Mary Robinette ha scritto questo racconto per un’antologia dal titolo Destination Prague e me lo ha inviato scrivendomi così:

“Il copyright della storia è mio, ma non ho quello del personaggio principale, per cui non posso ‘vendere’ la storia a un altro mercato, né inserirla in una antologia.

Però posso regalarla a te Franco, in occasione del tuo nuovo compleanno. Tanti auguri!

Dopo averla prontamente tradotta la propongo anche a voi!

 

Fili d’amore

Il Dottore si sistemò il sedano al rever della giacca e uscì dal TARDIS, sotto il Ponte Carlo, sull’Isola di Kampa.

Stando un po’ in disparte, aspirò il sigaro soddisfatto e pensò: “Ah, Praga!.”

Il sole del tramonto disegnava lunghe ombre create dai piloni di pietra del ponte, che si ergeva sulla Moldava come un antico castello gotico.

Un urlo dall’alto.

I suoi due cuori batterono all’impazzata: il Dottore si voltò e vide un uomo lanciato oltre la balaustra.

Costui agitava inutilmente braccia e gambe fino a schiantarsi sull’isola con un rumore secco di ossa rotte. Si precipitò in quella direzione, ma dopo pochi passi, l’uomo si risollevò.

Nessun essere umano può sopravvivere a un simile schianto.

L’uomo si mise in piedi, facendo qualche passo. Salutò il Dottore con la mano, poi si sollevò di colpo in aria come se fosse stato catturato da un raggio trattore dei Velderon.

C’era qualcosa di molto strano in tutto questo. Sulla Terra del 2181 nessuno aveva ancora le risorse per attivare una tecnologia anti gravità. Per altri cinquant’anni la Terra non si sarebbe ripresa dalle Guerre del Petrolio.

Il che significava che su quel ponte c’era un alieno.

Il Dottore si arrampicò per una lunga serie di stretti scalini. Presso la balaustra vide una giovane donna inginocchiata, che cercava di avvolgere un uomo con una stoffa. “Scusatemi.”

La ragazza sollevò gli occhi, il volto pallidissimo all’ombra della balaustra. “E voi chi sareste?”

“Io sono il Dottore e voi?”

“Kája.” La donna si passò il dorso della mano sugli occhi. “Scusate, il vostro abito edoardiano mi ha un po’ confusa; Siete un tale di ….importanza?”

“Proprio così.” Si inginocchiò accanto alla stoffa per vedere il corpo.

Le mani di Kája tremavano, mentre cercava di rimettere a posto il tessuto. “Quando farete….. l’importanza?”

Il dottore fu sorpreso. Il circuito traduttore del TARDIS in apparenza funzionava bene, ma quella frase non aveva senso. ”Scusate?”

“La commedia….. L’importanza di chiamarsi Ernesto. A quando la prima?”

“Ah!” la donna parlava di una commedia teatrale. “Mi dovete perdonare. Credevo voleste parlare…” il Dottore scosse il capo, perché voleva tornare all’argomento principale. “Sentite, non credo che possiate fare domande su di me, quando qui avete un cadavere.”

Kája sollevò gli occhi bruscamente; li aveva rossi. Lui comprese solo allora che la ragazza aveva pianto. “Non è un cadavere.” Aprì il telo per far vedere la testa. “È una marionetta.”

Adesso l’uomo caduto dal ponte aveva un altro significato; la donna aveva buttato la marionetta dal ponte e poi l’aveva tirata su coi fili. La marionetta era a misura d’uomo e terribilmente realistica. Il viso liscio fissava gli occhi al cielo, come se intendesse contare le stelle. Sulla testa una parrucca nera, con taglio a scodella. Non aveva l’aspetto aquilino, ma assomigliava vagamente ad Adric. Il Dottore allontanò lo sguardo dalla marionetta. Adesso non era il caso di pensare ad Adric. “E chi dovrebbe essere?”

