Smart truck in viaggio è il racconto che Mary Robinette Kowal mi ha mandato per il mio compleanno. A ogni mio compleanno arriva sempre un racconto di Mary Robinette e devo dire che la cosa mi fa molto piacere. Questa è una storia con poca fantascienza, a dire il vero, ma tantissimo amore. E in definitiva, questa novella ci dice che in qualsiasi epoca, anche con i camion automatici e le le autostrade speciali, la cosa che più conta è sempre l’amore.
Buona lettura.

 

La strada vibrava sotto le ruote della sua riproduzione di semirimorchio e il volante vibrava tra le mani di Dude. Aveva messo al massimo il suono ambientale che riproduceva il rumore di un motore diesel, perché le sue orecchie potessero seguire al meglio il fremito della strada.

Perché la gente non voleva più guidare? Certo, le auto automatiche erano comode e, ok, la patente di guida era davvero difficile da avere e va bene – l’assicurazione era un casino. Però.

Essere liberi di divorare una strada veloce. Per esempio, adesso aveva davanti un’auto a guida autonoma che viaggiava esattamente alla stessa velocità di tutte le altre su quella strada.

Dude sorrise, mise la freccia e accelerò, oltre il limite di velocità. Estrasse da una tasca un pezzo di manzo essiccato – una elaborazione vegana che però sembrava carne vera – e ne strappò un morso. Era come masticare tabacco. Però era più gustoso e non faceva venire il cancro. Già. Questa è vita. Così si doveva vivere. Autotrasporti artigianali LLC. Mani umane, porta a porta.  Nessun algoritmo, né satelliti, nessuna di queste stronzate. Dude era una cosa unica con la strada e la strada era una cosa unica con lui. Come in un esercizio di meditazione. Una sola cosa con la strada e…

Un cane gli sfrecciò davanti.

Dude riuscì a vedere solo che era giallo.

“Oh Dio!” Percepì il rumore del colpo sul camion e sollevò le mani dal volante sperando che ciò potesse attivare la sua unità a Intelligenza Artificiale per farlo tornare in qualche modo indietro nel tempo e non colpire più il cane.

Ma, Dude riprese il controllo del volante. Il camion fremette per il rallentamento troppo veloce. Lui sterzò sul bordo destro della strada e si fermò.

Aveva travolto un cane. Dude si sporse avanti per guardare nello specchietto laterale. Il cane giallo era finito tra le due corsie: tutte le auto robot e i camion lo schivavano regolarmente.

Si muoveva ancora.

“Merda. È vivo.” Aprì la portiera.

Il colpo d’aria di un semirimorchio che passava gli fece sbattere la porta come se volesse tenerlo dentro. Eh, no, no. Servono proprio gli autisti umani, perché un camion automatico non potrebbe certo fermarsi ad aiutare un cane.

Anche se un camion robotico non avrebbe mai colpito un cane.

Dude scese e le sue vecchie Adidas toccarono l’asfalto, scricchiolando sui vetri rotti e i rifiuti dell’autostrada.

Il cane aveva sollevato la testa, e guardava verso il bordo della strada. Anche da dov’era, Dude poteva notare la posizione innaturale delle gambe dell’animale e non c’era bisogno di conoscere l’anatomia per capire che qualcosa non andava. Un minivan schivò il cane sterzando verso il bordo della strada.

“Sta fermo, cane!” Dude ripercorreva correndo l’autostrada.

Diavolo. Non si sa quanto sia veloce il traffico finché non ti trovi in mezzo. Dude si tolse il vecchio berretto da camionista e passò la mano tra i capelli. Be’, non voleva di sicuro lasciare il cane là fuori senza far niente.

Deglutì e guardò i veicoli che gli veniva contro provando a scoprire un’apertura nel traffico uniformemente distanziato. I convogli di camion automatizzati si muovevano in fila. Le autovetture passavano in piccoli gruppi. Un’autobotte avanzava a passo lento. Ma niente spazi per far passare una persona. Niente di niente in vista.

Ma dove diavolo va tutta ‘sta gente? Erano in Oregon nel bel mezzo del nulla.

