Introduzione

Antonio Bellomi autoreAntonio Bellomi è un caro amico e mi concede la pubblicazione di molti suoi racconti per cui lo ringrazio davvero tanto. Essendo poi particolarmente geloso della sua serie  Uriel Qeta, Planetologo questo racconto lo considero una vera chicca per i nostri lettori.

F. G.

Racconto

La prima esplosione colse il dottor Uriel Qeta assolutamente alla sprovvista, quando era appena rientrato nel suo appartamento di Luna-City dopo avere tenuto un’inconcludente conferenza nell’auditorium dell’Istituto di Selenologia ad un gruppo di selenologi piuttosto distratti di fronte alle sue argomentazioni, ma molto più affascinati dalle lunghe gambe delle hostess di generose misure che un improvvido sponsor aveva graziosamente fornito all’istituto.

Altro boato proprio mentre premeva il pulsante per alzare la serranda metallica che proteggeva la vetrata del suo studio che dava su una landa cosparsa di crateri e l’onda d’urto lo fece traballare. La serranda si bloccò a metà e le luci si spensero, mentre si accendevano due piccole luci autonome di emergenza dall’incerta tonalità verdolina.

«Che diavolo…?» esclamò lo scienziato, stupefatto.

Incidenti si erano verificati anche altre volte a Luna-City. Da quando era diventato residente nella colonia lunare mai aveva avvertito una scossa di tale entità. Aspettò qualche secondo in attesa che le luci tornassero, ma proprio mentre stava per avvicinarsi al visifono per vedere se la linea funzionava ancora ci fu una seconda e ancora più forte esplosione e questa volta sarebbe decisamente caduto se non si fosse aggrappato allo schienale di una poltrona.

Due esplosioni!

E di quella entità. Era incredibile. Era sicuro che fosse successo qualcosa di grave. Per fortuna non al generatore atomico principale, altrimenti Luna-City sarebbe schizzata nello spazio per il suo primo viaggio interstellare sotto forma di minuscoli frammenti.

Provò ad azionare il visifono ma come era prevedibile la linea era muta. In quel momento, per una delle rare volte nella sua vita, provò un istante di panico. Si precipitò verso la porta e, quando, come prevedibile, il pulsante elettrico non funzionò, manovrò freneticamente il chiavistello meccanico che fortunatamente funzionò.

La porta si aprì e Uriel Qeta si trovò nel corridoio del suo centro abitativo che si stava riempiendo di gente spaventata che usciva dai propri alloggi. Le domande si incrociavano nell’aria.

«Che cos’è successo?» era la più ovvia.

«C’è stata un’esplosione,» disse una donna di mezza età. E un uomo subito la corresse: «No, le esplosioni sono state due.»

Poi qualcuno lo riconobbe e una studentessa di medicina planetaria che abitava nell’appartamento adiacente al suo gli corse incontro. «Pensate che ci siano feriti, dottor Qeta? Forse all’ospedale avranno bisogno di me.» Grazie a Dio almeno lei non sembrava avere perso la testa.

Lo scienziato annuì. «È molto probabile. Le esplosioni sono state molto forti, non riesco proprio a immaginare che cosa possa essere successo.»

«È saltato il generatore atomico,» affermò con sicurezza un uomo che indossava una tuta da meccanico. «Ve lo dico io, solo un’esplosione atomica poteva avere un tale violenza.»

«Calma, calma!» Uriel Qeta sollevò le braccia per riportare la calma. Ci mancava altro che la gente si facesse prendere dal panico. Quasi tutti lo conoscevano su quel piano e lo consideravano uno scienziato autorevole per cui non gli fu difficile calmare gli animi.

«Non può essersi trattato del generatore,» spiegò quando le voci si abbassarono. «Se si fosse trattato di quello… be’, non saremmo qui a parlarne adesso…» concluse sforzandosi di emettere una risatina che però gli riuscì solo in parte. «Sono sicuro che si tratta di qualcosa di infinitamente meno pericoloso, anche se il botto è stato veramente forte. Vedrete…»

Non terminò al frase, perché in quel momento si sentì tirare per un lembo della giacca.