La donna fissò il burattino, col viso immobile. “Il mio fidanzato.”

“Fidanzato?”

Lei lo fissò come se fosse un po’ scemo. “Una sua copia. Dovevo fare la marionetta di Juro Janošik per il nostro spettacolo di burattini Krofta e ho utilizzato Dušan come modello.”

“E perché lo avete gettato dal ponte?”

Gli occhi le si riempirono di lacrime e sembrò ancora più giovane di quanto il Dottore avesse creduto. “Domani giustizieranno Dušan. Lo so è una follia, ma ho voluto vedere che effetto facesse una defenestrazione…” Un singhiozzo le scosse il petto. Kája si coprì la bocca con le mani, come se provasse a trattenere il dolore.

Il Dottore rovistò nelle tasche, a cercare un fazzoletto e lo trovò infilato sotto la palla da cricket. “Mi dispiace.” Le offrì il fazzoletto.

Kája lo prese e si asciugò gli occhi. “Domani non voglio piangere. Non voglio che Dušan mi veda in questo stato. Non alla fine.”

“E perché lo vogliono…?”

“Uccidere?” la ragazza accarezzò la guancia della marionetta. “Ha abbattuto un albero, per permettermi di costruire un burattino.”

Il Dottore sobbalzò. Dopo le Guerre del Petrolio i combustibili erano diventati scarsissimi, per cui la deforestazione rampante aveva convinto molte nazioni a imporre pene terribili sui disboscamenti non autorizzati. “Che cosa posso fare per aiutarvi?”

“Niente, a meno che non siate in possesso di un deus ex machina portatile, che possa passare attraverso i sistemi di sicurezza e uscirne.” Kája rise come se i suoi polmoni si rompessero dentro. “Ho quasi pensato di scambiare il burattino con Dušan, ma è impossibile.”

Deus ex machina… Un vecchio termine teatrale che cominciò a far balenare qualcosa in testa al Dottore. “In realtà… Potrei aiutarvi credo. Adesso dov’è imprigionato Dušan?”

“Al Municipio nuovo.”

Il Dottore annuì, perché una parte del piano si era incastrato. Le prime defenestrazioni a Praga erano avvenute al Municipio nuovo nel 1419. A quel tempo lui non era riuscito a fermarle, ma sapeva bene dove si trovassero le celle. Doveva solo pilotare il TARDIS, poi scambiare Dušan con il burattino. Si accigliò pensieroso. Una figura immobile non avrebbe però potuto ingannare le guardie. “Avete un altro burattino fatto con lo stesso legno usato per Janošík?”

Per la seconda volta quella sera, Kája lo fissò come se fosse un po’ scemo. “Sì. Certo. Perché?”

Il Dottore sollevò la marionetta in versione Dušan e se la gettò in spalla. “Prendete l’altro burattino e vediamoci in fondo alle scale.”

“Mi spiegate perché, o devo indovinarlo da sola?”

Il Dottore si fermò all’inizio delle scale. Quante volte aveva dovuto convincere qualcuno a fare quel che chiedeva sulla fiducia, senza dover spiegare che lui era un Signore del Tempo? “Ho un piano per portare via Dušan. Però mi serve assolutamente quell’altro burattino. A meno che voi non abbiate un piano migliore…?”

Qualcosa cedette nella ragazza. Lui aveva già visto quel comportamento, con altre persone, in altri tempi. Quando tutto sembrava senza speranza, la gente era propensa a credere a qualsiasi possibilità proposta.”

Kája annuì. “Va bene, ci vediamo sotto.”

Sotto al ponte il ronzio del manipolatore universale riverberava sulle pietre. Il Dottore passò lo strumento sopra le giunture del burattino Dušan, concentrandosi per ottenere la giusta risonanza sul pupazzo più piccolo che era stato posto accanto.

Kája stava appoggiata al TARDIS e intrecciava i fili che aveva tagliato dal burattino Dušan. “Adesso sì che è chiaro.”