E va bene… Un paio di mesi prima, era stato bloccato in un ingorgo perché uno studente camminava sulla provinciale perduto nella nebbia. Le auto si erano fermate davanti al ragazzo e dietro si era formata una fila gigantesca.

Allora. In teoria, doveva solo camminare tra i veicoli. Chiaro. Dude sistemò il berretto, calcandolo saldamente sulla testa.

Perfetto. Si allontanò dalla sua posizione e percorse qualche metro. Sotto il piumino vintage e la maglietta con la pubblicità colava di sudore. Doveva farsi notare, in qualche modo.

Dude fece un respiro profondo e si mosse davanti al traffico.

Le auto rallentarono ben prima che le sue Adidas calpestassero la corsia di destra. Alcune macchine si spostarono nella corsia di sinistra, girando bene attorno al cane, comandate dal loro algoritmo infernale. Normalmente odiava quella merda, ma in quel momento era dannatamente felice che ci fosse. Dude non era ignaro dell’ironia per cui sarebbe morto in quel momento, se le macchine fossero state controllate da conducenti umani.

Ma il cane non era morto. Era ancora vivo e lui l’avrebbe aiutato.

Mise un piede davanti all’altro, procedendo a ritmo costante e regolare. Quando raggiunse la linea di mezzeria, il traffico era ormai fermo.

Tutte le persone nelle auto che aveva di fronte lo fissavano. Qualcuno stava usando il telefono e molto probabilmente trasmetteva in diretta l’intero episodio. Nessuno di loro rischiò di scendere dalla macchina.

La lingua dell’animale pendeva dalla bocca sulle gengive grigiastre. Il petto si alzò e ricadde con sforzo evidente e il cane voltò la testa per guardare Dude.

“Resisti, cane.” Tra non molto sarebbe arrivata una squadra di pulizia che probabilmente lo avrebbe accusato di comportamento sconsiderato e a lui non importava un accidente. Doveva salvare questo cane.

Sull’asfalto c’era troppo sangue intorno al cane ed era tutto macchiato anche il pelo giallo. Non sapeva perché, ma capì improvvisamente che quel cane doveva essere una femmina e infatti lo era. La bestia lo guardò con occhi marroni liquidi come se sapesse che lui era lì per salvarla. Dude si accovacciò e infilò le mani sotto il cane, che guaì.

“Scusami.” Dude storse la bocca. “Scusami.”

Dude si alzò col cane in braccio tenendo inizialmente piegate le ginocchia, come faceva per i carichi sul suo camion, e restò lì con venti o trenta chili di cane caldo e umido. La bestia si tese tra le sue braccia, mentre lui, immobile, faceva quei versetti senza senso che usava anche col bambino di sua sorella.

Mio dio. C’era tantissimo sangue.

Quando Dude si è allontanò dalla corsia di sinistra, le auto ripresero il movimento. Lui teneva il cane stretto al petto avanzando a passo costante e regolare fino a bordo strada.

Ora il traffico viaggiava su tutte e due le corsie come se avessero riaperto uno scarico e come se lui e il cane non fossero mai stati lì.

Tornato al camion, Dude pensò di mettere l’animale sul sedile. Avrebbe potuto usare il giubbotto come cuscino, perché, tanto era ormai coperto di sangue. Quanto ci voleva per l’uscita successiva… era, quindici miglia? Chiese alla sua IA di navigazione dove fosse il veterinario più vicino.

Il cane smise di respirare.

“No… Oh, no, no, no.” Dude cadde in ginocchio e appoggiò il cane per terra a bordo strada. Bisognava eseguire una rianimazione o – o cosa?

Il cane si era lasciato andare ed era coperto di sangue. La schiena era chiaramente rotta e aveva gli occhi fissi: era morta. Lui l’aveva uccisa. Lui con la sua arroganza, convinto che un uomo potesse essere migliore di una macchina, lui aveva ucciso questo cane.

Dude le passò una mano lungo il fianco, accarezzando il pelame giallo. La mano riuscì solo a spalmare altro sangue sul pelo. “Chissà come ti chiamavi.”

È stupido piangere per un cane che si era nemmeno conosciuto. Gli bruciavano il naso e gli occhi e non poteva asciugarsi il viso senza spargere altro sangue dappertutto. Appoggiò le mani sui jeans e chinò la testa sul corpo della povera bestia.

Il guaito di un cane.

Era un guaito acuto e Dude sollevò il capo. Si girò a guardare la strada nel punto in cui era spuntato il cane giallo. Ecco un cucciolo, giallo come la sua mamma che camminava oscillando nell’erba alta.

Stava andando diritto verso il maledetto traffico.

Dude si alzò in piedi e si diresse da quella parte. Non lui, no. No, no, lui no. Ma di certo i camion lo avrebbero evitato – a meno che non fosse troppo piccolo per essere visto dalle apparecchiature automatiche. Gesù. Aveva già ucciso la sua mamma. “Ehi cucciolo! Vieni da me. Dai!”

Il cucciolo girò la morbida testa verso di lui, scodinzolando. Guaì di nuovo, agitando la testa. E guizzò via.

Dude mormorò qualcosa. Il cucciolo pensò che l’uomo volesse giocare. Ma quando Dude si accovacciò porgendo le mani, il cane vide che erano coperte di sangue.

Forse adesso il cucciolo aveva paura.

Dude non poteva proprio abbandonarlo. Adesso no davvero. A quel punto il cucciolo non scappava più: si era seduto, la lingua rosa ciondolante fuori dalla bocca e lo guardava. Dude si avvicinò alla ripa erbosa che scendeva in basso per incontrare il bordo strada. Forse avrebbe potuto tentarlo lontano dal traffico ma non così coperto dal sangue della mamma.

Dude si levò il giubbotto che sì, era un pezzo vintage, ma si strofinò le mani con quello come meglio poteva. Un foglio di plastica alla fine.

Il suo pezzo di simil-manzo! Ne teneva sempre un po’ in tasca per poterlo masticare alle stazioni di rifornimento. Lo faceva star meglio.

“Dai.” Buttò via il giubbotto e si accovacciò, aprendo il pacchetto di pseudo carne secca. Sperò che il cucciolo la gradisse, anche se era vegana. “Forza, piccolo. Guarda cosa ho qui.”

Il piccolo piegò quasi completamente la testa di lato e un orecchio gli ricadde sul muso.

Dude sventolò il pezzo di cibo. “Dai. È buono, buonissimo …”

L’erba alta frusciò ancora ed ecco spuntare un altro cucciolo. Questo aveva il manto giallo come la mamma, ma con una grande macchia bianca che formava una fiamma a forma di cuore dalla fronte fino alla coda che si agitava in continuazione. Pareva fosse fatto di velluto e gomma, era carino.

“Ehi ciao.” Dude strappò un altro pezzo di carne secca, lanciando uno sguardo al primo cucciolo. “Ehi amico…”

Allungò il pezzo di carne secca al primo cucciolo, cercando di stare immobile il più possibile mentre il cane si avvicinava con il naso che fremeva. La piccola lingua rosa si avvolse attorno alle dita con un caldo bacio mentre il cucciolo prendeva in bocca il pezzo di carne secca. “Ehi, piccolo. Buono, eh? Dì a tuo fratello quanto è buono!”

Il primo cucciolo, che lui chiamò Puppy Uno, non fece nulla, perché all’improvviso espresse una gioia scoordinata. In quel momento l’erba si separò ancora una volta con un fruscio e si materializzarono altri tre cuccioli. Uno bianco, uno nero e uno bianco e nero. Scodinzolavano tutti e tutti esprimevano gioia per avere quel pezzo di carne secca finta.

Il fatto è che nessuno di loro sapeva che Dude aveva ammazzato la loro mamma.

Dude non aveva mani per tapparsi la bocca e così non poté trattenere un singhiozzo. Ma era troppo occupato ad accarezzare morbidi peli e code agitate per preoccuparsene.

L’uomo tirò su col naso e ingoiò sale mentre si asciugava una lacrima con la spalla. Teneva l’ultimo pezzo di carne secca sopra i cuccioli che saltavano nel tentativo di acchiapparlo.