«Dottor Qeta…»

Era un uomo con l’uniforme della Polizia di Luna-City, che aveva già visto altre volte.

«Il Capo vi vuole,» gli disse l’uomo sottovoce. «Ha detto che è assolutamente indispensabile la vostra presenza.»

Il Commissario Capo della Polizia di Luna-City non aveva l’abitudine di chiamarlo per la minima quisquilia. In quel momento lo scienziato si rese conto che doveva essere davvero successo qualcosa di molto grave.

* * *

Il Commissario Sukyung lo accolse scuro in volto tra le macerie del Centro Comunicazioni. Il viso tirato e le profonde rughe sulla fronte fecero intuire allo scienziato che la situazione era senz’altro molto più grave di quando si potesse immaginare.

«Grazie di essere venuto,» gli disse semplicemente il capo della Polizia Lunare. I due uomini si tirarono in disparte per lasciare passare due barellieri che trasportavano un corpo sanguinante, con una flebo collegata al braccio.

«Che disastro,» osservò lo scienziato guardandosi attorno. «Il Centro Comunicazione è completamente distrutto.»

«Infatti, e siamo completamente tagliati fuori da ogni comunicazione con l’esterno,» confermò  Sukyung con una smorfia. «Siamo completamente isolati.»

«Un incidente?»

Sukyung scosse la testa, tetro in volto. «No, attentato.»

Attentato!

Uriel Qeta si sentì percorrere da un brivido. Quanto si era sempre temuto si stava verificando e da quanto poteva vedere, i terroristi avevano avuto completamente successo.

Come se gli avesse letto nella mente Sukyung continuò: «Due gruppi di terroristi hanno agito quasi contemporaneamente. Il primo doveva fare esplodere il generatore atomico principale, ma le misure di sicurezza hanno impedito loro di avvicinarsi abbastanza da provocare il disastro totale.

Sono però riusciti a mettere fuori uso le linee di distribuzione e in questo momento l’unica energia presente a Luna-City è quella dei piccoli generatori autonomi di emergenza. I tecnici stanno lavorando freneticamente per riattivare la maggior parte delle linee in tempi brevi, o almeno quelle principali.»

«Mentre il secondo gruppo ha colpito il Centro Comunicazioni,» commentò ancora, guardandosi attorno, «e da quel che vedo con pieno successo.»

Sukyung annuì, mentre seguiva con gli occhi due altri soccorritori che portavano via un cadavere straziato. «Qui sono riusciti a raggiungere completamente il loro obiettivo. Non sappiamo di quanti uomini fosse composto il gruppo, perché non ci sono stati superstiti, ma riteniamo fossero almeno tre o quattro uomini, per poter piazzare un numero di cariche sufficienti a combinare questo disastro.»

Che fosse un disastro non c’erano dubbi. il dottor Qeta osservò le travi contorte messe a nudo, gli armadietti con le circuiterie incendiate, i pannelli di controllo ridotti a un ammasso informe di metallo e vetro che si era fuso per il calore. Ci sarebbero voluti mesi per ripristinare il Centro.

«Di quale gruppo si tratta?» chiese, ma sapeva già la risposta, come gli confermarono le parole seguenti del capo della Polizia.

«Del Fronte Indipendentista Planetario, di chi altri?» rispose  Sukyung, amareggiato. «Sono anni che ci minacciano e questa volta sono riusciti nell’intento. Abbiamo trovato un messaggio di rivendicazione su uno dei terroristi uccisi nell’attacco al Centro Comunicazioni.»

Lo scienziato annuì. Il Fronte Indipendentista Planetario era composta da una miscela eterogenea di elementi, quasi tutti uomini e donne nati nello spazio e che non avevano alcun legame con la Terra. Da anni reclamavano uno stato autonomo tutto per loro nella cintura degli asteroidi, privo di qualsiasi forma di sudditanza nei confronti della Terra, a differenza della Luna e degli altri pianeti, che pure con amministrazioni autonome, erano legate al pianeta madre in una specie di moderno Commonwealth spaziale.

«Si può vederlo?»

Sukyung sussultò come preso alla sprovvista e distolse gli occhi da un gruppo di cadaveri stesi al suolo smembrati e resi irriconoscibili dalla violenza dell’esplosione. «Che cosa?»

«Il messaggio di rivendicazione,» rispose quietamente Uriel Qeta. «Vorrei esaminarlo.»

«Ah, sì.» Il capo della Polizia aprì una cartella che aveva in mano e tolse una busta trasparente che conteneva un cartoncino. La scritta su di esso era molto breve.

libertà ai pianeti
dove non arriveremo noi arriverà

la vendetta del gemello verde

Fronte Indipendentista Planetario

* * *

«Non ci sono dubbi sul gruppo terroristico,» osservò Uriel Qeta, restituendo la busta al Commissario Capo. «Ma non capisco questa allusione al “Gemello Verde”. Avete qualche idea?»

Il commissario Sukyung scosse la testa. «È la prima volta che sento questa espressione. Vi ho chiamato appunto perché speravo che ci poteste dare qualche indicazione.»

«Purtroppo non sono molto esperto di terrorismo,» rispose mestamente il planetologo. «Bisognerà interpellare i database del Centro Antiterroristico terrestre. Per quando prevedete di allacciare un contatto sia pure d’emergenza?»

Il capo della Polizia sollevò le braccia in segno di disperazione. «Non ne abbiamo idea. L’unica possibilità che vedo in tempi brevi è di raggiungere con un gatto lunare l’Osservatorio Lunar 2 situato nel Mare Australe sulla faccia nascosta della Luna. Là hanno un impianto di comunicazioni planetarie che tramite i satelliti relè può comunicare con la Terra. Ma ci vorrà almeno una giornata.»

Improvvisamente si sentirono in lontananza gli echi di raffiche di armi automatiche ripercuotersi attraverso i corridoi metallici del Centro Comunicazioni. I due uomini sussultarono e anche i soccorritori si fermarono.

«Non è ancora finita!» urlò  Sukyung e si lanciò fuori dalla porta seguito da Uriel Qeta che sulla Luna riusciva a muoversi con agilità nonostante i suoi centotrenta chili di peso. I due uomini percorsero buona parte del lungo corridoio di collegamento con le altre cupole prima che apparisse un’auto elettrica con a bordo un uomo della Sicurezza.

«Sono venuto a prendervi, capo,» gridò l’agente. «Hanno attaccato anche la batteria missilistica!»

Sukyung e Uriel Qeta balzarono a bordo sull’auto ancora in movimento, che con una rapida inversione di marcia riprese la direzione da cui era venuta.

«Cos’è successo di preciso?» chiese  Sukyung, scuro in volto.

L’uomo al volante sollevò una mano stringendo il pugno in un gesto di rabbia. «Ci hanno attaccato con armi automatiche, tre uomini. Ma questa volta eravamo in stato d’allarme e li abbiamo messi fuori combattimento prima che riuscissero a fare esplodere delle cariche. Due di loro sono morti, ma il terzo, anche se ferito gravemente, è vivo.»

Uriel Qeta provò un brivido. Se i terroristi fossero riusciti a fare partire i missili contro la Terra avrebbero provocato un disastro di notevole proporzioni. È vero che non erano missili molto potenti, giusto quelli che potevano servire per affrontare un attacco da parte di un’astronave armata, ma se un missile avesse centrato una città come New York o Londra….

L’auto elettrica procedeva a tutta velocità, che però non era elevata.  Sukyung prese a battere i pugni sulla fiancata per l’impazienza mentre mormorava: «Bastardi, bastardi!» Come se gli avessero fatto un torto personale.

Dopo sette o otto minuti l’auto riuscì finalmente a raggiungere la cupola che ospitava la batteria missilistica, dopo avere superato numerosi blocchi di controllo dove venne accertata l’identità del Commissario Capo prima di farla proseguire.

«Adesso si svegliano!» imprecò Sukyung tra i denti. «Qualcuno la pagherò cara!»

Uriel Qeta non disse nulla. Capiva l’esasperazione del capo della Polizia, ma si rendeva anche conto che nulla avrebbe fatto pensare che gli Indipendentisti sarebbero passati alla lotta armata. Fino a quel momento si erano limitati ad azioni dimostrative di portata limitata.

* * *

Il ferito era stato adagiato su una barella e aveva un ago della flebo nel braccio. Una medicazione sul torace indicava che era stato colpito da una raffica automatica. In quel momento due infermieri e un medico lo stavano caricando su un’ambulanza elettrica dopo quella prima sommaria medicazione.

«Fermi!» urlò Sukyung scaraventandosi giù dall’auto. «Quell’uomo non va da nessuna parte.»

Il medico tentò di protestare. «Ma è ferito, dobbiamo portarlo subito in ospedale per essere operato.»

Con una manata il capo della Polizia lo spinse da parte e si accostò al ferito. «No, questo non si muove da qui fin quando non mi avrà detto quel che mi interessa sapere.»

Nonostante gli avessero somministrato un antidolorifico, il ferito diede segno di avere capito, perché sorrise e biascicò qualcosa.

Sukyung si chinò su di lui, furente. «Che cosa hai detto, bastardo? Quanti di voi ci sono ancora in circolazione? Che altri bersagli dovete colpire?»

Il ferito continuò a sorridere. A Uriel Qeta non fu chiaro se avesse effettivamente capito, ma il capo della Polizia si infuriò e lo scosse per un braccio. «Parla se vuoi essere curato. Ti giuro che ti faccio morire qui dissanguato se non parli. Non me ne frega se poi verrò processato.»

Il medico tentò di nuovo di intromettersi dicendo: «Capo…», ma  Sukyung non lo lasciò neppure terminare e questa volta la manata con cui lo scaraventò contro la parete fu decisamente più forte.

«Parla!» continuò implacabile rivolto al ferito.

Questi girò gli occhi verso di lui e ne scaturì un lampo di odio puro. «Il gemello… verde… sta per arrivare…» biascicò. Sembrò perdere la forza per continuare ma poi il fanatismo e l’odio gli fecero ritrovare l’energia necessaria. «Il gemello… viene dallo spazio…» sorrise di nuovo, «…adesso abbiamo… il missile atomico… Operazione Gemello Verde… gemello verde…ah…» Negli occhi gli apparve un’espressione di estatico fanatismo.

Il capo della Polizia lo scosse con violenza. «Chi è il gemello verde… da dove viene?»

«Un’astronave…» rispose il ferito con espressione trasognata. L’anestetico stava facendo effetto. «Sarà qui entro… meno di un’ora… gemello verde….»

IL dottor Qeta provò una stretta al cuore. Un’astronave, un’arma nucleare. Luna-City non avrebbe avuto scampo se fosse stata centrata da un missile atomico.

Gocce di sudore imperlarono la fronte del Commissario Capo. Fece per scuotere di nuovo il ferito, ma dietro di lui il medico disse: «Non può più rispondervi. Non vedete che il sedativo l’ha addormentato?»

«E allora svegliatelo!» urlò  Sukyung.

«Neanche morto,» ribatté tranquillamente il medico e fece cenno agli infermieri di caricare il ferito sull’ambulanza.

Sukyung guardò il veicolo che si allontanava poi vibrò un pugno contro la parete metallica rivestita di plastica. «E adesso che cosa facciamo?» chiese irosamente, rivolto allo scienziato.