Il Dottore fece una smorfia. Doveva finire in fretta la modulazione del legno, per permettere a Kája di fare pratica. “Quasi finito.”

La ragazza gettò a terra i fili. “Finito cosa? Non capisco che cosa stiate facendo.”

Il Dottore spostò il manipolatore sul polso destro, ultima giuntura da attivare. “Suonate qualche strumento musicale?”

“Il violino. Un po’.” Si accucciò accanto all’uomo. “E questo che cosa c’entra con tutto il resto?”

“Non vi è mai capitato di sentire vibrare lo strumento quando qualcun altro suonava una nota?”

La ragazza annuì.

“Si tratta di vibrazioni simpatiche prodotte dalla risonanza sonica. Per cui se riuscite ad allineare esattamente tutto quanto, il vostro strumento produrrà la stessa nota.” Il Dottore si rialzò, terminando la sua azione. “È quello che ho fatto adesso.”

“Avete fatto musica?”

“No, guardate.” Il Dottore trasse il filo sul braccio del burattino piccolo. Il braccio si sollevò seguendo il movimento del filo.

Il burattino grande di Dušan, lì vicino, sollevò il braccio in contemporanea. Non c’era nessun filo sul suo braccio. Per lo meno, nessun filo visibile, tutto eseguito tramite vibrazioni simpatiche del legno che collegavano in maniera inestricabile le due marionette.

Kája fissò stupita la copia di Dušan. “Ma come?”

“Provate voi.”

Kája assunse il controllo della piccola marionetta ponendola in posizione seduta. Anche il burattino Dušan si sedette. “Oh mio Dio.” A Kája ritornò la speranza, riuscendo a far alzare in piedi Dušan e poi farlo camminare. Ogni movimento che lei eseguiva con la piccola marionetta si riproduceva esattamente in quella grande.

Il Dottore si sfregò le mani. Pareva proprio che avrebbe funzionato. “Benissimo. Allora, adesso, vado a prendere Dušan.”

Kája si voltò a guardarlo e istintivamente fece voltare anche i burattini verso il Dottore. Tre paia di occhi parevano richiedere una spiegazione.

Il Dottore appoggiò una mano sul TARDIS. “questo è il mio deus ex machina” e dicendolo appoggiò la marionetta Dušan in un angolo della camera di pilotaggio del TARDIS e preparò una rotta per l’interno del Municipio nuovo.

Solitamente i piccoli salti sono facili, soprattutto se si evitava di muoversi contemporaneamente nel tempo. Altrimenti quel suo vecchio trabiccolo poteva diventare irascibile. Quando il TARDIS atterrò, il Dottore aprì la porta.

In mezzo a un prato.

Due lune in cielo.

Si rinfilò dentro al TARDIS. In un angolo c’era Andric, la testa piegata in avanti dopo l’ennesimo fallimento. Il Dottore provò un brivido, poi la sua visione si rimise a fuoco. Lì, nell’angolo c’era solo la marionetta.

Il Dottore strinse i denti. “Questa volta no.” In questo viaggio non doveva morire nessuno. Avrebbe salvato Dušan.

Controllò due volte il percorso e schiacciò nervosamente il bottone di partenza. Aveva invertito le coordinate della cella ed era andato a finire dall’altra parte della galassia. Dopo aver resettato, il Dottore pilotò il TARDIS proprio dentro la cella del Municipio nuovo.

Prese la marionetta e aprì la porta. In fondo alla cella il vero Dušan era seduto, con la schiena contro il muro. Il Dottore sollevò la mano del burattino e salutò Dušan. “Salve. Kája mi ha chiesto di portarvi a casa.”

Il Dottore attese la defenestrazione di Dušan sul tetto della chiesa di Sant’Ignazio, che dominava il Municipio nuovo. Il vero Dušan era ormai accanto a Kája, coi capelli tinti di biondo e tagliati corti. Con un artificio teatrale pareva una persona del tutto diversa.

Kája non smetteva di guardarlo, come se non credesse che lui fosse davvero lì. “Spero che tua madre sappia cosa fare.”

Dušan disse, “Sì, farà bene. Lo spettacolo deve continuare……..”

Dopo essere ritornato con Dušan, il Dottore non aveva avuto difficoltà a spiegare alla famiglia che avrebbero dovuto comportarsi come se Dušan fosse ancora imprigionato nella cella del Municipio nuovo. Avevano capito benissimo che se l’esecuzione non avesse potuto aver luogo, le guardie avrebbero continuato a cercarlo.

Il Dottore sorrise a Kája. “Il finale è in mano vostra.”

“Lo so.” La ragazza prese il controllo della marionetta piccola. Se lei non fosse intervenuta, le guardie si sarebbero accorte che Dušan era scappato, lasciandosi dietro solo una copia fasulla di se stesso.

Per la prima parte del cimento, l’alter ego di Dušan non sarebbe stato visibile a loro, essendo dentro la cella e Kája avrebbe dovuto manipolare la marionetta solo seguendo il proprio istinto. Il burattino piccolo era appoggiato contro una parete, come se dormisse. Il petto si sollevava in un’illusione di respiro.

Un braccio si sollevò in aria senza nessun comando, in risposta del controllo di un filo invisibile che lo collegava al burattino Dušan.

“Sono arrivati.” Kája cominciò la sua opera.

Il Dottore osservava, affascinato la ragazza combattere contro forze invisibili. Poteva facilmente immaginarsi le guardie che trascinavano la marionetta verso il suo fato, come in un teatro di burattini.

La faccia di Dušan si fece pallida. “Eccoli.”

Marionetta e guardie furono improvvisamente visibili attraverso la finestra della torre nel Municipio nuovo. Adesso anche Kája poteva vederli e spostò un gomito di legno del burattino, facendolo schiantare nella pancia di una delle guardie. Lottò per liberarsi dalla stretta, quindi lanciò la marionetta di Dušan verso la finestra, da dove saltò di piedi, mani sollevate sulla testa come un tuffatore. Per un attimo il burattino parve sospeso al di sopra del cortile.

Poi cadde.

La folla che circondava la piazza boccheggiò in un unico suono, quando l’oggetto raggiunse il suolo.

Kája lasciò i controlli del suo burattino, che adesso era lì sul tetto, senza vita e distrutto.

Dušan la strinse nel suo abbraccio. Kája non lo lasciava andar via, piangendo di felicità.

Sotto di loro, la madre di Dušan raccolse il corpo come se fosse stato davvero quello di suo figlio, piangendo e strillando con più intensità della Compagnia dei Piagnoni di Glertuon V. Pianse molto più forte di quanto non avesse fatto il Dottore alla morte di Adric. In questo caso, però, suo figlio era vivo.

Gli innamorati si districarono dal loro abbraccio e si rivolsero al Dottore. Disse Kája, “Non so come ringraziarvi.”

“Mi fa sempre piacere aiutare qualcuno verso un lieto fine,” fece un inchino svolazzante.

Kája rise. “Da adesso vedrò sempre favorevolmente i deus ex machina in uno spettacolo.”

Copyright © 2019 Mary Robinette Kowal, All rights reserved
Traduzione © 2019 Franco Giambalvo, tutti i diritti riservati.

Premi Hugo: Mary Robinette Kowal
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Nata a Raleigh, ha studiato alla East Carolina University, diplomandosi in educazione artistica con una specializzazione in teatro. All'inizio lavora come burattinaia nel 1989. Si è esibita al Center for Puppetry Arts e ha lavorato per la Jim Henson Productions e con una sua compagnia di produzione: è una scrittrice, particolarmente nota nell'ambito della fantascienza e del fantasy.