“Su ragazzi.” Come il pifferaio magico con il flauto di carne secca, Dude si alzò e li riportò verso il camion in un grande cerchio attraverso l’erba alta e facendo bene attenzione a tenerli lontani dal mantello giallo rimasto sul bordo della strada.

Dude guidava con quello giallo e bianco, Buddy, sulle ginocchia e le teste di Nero e Blanca sulle gambe. Puppy Uno, invece, era steso assieme a Toppe Bianche e Nere sul sedile del passeggero, una piccola lingua rosa gli spuntava sotto il naso. Involucri vuoti di carne secca riempivano il bidoncino dei rifiuti. Aveva spento gli effetti sonori ambientali da motore diesel d’epoca e adesso c’era solo il mormorio delle gomme sulla strada a competere con il morbido ronfare dei cuccioli addormentati.

Superò l’uscita successiva.

Se fosse stato furbo, sarebbe uscito al primo casello per cercare un veterinario o qualcuno che si prendesse cura dei cuccioli. Il che, però, lo avrebbe fatto ritardare. Be’. Ma sì. Era per questo, certo, che era andato avanti verso il suo punto di consegna. Non c’entravano per niente quelle zampette che si agitavano nel sonno.

Doveva fare solo una consegna.

Buddy sospirò e si rotolò sulla schiena, esponendo la pancia bianca. Dude tolse una mano dal volante per grattare la morbida pelliccia lanuginosa. Una zampina si sollevò in aria il che non disturbò assolutamente la sua guida esattamente entro i limiti di velocità.

Doveva ancora fare una consegna.

Alla fine, Dude uscì dall’autostrada e il movimento per premere il pedale del freno fece spostare i cuccioli. Nero fu il primo a svegliarsi. Sbadigliò con la sua lingua rosa conchiglia arricciata in un piccolo lamento. Scosse la testa, sbatté le orecchie e si alzò sulle zampe. Anche gli altri cuccioli si svegliarono sbattendo le palpebre e si unirono a Nero in un vortice di pelo, code e curiosità.

“Ehilà ragazzi. Ben tornati.” Dude allungò una mano e afferrò Buddy per evitare che il giallo e bianco potesse finire sotto il pedale del freno.

Toppe si era sistemato sulla sua cartina geografica, di carta si capisce, tutto originale – e si grattava un orecchio. Dude avrebbe voluto dare un’occhiata alla cartina, ma era complicato. Se l’avesse tirata via da sotto il piccolo lo avrebbe rovesciato. Lui era già stato alla Azienda vinicola delle Montagne Rocciosa, ma tra quel periodo e adesso erano passate moltissime consegne. Ed era già in ritardo, c’erano un sacco di strade piccole e sconosciute per arrivarci e girare lì con il camion era un inferno e…

“Ehi, Maude.”

La sua IA emise uno sbadiglio, come una bella donna che si svegliasse dal sonno. “Buonasera amico.” Tutti i cuccioli si voltarono a guardare gli altoparlanti, cercando di capire dove fosse la donna. “Cosa posso fare per te?”

“Devo avere indicazioni per raggiungere l’Azienda vinicola delle Montagne Rocciosa.” L’ultima volta che aveva usato il navigatore era in un tempo molto remoto. Aveva dimenticato ogni collegamento o senso del luogo con quel posto.

“Ma certo. Fra centocinquanta metri, voltare a destra su East Montrose Drive. Vuoi che prenda io il controllo del veicolo?”

“No, faccio io, grazie.” Strofinò le orecchie di Blanca. Doveva anche trovare del vero cibo per le bestie. “C’è un negozio di animali aperto da queste parti?”

“No, ma posso ordinare cibo per cuccioli a un drone, con consegna al tuo punto di destinazione. Venti. Minuti.” Che la sua Intelligenza Artificiale potesse capire che gli serviva del cibo per cuccioli solo campionando i suoni della cabina a volte lo spaventava. “Ti suggerirei anche di comperare collari, tappetini anti-pipì e targhette identificative. Abbiamo un’offerta con il 20% di sconto…”

“Molto bene.” Non serviva prendere delle decisioni se la sua IA lo poteva fare per lui! Fece rallentare il camion, dando uno sguardo dietro e mise la freccia. “Quanto manca alla cantina?”

“Dovresti raggiungere la tua destinazione in. Sette. Minuti.” La voce tacque quando lui azionò il volante per girare a destra. “Proseguire per due chilometri e cento metri, poi voltare a sinistra su Fishburn Road.”

Sette minuti. Poi ci voleva un’altra mezz’ora per lo scarico, il che concedeva al drone tutto il tempo per arrivare. Ma si sa. La IA non avrebbe parlato dell’offerta se non ci fosse stata una finestra adeguata. “Perfetto. Ordina il cibo per cuccioli, ciotole, tappetini, collari – un attimo.” Alzò un dito dal volante. “Controlla che si tratti di cibo biologico.”

“So come la pensi, amico mio.”

“Vorrei prendere le maledette decisioni per mio conto!”

“Chiaro. Per i cuccioli ci sono cinque alimenti biologici disponibili alla consegna coi droni. Vuoi l’elenco?”

Dude strinse il volante fino a farsi venire bianche le nocche. Maude era solo una macchina. L’aveva progettata un maledetto individuo. Ma le persone avevano uno scopo. “Guarda quelli che hanno quattro stelle o più e scegli quello al miglior prezzo. E sì, so che ogni volta ti dico di farlo, ma potrei cambiare idea, capito? Posso farlo. Ok?”

“Certo, amico.” La voce del sistema era sempre nella forma calma imperturbabile. “Ci sono cinque cuccioli. Vorresti ordinare del cibo per quanti giorni?”

Dude aspirò per dire qualcosa, ma si bloccò con la bocca semiaperta. Per quanto tempo avrebbe voluto tenere i cuccioli? Non poteva certo tenere cinque cani adulti nel camion. Buddy infilò la testa tra il braccio di Dude e il petto, infilandosi sotto l’ascella.

“Ehi, ehi!” rise spingendo via il cucciolo che si agitava. “Non così.”

“Voltare a sinistra su Fishburn Road.”

“Merda.” Dovette premere il freno all’improvviso per rallentare alla curva, sicché Puppy Uno e Blanca caddero a terra in un groviglio di pelo giallo e bianco. “Oh, accidenti. Chiedo scusa, piccoli.”

Lasciò un po’ il freno e poi premette di nuovo piano, perché il camion non scodasse. Riuscì così a fare la curva a velocità abbastanza sicura e girò il volante felice. Giusto. Ma una macchina può avere coscienza del tempo di reazione preciso per un movimento delicato del volante?

“Prima della prossima curva devo avvisarti in anticipo?”

“Chiudi il becco!”

L’IA emise un suono di conferma e rimase in silenzio. Meno male. Dude guidò per un altro mezzo chilometro e si maledisse. Non ricordava per niente come fare per arrivare alla cantina. Cavoli. Meno male che sulla cartina non c’era più il cucciolo – ma la cartina non era più sul sedile. “Merda. Maude, svegliati.”

L’IA sbadigliò. Qualcuno diceva che era intelligente? “Buonasera, amico. Cosa posso fare per te?”

“Lascia stare, e dimmi come faccio ad arrivare all’Azienda vinicola delle Montagne Rocciosa.”

“Benissimo, amico. Tra ottocento metri, voltare a destra su Beeson Lane. La tua destinazione sarà sulla destra.”

“Ottimo.” Dude tamburellò con le dita sul volante. “Una settimana. Cibo per cuccioli per una settimana.”

“Benissimo, amico.”

Era il tempo sufficiente per trovare loro una casa. Lo avrebbe dovuto fare fin dalla prima uscita.

Puppy Uno si rizzò sulle zampe posteriori, per salire sul sedile, ma ogni rimbalzo del mezzo lo faceva ricadere sul pavimento. Al tentativo successivo, Dude afferrò il cucciolo per la collottola e lo trascinò sul sedile. Ma in quel momento lesse il cartello Azienda vinicola delle Montagne Rocciose nel fascio dei fari

“Ecco!” Dude rallentò è inserì la freccia. Certamente avrebbe potuto trovare questo posto da solo. E che cavolo!

Quando Beeson Lane apparve bene in vista, Maude confermò: “Volta a destra su Beeson Lane. La tua destinazione è sulla destra.”

“Lo so. Avrei potuto arrivarci anche senza riaccenderti. Sai ci sono dei cartelli. Per gli esseri umani.” Il che era abbastanza vero: ce n’era uno bello grande con su scritto Azienda vinicola delle Montagne Rocciose proprio accanto all’ingresso.

Voltò nel vialetto e sentì le ruote scricchiolare sulla ghiaia. La ghiaia! Proprio questo era il punto. Adesso il camion slittava un po’ nella ghiaia sotto di lui. Dovette cambiare marcia per risalire la collina verso la cantina. A mano!

Un drone ronzava giù dalla collina e cominciò a girare attorno al camion. Maude si schiarì la gola. “Il drone ti indicherà la banchina di scarico.”

Poteva proprio fare a meno di dirglielo. Era così in quasi tutte le cantine che aveva visitato. C’era sempre un drone che usciva fuori, verificava il camion, campionava il contenuto per assicurarsi che non trasportasse contaminanti e poi lo scortava lungo un percorso certificato fino alla banchina di carico e scarico. E non era la prima volta che passava da quella maledetta cantina. Il proprietario si chiamava Jamie ed era un vecchio, balordo, ma divertente. E c’era Taffy. Un cane vecchio. Un buon cane. Forse…

Accidenti. Taffy era un cane giallo.

Dude scosse la testa. No, era successo in un altro Stato. Non poteva essere lo stesso cane e Taffy aveva, tipo, cent’anni più o meno. Arrivato alla sala di degustazione, sterzò e manovrò in retromarcia.

Facendosi vedere nello specchietto retrovisore, Jamie si avvicinò il portello di carico. Jamie, un uomo asciutto, capelli grigi sempre nascosti sotto un berretto di maglia, tranne che in piena estate, stava in piedi con le mani sui fianchi. La testa dritta sul collo e sembrava sempre incazzato.

Dude si umettò le labbra, fermò il camion e inserì il freno a mano che rispose con un sibilo idraulico. Poi strofinò le orecchie di Buddy. “Augurami, buona fortuna.”

“Buona fortuna…”

“Maude, piantala.” Dude afferrò il suo blocco appunti dal vano portaoggetti, e Buddy era in piedi su due delle sue zampe tozze a leccargli il mento.  Bene, quello era il suo augurio di buona fortuna.

Aprì la porta e Jamie era già lì vicino. “Sei in ritardo.”

“Lo so. Mi dispiace un sacco.” Dude saltò giù dalla cabina.

“Ho qui gli uomini che aspettano di caricare. Ho dovuto pagarli per stare lì a far niente… Cuccioli!” Le sopracciglia di Jamie si arcuarono in un sorriso nato dal nulla.

Puppy Uno era in piedi sul bordo della cabina e si dimenava per l’ansia mentre cercava di capire quanto fosse distante il terreno. Dietro di lui, si erano radunati gli altri cuccioli: una massa di lanugine e di code in agitazione.

Dude si allungò verso la cabina e accarezzò un orecchio. “Sono questi il motivo del mio ritardo. La loro mamma è finita nel traffico e…”

“Oh, accidenti…”

“Sì.” Dude percepì un caldo strusciarsi contro la gamba che lo fece barcollare un po’ e Taffy era lì, in piedi sulle zampe posteriori a guardare i cuccioli. “Oh ehi, Taffy. Vuoi dirgli ciao? Sì… ok? E se li facessi scendere?”

Jamie si tolse il berretto, grattandosi la testa. “Ma certo. Non ho mai visto Taffy così… Sì. Falli scendere.”

Dude sollevò per primo Puppy Uno mettendolo a terra, poi dovette fare in fretta per impedire a Blanca e Nero di cadere giù. Una volta sceso Toppe, Buddy uggiolava, saltando di qua e di là sul bordo della cabina e la piccola macchia a forma di cuore ardente si arricciava per l’agitazione.

“Un momento, piccolo. Arrivo.”

Fece scendere l’impaziente Buddy che gli diede una leccata sul collo, dimenandosi di gioia. Dude lo mise vicino agli altri e tutti si affollarono attorno a Taffy che muoveva la coda come se dovesse battere un tamburo. E adesso c’era anche il pubblico. I lavoratori di cui aveva parlato Jamie, si erano radunati lì mentre Dude faceva scendere i cuccioli. Alcuni operai adesso si erano seduti per terra, cercando di convincere i cagnolini a venire verso di loro.

Puppy Uno si era rigirato sulla schiena e lasciava che Jamie gli strofinasse la pancia. “Che cosa ne vuoi fare di loro?”

“E confesso che non lo so. Ma non potevo lasciarli lì.” Dude sollevò lo sguardo al cielo. “Ho una consegna con droni in arrivo con del cibo per i cuccioli.”

“La terremo d’occhio.” Jamie accarezzò le orecchie di Puppy Uno. “Non è vero, tesoro? Ma che brava bimba. Sei tanto brava?”

“È una femmina?”

Jamie alzò lo sguardo, le sopracciglia alzate. “Sì. Sorpreso?”

“Credo di sì.” Riuscì a non dire che secondo lui Puppy Uno doveva essere un bimbo perché era audace. Una stupidaggine. Qualche volta Dude si comportava da idiota, ma non era quel tipo di idiota.

L’uomo in piedi vicino al camion, aspettava che Jamie leggesse il suo manifesto di carico o quel che era, ma al centro della scena c’erano i cuccioli. Alla fine, indicò vagamente il retro del camion. “Be’… magari apro io. Che dici? Ho qui il mio manifesto di carico.”

Jamie si alzò, da dove si era accovacciato vicino a Puppy Uno e Taffy. Due fasci di pelo giallo scodinzolanti. “Ah, vero. Scusa se ti ho lasciato lì. Non la vedevo così vivace da… be’, da almeno un anno.”

“Non c’è problema.” Provò a non lasciar cadere la mascella con troppa evidenza. Jamie si era appena scusato. Mai successo. Eppure, era Dude che era in ritardo e, a dirla tutta, aveva portato qui una notevole ragione di distrazione. Anzi cinque distrazioni in miniatura. Si diresse verso il retro del camion, prima che qualcuno potesse accorgersi di quella follia.

Per chiudere il portellone dietro aveva usato un lucchetto di vecchio tipo. Uno per cui serviva una chiave di vero metallo, il che si era rivelato un enorme deterrente contro il crimine. I truffatori sapevano come falsificare un’identificazione digitale o un’autenticazione a due fattori, ma se trovavano un lucchetto fisico? Non sapevano cosa fare. Infilò la chiave nella serratura e Jamie emise un fischio. “Ehi, una serratura Yale?”

“Sì…” Dude girò la chiave, sentendo il meccanismo che ticchettava contro il metallo. “Ti intendi di lucchetti?”

“No, li ricordo niente di più. Molto tempo fa. Nella mia scuola si usavano ancora per gli armadietti.” Jamie grugnì mentre Dude toglieva il lucchetto dal portellone. “Dovrei comperarne uno per la vineria.”

“Ce ne sono quanti ne vuoi su E-bay. Vedi solo che sia un lucchetto corredato da chiave, perché è complicato trovare un fabbro che le sappia costruire.” Dude saltò sulla banchina di carico e sollevò il portello sul retro, facendo uscire uno sbuffo di aria fredda.

La metà dei cassonetti si era rovesciata. “Cacchio.” Dude chiuse gli occhi, come se ciò gli potesse impedire di vedere il danno che aveva causato alla merce. “Merda. Scusa. Ho dovuto fare una frenata improvvisa quando… “

Aprì gli occhi e indicò vagamente i cuccioli. Jamie saltò sulla banchina di carico accanto a lui. “Accidenti.”

“Mi dispiace. Ti risarcirò per il danno, ovvio.”

Jamie fece un passo nel camion, le mani sui fianchi nella sua posa caratteristica. Si chinò e raccolse uno dei bidoni gialli. “Facciamoli scaricare e vediamo quanto è brutto.”

“Già. Giusto.” Dude lo seguì e raccolse uno degli altri bidoni. “Fammi sapere cos’altro posso fare per aggiustare ‘sta cosa.”

“Che ne dici di un cucciolo?”

