrivania.

“Accendi le luci!” ringhiò.

“Solo un momento,” gli gridò Shelby. “Adesso che lei è qui, vorrei darle una piccola dimostrazione. Servirà a renderle più chiaro il rapporto.”

Uno strano bagliore viola riempì la parte superiore della stanza, e partì il ronzio di un trasformatore. La voce di Shelby uscì ancora dalla camera, distaccata come quella di un professore alla sua classe.

“Il raggio catodico è generato da 900.000 volts,” spiegò. “Non è molto spettacolare, temo. Ma ha un effetto molto interessante. A questa potenza i raggi generano dei pesanti raggi X su qualunque metallo colpiscano. Certo, la stanza è piena di metallo. Ad esempio, la sua stessa pistola, mio caro Jorgensen, in questo istante sta riflettendo dei raggi X molto più letali dei suoi piccoli proiettili di piombo.”

Ci fu un istante di silenzio. Poi il tonfo della pistola sul pavimento. L’uomo saltò nel centro della stanza.

“Per amor del cielo, spegnilo! Spegnilo!” urlò.

“Noti la peculiare forma del bagliore alla fine del tubo,” precisò Shelby placido. “La mia speciale costruzione lo rende possibile. Significa elettroni molto più rapidi e, quindi, raggi X più abbondanti.”

“Spegnilo!” urlò l’uomo, e si accucciò sotto la scrivania.

“Mio caro Jorgensen!” protestò lo scienziato. “Non si incomodi. Sa molto bene che il legno è inutile come protezione.”

“Non sono Jorgensen! Per amor del cielo fermalo!” guaì la vittima.

“Se lei non lo fosse, non mi sarei preoccupato di darle questa dimostrazione. In realtà, se lei avesse mandato una delle sue solite spie, molto probabilmente lo avrei lasciato andare illeso. Le sue spie, Jorgensen, sanno bene, credo, che ho un bottone per il controllo porta sotto la mia scrivania.”

“Per amor del cielo – per amor del cielo, basta!”

“Inoltre,” aggiunse Shelby, “lei è l’unico nella sua organizzazione a poter riconoscere il mio rapporto a vista. Temo che lei si sia identificato senza ombra di dubbio. Dia un bello sguardo al tubo adesso. Sto per spegnerlo.”

LA LUCE nella stanza svanì, e un secondo dopo le lampadine elettriche si riaccesero.

“La porta è aperta,” disse Shelby.

L’uomo barcollò verso di essa. Il rapporto con la copertina blu e la pistola giacevano in mezzo al pavimento. Shelby entrò nella stanza, si piegò e li raccolse. Con cura aprì la culatta della pistola e tolse le cartucce rimaste. Poi porse l’arma a Jorgensen.

“Tenga, vorrà la sua pistola,” disse con calma. Mi perdonerà se trattengo il rapporto. I commissari lo richiederanno domani.”

Le dita dell’uomo erano bianche quando afferrarono la maniglia. Sembrava incapace di portarsi fuori.

“Non si preoccupi, mio caro amico. Si sentirà di nuovo bene fra un minuto. Certo, un’esposizione ai raggi X come quella che ha sperimentato è sempre fatale, ma non subito. Fra un mese o giù di lì le consiglio di andare in un buon ospedale. Hanno cure che allievano un po’ le ustioni. Nel frattempo…”

Ma l’uomo era crollato e giaceva svenuto sul pavimento.

Shelby sollevò il ricevitore del telefono e parlò alla sua segretaria. “Faccia venire subito un’ambulanza qui al laboratorio,” disse con freddezza. “Un uomo si è fatto male.”

Copertina creata con Intelligenza Artificiale Microsoft.

 

La trappola elettrica: WoodburyL’AUTORE
David Oakes Woodbury (1896-1981) è un autore americano nato e vissuto nel Maine. Ingegnere navale di professione, esordì nella letteratura con due racconti di sf nel 1934, quindi, dopo una parentesi come autore teatrale, si dedicò alla saggistica a partire dal 1939, scrivendo The Glass Giant of Palomar, primo di una lunga serie di testi di divulgazione scientifica. Fra questi segnaliamo almeno Outward Bound for Space (1961): si tratta di una storia dei programmi spaziali dal 1924 al 1960, e il primo capitolo ha il significativo titolo La notte in cui la fantascienza ebbe fine. Nel 1963 tornò alla narrativa con il romanzo Five Days to Oblivion, un thriller spionistico a cui ne seguirono altri due: Mr. Faraday’s Formula (1965) e You’re Next on the List (1968).

Mario Luca Moretti
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Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano