Prima pubblicazione: Il Corriere dei Piccoli, 27 dicembre 1908
In una grande città moderna, tutta piena di tramvai, di ferrovie, di automobili (non vi so dire precisamente in quale regione del mondo, ma la cosa poco importa), alcuni uomini ardimentosi e amanti del progresso si riunirono in società.
Essi trovavano che con tutti i tramvai, le ferrovie e le automobili, l’umanità era ancora troppo lenta a muoversi. Erano animati dall’amore della rapidità. La loro società aveva lo scopo di raggiungere le maggiori velocità umane.
La prima seduta della nuova associazione fu solenne.
Voi comprendete benissimo che gli adoratori della società non potevano adunarsi a discutere, come tutti gli altri uomini, in una sala, seduti comodamente. Questo sarebbe stato contrario ai principi della società, che proclamava la bellezza del moto. Perciò la nuova associazione tenne la sua adunanza in un’automobile lanciata a tutta forza per le strade cittadine. La cosa fu relativamente facile, poiché i membri dell’associazione non erano che quattro.
La discussione fu molto animata, non perché i soci si trovassero in disaccordo, ma perché, secondo i loro principi, Essi non potevano parlare senza gestire velocemente e senza pronunciare almeno 120 parole al minuto.
Il presidente, nominato in seguito a un concorso di salti fatti sui sedili dell’automobile (concorso nel quale era riuscito vincitore), fece il discorso d’inaugurazione.
“Il progresso” disse egli facendo un bellissimo volteggio sulla testa dello chaffeur – “è il prodotto della velocità. Moviamoci svelti e spingeremo il mondo alle più eccelse vette della civiltà!…”
“Bravo!” gridarono insieme gli adepti balzando in piedi sul soffitto della vettura.
“Noi dobbiamo” continuò il presidente piroettando tre volte sul piede destro “abituare i nostri muscoli alla rapidità del baleno, e trascinare col nostro esempio l’umanità, troppo pigra, in un avvenire vertiginoso. Quello che dovrebbe essere fatto in secoli di tempo” – a questo punto l’oratore iniziò una piroetta sul piede sinistro – “sarà compiuto in pochi anni.”
“In meno ancora!” interruppe un socio mettendosi per un istante (appena un istante) con la testa sui cuscini e le gambe in aria.
“E così vivremo” riprese il presidente iniziando un movimento di rotazione tanto complicato che non so descriverlo “così vivremo in pochi anni le età più future. Assisteremo fra breve ai trionfi del cinquantesimo secolo!”
“Del centesimo!” urlarono gli adepti gettando i berretti così in alto che non ricaddero più.
Non posso dirvi i minuti particolari di quella memoranda seduta (seduta per modo di dire) perché nessuno stenografo poté essere abbastanza rapido da raccogliere i discorsi. So però che una parte della discussione fu dedicata alla scelta di un adatto titolo alla nuovissima società.
Un socio propose il nome Rapidità, ma il presidente, con ragione, lo trovò lungo per una cosa così veloce. Occorreva troppo tempo per pronunziarlo, e quel tempo poteva essere meglio impiegato nell’azione. Un altro socio propose di abbreviare il titolo riducendolo a Rapid. Poiché si era sulla buona strada delle abbreviazioni si decise all’unanimità di adottare la parola Rap. Così il Presidente si chiamò Pre, il segretario (furono anche distribuite le ragioni sociali) si chiamò Seg, e il relatore si chiamò Rel; il quarto membro, rimasto ultimo nel concorso dei salti, non ebbe nessuna carica e non fu che soc, cioè socio ordinario.
Pre, Seg, Rel e soc del Rap decisero di mettersi subito al lavoro.
“Tutti giorni” decretò il Pre, “noi ci aduneremo e ci racconteremo i prodigiosi atti veloci che avremo compiuti. Il Rel li registrerà nei gloriosi annali della Rap, destinati a spronare il globo terracqueo. A domani!”
“A domani!” ripresero in coro Seg, Rel e soc, balzando dall’automobile e mettendosi a correre in direzioni opposte.
Correvano come se fossero inseguiti da altrettanti treni direttissimi americani. Questa corsa, oltre ad essere un dovere sociale, era anche necessaria, per il fatto che l’automobile, fuggendo a tutta forza per le vie cittadine, aveva investito due persone e schiacciato quattro cani; e i componenti la Rap, se non avevano dei treni direttissimi alle calcagna, vi avevano alcune guardie infuriate. E si sa che le guardie infuriate, senza essere membri della Rap, raggiungono delle velocità rispettabilissime.
Il giorno dopo, Pre, Seg, Rel e soc, si ritrovarono insieme.
Per evitare i pericoli del giorno prima, lanciarono l’automobile delle sedute in aperta campagna, nella quale, se abbondano cani da schiacciare e persone da investire, mancano almeno le guardie infuriate.
Il Pre fece suonare con un calcio la tromba dell’automobile, e dopo questo segnale dichiarò aperta la seduta.
Il soc, invitato, prese la parola.
“Questa notte” egli narrò “ho attraversato due volte l’Europa sulla mia automobile. Ho percorso 5000 chilometri.”