«Vediamo quali astronavi ci sono in avvicinamento e quali si trovano entro un’ora di distanza,» rispose tranquillamente il planetologo. «La batteria missilistica ha un mini generatore autonomo, dovremmo riuscire a individuare l’astronave dei terroristi e poi…»

Sukyung lo guardò spiritato. «E poi distruggerla!» esclamò. «Abbiamo cinque missili nel deposito e dovrebbero bastare.»

* * *

La plancia della batteria missilistica era immersa in una luce piuttosto tenue in modo da dare risalto ai grandi pannelli a parete che riproducevano le sei direzioni spaziali, nord, sud, est, ovest, zenit e nadir.

Una serie di computer erano accesi di fronte alla parete e gli operatori erano intenti a operare i rilevamenti direzionali, in preda a una frenesia che inutilmente cercavano di nascondere.

«Astronavi nel raggio di meno di un’ora di distanza,» commentò il colonnello Mariam Foluso, responsabile della batteria missilistica, una splendida mulatta, che in un altro momento avrebbe attirato l’attenzione incondizionata da Uriel Qeta. «Non dovremmo metterci molto a individuarle.

colonnello Mariam Foluso«Speriamo bene,» brontolò il Commissario Capo. «Non abbiamo molto tempo a disposizione. Se arrivano a lanciare il missile prima di noi, siamo perduti.»

In quel momento arrivò, tutto trafelato, anche il Hadji Goran, Governatore di Luna-City. «Mi hanno avvertito di una nuova emergenza,» disse. «Qualcuno mi vuole spiegare che succede?»

Il Commissario Capo lo prese in disparte e lo ragguagliò sotto voce sugli ultimi sviluppi. Il Governatore si sbiancò in viso e si lasciò sfuggire una sommessa imprecazione.

Nello stesso istante uno degli operatori gridò, tutto eccitato: «Un rilevamento!»  e quasi immediatamente gli fece ecco un secondo operatore «Altro rilevamento!»

Dalle postazioni dei computer le immagini vennero proiettate sugli schermi a parete e un istante dopo un terzo operatore proiettò l’immagine di una terza astronave.

Non ce ne furono altre.

Il commissario Sukyung lanciò un’imprecazione. «Tre astronavi!» esclamò. «Troppe, come facciamo a sapere qual è quella dei terroristi?»

Il colonnello Foluso si chinò su un operatore. «Il trasponder ci fornisce l’identità delle astronavi. Vediamo cosa riceviamo.»

L’uomo armeggiò un momento con la tastiera e un istante dopo tre nomi comparvero sullo schermo.

Sedna.

Praseodimio.

Barion.

«Il database delle astronavi,» comandò il colonnello. «Svelti.»

Un altro operatore fece una rapida ricerca. Il computer non ci impiegò che qualche secondo per fornire le risposte.

«Sedna, astronave da carico di classe Star 1, immatricolata presso il registro di Urano. Adibita in particolare al trasporto di minerali. Praseodimio, astronave da carico di classe Star 2, immatricolata presso il registro di Marte, tipo di carichi non specificato.  Barion,  astronave da prospezione di classe Star 1, immatricolata presso il registro di Ganimede. Opera principalmente nella Cintura degli Asteroidi.»

«La Cintura degli Asteroidi!» esclamò il capo Sukyung. «I ribelli devono essersi impadroniti di questa astronave.»

Il colonnello Foluso guardò il Governatore in attesa di ordini. Questi chiuse gli occhi per un attimo ed evidentemente nella sua mente si raffigurò la scena di una Luna-City investita da un missile atomico, perché quando li riaprì parlò con decisione. «Approntare tutte le contromisure difensive.» E subito dopo aggiunse a voce così bassa che nessuno lo sentì: «E che Dio ce la mandi buona.»

«Preparare i missili!» abbaiò il colonnello.

Un gruppo di operatori addetti a una consolle separata prese ad azionare freneticamente una serie di pulsanti. Anche se in passato non c’erano mai state vere emergenze, il loro perfetto addestramento permise di reagire rapidamente ma senza panico.

«Silos 1 aperto!»

«Silos 2 aperto!»

«Silos 3 aperto!»

«Silos 4 aperto!»

«Silos 5 aperto!»

«Fase 1 completata,» disse il capo batteria.

«Passare a fase 2,» comandò il colonnello.

Di nuovo ci fu un correre di mani sulle tastiere dei computer.

«Un momento!» si intromise Uriel Qeta.

La sua interruzione provocò un moto di stupore in tutta la sala. Nessuno si sarebbe mai sognato di intromettersi mentre il colonnello dava ordini.

Né questi l’avrebbe tollerato.

«Buttatelo fuori,» comandò senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Un agente del servizio di sorveglianza fece per avvicinarsi al planetologo, ma Sukyung lo bloccò con un gesto. Foluso inarcò un sopracciglio, seccata, ma soprattutto stupefatta per quello che considerava un segno di anarchia nel suo regno.

«Sentiamo cos’ha da dire,» disse quietamente il capo della Polizia. «Il dottor Uriel Qeta è un mio consulente e ho la massima fiducia nelle sue capacità di giudizio.»

Dall’espressione del suo viso il colonnello Foluso sembrò deglutire un topo marcio, ma abbozzò. «Basta che si sbrighi,» disse seccamente. «Non abbiamo molto tempo a disposizione.»

«Oh, penso di sì,» osservò pacatamente Uriel Qeta. Gettò un’occhiata all’orologio e fece un rapido calcolo mentale. «Prima che quelle astronavi giungano a una portata utile per lanciare un missile ci vorranno almeno dieci minuti. E calcolando che a quel punto il missile atomico dell’astronave dei terroristi impiegherà altri dieci minuti per raggiungere la Luna, vuol dire che noi da quel momento disporremo di cinque minuti per farlo esplodere a mezza strada, cioè abbastanza lontano da noi da non provocare danni.»

«Perché non distruggerlo subito?» chiese Foluso suo malgrado. Se lanciamo un missile adesso, fra un quarto d’ora sarà tutto finito.»

Sukyung lanciò un’occhiata a Uriel Qeta, ma questi non si scompose.

«Certo, sempre però che il Barion sia proprio l’astronave dei terroristi,» osservò pacatamente.

Nella sala ci fu un moto di sorpresa e il colonnello Foluso inarcò le sopracciglia ben curate. «Mi pare che tutto indichi che l’astronave dei terroristi sia proprio quella. Se gli scateniamo addosso tutti i missili contemporaneamente elimineremo il problema senza intoppi.»

«Oh, no.» Urie Qeta adocchiò una poltrona e si lasciò cadere sopra. Odiava stare in piedi, anche se sulla Luna ciò non gli costava molto sforzo. Congiunse le mani a punta sotto il mento e assunse un tono cattedratico. «Prima di tutto, se lanciamo tutti i missili contemporaneamente, i terroristi avranno tutto il tempo di accorgersi di essere loro il bersaglio e reagirebbero lanciando a loro volta il missile atomico, il che vuol dire che poi non avremo più alcun missile a disposizione per intercettarlo e farlo esplodere nello spazio.»

Il Governatore si grattò il mento. «Giusta osservazione,» disse, guadagnandosi un’occhiataccia dal colonnello.

Uriel Qeta proseguì come se non avesse sentito. «Ma il punto più importante è “siamo proprio sicuri che l’astronave dei terroristi sia il Barion”? Il fatto che traffichi nella Cintura degli Asteroidi non prova in modo inconfutabile che sia l’astronave che cerchiamo.»

Il colonnello Foluso lo guardò poco benevolmente poi controvoglia ammise. «L’osservazione è giusta. Ma in tal caso non ci resta che distruggere tutte tre le astronavi.  Non possiamo correre rischi. Se disponessimo ancora del nostro sistema di comunicazione potremmo ordinare alle astronavi di allontanarsi dalla Luna e di mettersi in standby in una zona di sicurezza. A quel punto l’astronave che non obbedisse sarebbe inequivocabilmente quella da noi cercata.»

Uriel Qeta annuì. «Ed è appunto per questo motivo che i terroristi hanno distrutto il Centro Comunicazioni. Il primo attacco contro il generatore centrale era un diversivo per creare confusione e attaccare il Centro Comunicazioni. Distrutto questo non avremmo più potuto metterci in contatto con le astronavi in prossimità della Luna. Evidentemente hanno calcolato i tempi in modo da arrivare in contemporanea con altre due astronavi.»

Ci fu un attimo di silenzio. Gli uomini alle consolle avevano girato la testa verso di loro per vedere come sarebbe finita quella schermaglia. Non erano abituati a vedere contrastare il loro capo.

Gli occhi di Foluso si posarono sullo schermo con i nome delle astronavi.

«Sedna, Praseodimio e Barion,» mormorò e c’era un tono di incertezza nella sua voce. Poi, dopo un istante aggiunse: «Io non me la sento di aspettare che parta il loro missile per intercettarlo coi nostri. Se per disgrazia sfuggisse all’intercettazione…»

«Ma anche distruggere tutte e tre le astronavi…» cominciò il Governatore. Era l’alternativa del diavolo. Uccidere pochi innocenti per salvarne un numero di gran lunga maggiore. Per un uomo politico il dilemma non era solo morale, ma anche di immagine. Quale uomo politico avrebbe mai voluto passare per il massacratore di innocenti? In preda alla frustrazione diede una manata a una consolle. «Se solo sapessimo che cos’è il gemello verde!» esclamò. «Se hanno dato quel nome all’operazione un significato ci deve essere.»

«Il tempo passa,» si intromise il capo batteria. «Ci restano cinque minuti per lanciare i missili senza problemi.»

Il Governatore si passò una mano sulla fronte. Grondava di sudore. Per un momento parve incapace di prendere una decisione, poi l’urgenza della situazione sopraffece la convenienza politica. Guardò il colonnello Foluso che era in attesa di un ordine e annuì con un cenno della testa. «Proceda.»

«Lock-in con tre missili su tutte e tre le astronavi,» ordinò il colonnello Foluso. Il comando fu dato senza esitazione, ma la voce era evidentemente alterata. «Teniamo due missili di riserva nel caso che facciano in tempo a lanciare il loro dannato missile atomico e dobbiamo intercettarlo.»

Le mani degli operatori corsero di nuovo sui tasti battendo una sinfonia di morte. Iniziò il conto alla rovescia.

«Coordinate di lock-in impostate.»

«Missili armati.»

«Missili pronti al lancio,» disse il capo batteria.

Nella sala era sceso un silenzio gelido e carico di tensione.

«Tempo utile tre minuti,» segnalò il cronometrista.

Non c’era più tempo.

Il colonnello Foluso strinse il pugno e aprì la bocca.

Uriel Qeta balzò in piedi di scatto, con gli occhi sfavillanti. «Il Praseodimio, colonnello! Date ordini di distruggere il Praseodimio

La donna lo guardò esterrefatta, ma esitò a dare l’ordine. Uriel Qeta la guardò con occhi supplichevoli. «Fidatevi di me colonnello. Che stupido a non arrivarci subito. Il Praseodimio è il nome di un lantanide nella tavola degli elementi di Mendelejev e in greco significa appunto gemello verde, perché…»

«Modificare le coordinate,» ordinò il colonnello Foluso con voce gelida, dopo un cenno di conferma del Governatore, che sembrava avere perso la voce. «Lock-in con due missili sul Praseodimio.»

«Lock-in modificato,» disse il responsabile.

«Fuoco!» ordino il colonnello Foluso.

Due dita premettero contemporaneamente due pulsanti rossi.

«Missili lanciati,» segnalò il capo batteria.

Nella sala scese un silenzio mortale.

Sullo schermo a parete apparvero le righe rosse dei missili intercettori diretti verso la loro preda. Nulla a quel punto li avrebbe più potuti fermare. La tensione era altissima. Uriel Qeta stesso, che pure era sicuro della sua decisione, sentì un nodo per nulla piacevole alla bocca dello stomaco.

Passarono lunghi minuti di tensione, mentre la distanza diminuiva a vista d’occhio, poi uno degli addetti al computer lanciò un grido.

«Il Praseodimio ha lanciato un missile!»

Un profondo sospiro sfuggì a tutti quanti e nonostante ora il pericolo per la Luna-City fosse quanto mai reale era evidente che si sentivano più sollevati. Il pericolo adesso era riconoscile… e affrontabile. Ed erano stati addestrati per questo.

«Due missili intercettori contro il missile nemico!» ordinò il colonnello

«Lock-in effettuato,» disse il responsabile.

«Fuoco!»

Di nuovo due scie rosse saettarono lungo lo schermo a parete. Gli occhi di tutti erano incollati alle tracce dei missili.

La prima collisione avvenne tra il missile atomico e i due missili intercettori lanciati dalla base lunare. Nello spazio si allargò una nube luminosa che invase gran parte dello schermo e nella sala si levò un grido corale di trionfo.

«Ce l’abbiamo fatta…» esalò Sukyung e per la prima volta il volto del colonnello Foluso si ammorbidì, mentre la donna si volgeva verso il planetologo. «Dottor Qeta…» cominciò, ma non fece in tempo a continuare, perché nella sala scoppiò un applauso.

Gli altri due missili avevano centrato il Praseodimio che esplose silenziosamente e senza abbaglianti palle di luce, come era avvenuto per il missile atomico.

Sempre rivolta allo scienziato, il colonnello disse: «Vi ringrazio, mi avete risparmiato la sofferenza di dover vivere col rimorso di avere ucciso gli equipaggi innocenti di due astronavi.» Scrollò la testa. «Senza di voi avrei commesso un gesto atroce.»

«Avremmo commesso,» osservò il Governatore Goran con voce malferma. Uriel Qeta non seppe decidere se con quella frase il Governatore intendeva riferirsi realmente alla condivisione della responsabilità di quella possibile tragedia o se intendeva sottolineare indirettamente che era stato lui a dare il benestare per attaccare tutti e tre gli obiettivi e che su di lui si sarebbero scatenate le critiche dell’opinione pubblica. Conoscendo il tortuoso modo di pensare dei politici propendeva per la seconda ipotesi.

«Tuttavia sarebbe stato necessario,» osservò pacatamente il planetologo. «Non avevate scelta, se volevate salvare Luna-City e la vita di migliaia di persone. Ma grazie per avermi dato ascolto.»

Il commissario Sukyung sollevò una mano. «Scusate se mi intrometto,» disse. Ma vorrei che il dottor Qeta ci spiegasse perché il praseodimio è chiamato “gemello verde”.

«Per via di una riga verde presente nel suo spettro, che lo fa distinguere dal neodimio, cioè “gemello nuovo”. Sono due elementi delle cosiddette “terre rare”, oggi meglio conosciuti col nome di “lantanidi”, che nella tabella di Mendelejev…

Il colonnello Foluso gli sorrise amabilmente. «Non è necessario che ci tenga una lezione di chimica, dottor Qeta. Posso invece avere il privilegio di invitarvi a cena, non appena le cose saranno tornate a funzionare normalmente a Luna-City?»

Il planetologo si inchinò galantemente. «Con vero piacere, mia bella signora.»

 

© 2005 by the author

Antonio Bellomi
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ha svolto la sua attività nel campo dell’editoria per più di cinquant’anni. Ha diretto numerose testate dedicate al giallo, alla fantascienza, all’horror, al western e al fumetto. Ha scritto praticamente per ogni genere di letteratura popolare, dal giallo alla fantascienza, dal western alla narrativa per ragazzi e ha pubblicato più di trecento racconti su una miriade di periodici.