Dude lasciò quasi cadere il bidone. “Dici davvero? Insomma. Sì. Sì, sarebbe fantastico. Hanno bisogno di una casa e… sì, amico. Grazie.”

Ci fu poi una breve pausa quando arrivò il drone con la consegna del cibo per i cuccioli; subito dopo, il camion fu scaricato in fretta. La squadra di Jamie si diede da fare avanti e indietro a trascinare i bidoni. Dei centocinquanta bidoni d’uva, sette non erano recuperabili. Il che, in realtà, non era un grosso problema, ma Dude aveva rovinato il suo perfetto curriculum. Un camion automatizzato non avrebbe fatto quella frenata improvvisa. E soprattutto non avrebbe investito il cane.

Perché diavolo si intestardiva a guidare?

Quando fu scaricato l’ultimo bidone, Dude recuperò il suo blocco per gli appunti e vide che Jamie stava giocando al tiro alla fune con Puppy Uno. “Vuoi quella?”

“Pensavo… quasi, quasi di prenderli tutti. Credo che qui, per la ditta, ce ne vorrebbero due a far compagnia a Taffy. Poi c’è un mio operaio che mi ha detto di volerne adottarne uno. E penso che un paio potrebbero interessare anche ad altri due operai.” Spostò il berretto quasi sugli occhi e si grattò la nuca. “Del resto, non credo tu voglia avere il camion pieno di cani.”

“Oh.” Dude rigirò il blocco per gli appunti tra le mani. Era giusto. Una grande vigna per giocare, e non uno stretto camion. Avrebbe dovuto trovare subito un veterinario e lasciarceli. “Ma sì. Certo.”

Jamie gli tolse il blocco per gli appunti. “Adesso finiamo le pratiche.”

“Certo. Io… mm… ti lascio il cibo per i cuccioli e tutto il resto.” Ora aveva la gola secca per la commozione. Dude si schiarì la voce. “E posso aiutarti a pagare le scatolette in futuro e quel che ci vuole.”

“No, hai già fatto il tuo dovere fermandoti a salvarli. Non molti lo avrebbe fatto.” Jamie firmò il manifesto di carico. “Trovo che tu sia stato perfetto.”

Perfetto? I cuccioli erano rimasti orfani perché Dude aveva ucciso la madre. Dude si schiarì la gola e riprese le sue carte in fretta, quasi strappandole via. “Meglio che io vada.”

Mentre risaliva in cabina gli bruciava la gola. C’era il puzzo di cani lì dentro e involucri di manzo vegano essiccato in ogni dove.  Le sue carte geografiche erano per terra e uno dei cuccioli ci aveva fatto la pipì sopra. Dude mise le mani sul volante. Lui da solo e la libera strada davanti. Giusto?

“Cacchio.”

Dude aprì la portiera del camion e saltò giù. “Senti, mi sono sbagliato. Buddy è mio.”

Jamie alzò le sopracciglia. “Lo terrai dentro al camion?”

“Certo.” Dude si accoccolò e tese le mani verso Buddy facendo un clic con la lingua. Buddy abbandonò subito la foglia con cui stava lottando e fece un piccolo guaito. Agitò la coda tanto forte che quasi cadeva, ma riuscì saltare su Dude. Buddy piantò le piccole zampe tozze sulle ginocchia di Dude, si sollevò e gli diede tanti baci sul mento. Dude sorrise, grattando la pancia gialla e bianca del cucciolo. Figurati se un camion robot potrebbe fare questo. “Autotrasporti artigianali LLC. Cosa c’è di più vero di un cane?”

Buddy si rovesciò a terra, dimenandosi per l’eccitazione e la gioia. E anche tutto questo era autentico.

FINE

© 2022 by Mary Robinette Kowal
© 2022 traduzione Franco Giambalvo

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Nata a Raleigh, ha studiato alla East Carolina University, diplomandosi in educazione artistica con una specializzazione in teatro. All'inizio lavora come burattinaia nel 1989. Si è esibita al Center for Puppetry Arts e ha lavorato per la Jim Henson Productions e con una sua compagnia di produzione: è una scrittrice, particolarmente nota nell'ambito della fantascienza e del fantasy.