“Bravo! Bravo!” esclamarono gli altri congratulandosi.
“Il vostro ardimentoso viaggio” disse Pre “è senza precedenti nella storia delle velocità automobilistiche. Ma” obbiettò “noi desideriamo avere un’idea più esatta della velocità che avete raggiunto.”
“È semplicissimo!” esclamò il soc. “Vi narrerò un piccolo episodio del viaggio. Saranno state le 5 del mattino, quando passavo per Varsavia, e affrettavo la corsa volendo trovarmi a casa per l’ora del caffè. Improvvisamente un gendarme russo, avanti a me, grida: Canaglia, fermatevi! Al sentire queste parole, infuriato, mi sporgo, passando, per dargli uno schiaffo… ma…”
“Ebbene?” chiesero Pre, Seg e Rel intensamente interessati.
“Ma” riprese il soc “andavo così veloce che quando abbassai la mano per colpire ero già passato, e lo schiaffo lo ha preso un gendarme tedesco che stava sul confine austriaco. Ne sono stato molto dispiacente.”
“È meraviglioso!” esclamò in coro la Rap. “La vostra velocità è degna del massimo encomio.”
“Ed ora a voi, Rel!” ordinò il Pre “narrate.”
“Vi ricordate” cominciò il Rel “che ieri quando ci separammo, alcune guardie c’inseguivano?”
“Sì, certo!”
“Ebbene: giunto a casa, io abito al terzo piano, mi affacciai e vidi una delle guardie che ci avevano perseguitato, la quale stava proprio sotto a me, ferma sul marciapiede. Spinto dal rancore, in un accesso di rabbia, afferrai un vaso di fiori che stava sul davanzale della mia finestra, e lo scagliai su quel vile rappresentante dell’immobilità.
“Bene! Lo colpiste?” chiesero i colleghi.
“No. Nel furore presi male la mira, e osservando il vaso che cadeva mi accorsi con orrore che esso andava a piombare precisamente sulla testa di una signorina che passava. E quella era, indovinate!, era proprio la fanciulla che io amo!”
“E che faceste?”
“Io? Non mi persi d’animo. Presi il cappello e mi affidai alla velocità. Uscii dall’appartamento a precipizio, scesi le scale vertiginosamente, giunsi sulla strada in un baleno, e così feci in tempo ad afferrare il vaso prima che cadendo arrivasse a toccare il cappellino della bella. Anzi, profittai dell’occasione per compiere un atto di galanteria: mi tolsi gentilmente il cappello e porgendo il vaso dissi alla fanciulla: Mi permetta, signorina, di offrirle questi pochi fiori!” Essa mi ringraziò con un’occhiata dolcissima.”
“Oh!” applaudì l’assemblea. “Quale sveltezza! Che rap! Bravo!”
“Sì,” sentenziò il Pre. “Questa velocità è tanto più encomiabile in quanto non è dovuta al moto di una macchina, ma al moto del corpo. Voi, Rel, avete superato il soc. Parlate voi ora, Seg: vi do la parola.”
Il Seg narrò:
“Comprendendo che la sveltezza alla quale noi aspiriamo non può essere ottenuta che con l’esercizio, io ieri mi posi ad esercitarmi. Scesi in giardino e mi misi a correre intorno ad un albero di pesco. Voi mi direte: perché correre intorno? Perché il mio giardino è così ristretto per le mie gambe, che correndo avanti e indietro io non faccio in tempo a trovarmi da una parte che sono giunto dall’altra. Dunque, correvo intorno al pesco. A poco a poco, esercitandomi, mi accorgevo di avere una velocità sempre più meravigliosa. I giri si succedevano così rapidi, che io ripassavo sullo stesso punto dieci volta al secondo, poi venti, poi non vi so dire quante volte. Alla fine, sapete cosa mi è successo?”
“Cosa?” gridò l’associazione.
“È successo che mi sono raggiunto. Precisamente! Ho sentito un urto sul petto: avevo urtato le mie spalle. Ho dovuto rallentare la velocità e distanziarmi un po’, perché in quelle condizioni non potevo più correre.”
“Evviva!” tuonarono i soci della Rap entusiasmati.
“Fratelli!” gridò il Pre. “Basta! Il momento è solenne. Queste velocità sono insuperabili. Il Rap è sceso così presto, che ha finito la sua missione in un giorno solo. In 24 ore abbiamo fatto all’umanità tutto il bene possibile. Non ci rimane che sciogliere la nostra associazione e riposarci nella gloria per il resto della nostra vita. Noi abbiamo fatto il nostro dovere: il mondo adesso faccia il suo!”
I soci, prima di sciogliersi, intonarono a gran voce, commossi, un inno, che cominciava così:
Evviva il «Rap»
che tutto move
sopra al gran mappamondo e altrove.
Il Rel, come era convenuto, registrò i prodigi della società, destinando la sua relazione all’educazione della gioventù futura. Ed ecco perché le preziose notizie da lui raccolte vedono la luce in questo giornale. È tempo che il mondo faccia il suo dovere! – come diceva il Pre.
Copertina generata con Intelligenza Artificiale Adobe Firefly.
Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano