Joshua O’Brien è un personaggio davvero inquietante e chi lo presenta non poteva essere altri che Filippo Zelli, autore di una serie spazio-temporale di grandissimo effetto, come I Cancelli di Hynterion, di cui abbiamo ampiamente parlato su queste pagine. I personaggi cari a Filippo, vivono anche delle vite parallele, che sono comparse in pubblicazioni su Amazon e su questo sito, come Dodici Ore, (anche su Amazon) e questo Joshua O’Brien in cui troviamo qualche personaggio della saga di Hynterion, come il misterioso agente Zeta

 

 

Siamo creature minuscole in un universo
che non è né benigno né maligno…
è solo enorme e indifferente a noi,
se non come anelli della catena della vita.
Harlan Ellison

 

Parigi – Aula numero 7 della Global Intelligence Agency – novembre 2436 

«Perdonami, agente Cassél, non ho compreso quale sia l’argomento del corso di oggi.»

L’altro si voltò e alzò il sopracciglio; quindi, la sua retina scanner lesse il chip identificativo della giovane seduta al suo fianco.

«Non credo esistano molte chiavi di lettura, agente Kox.»

«Mi stai dicendo che oggi si parlerà davvero di elementi storici sulla lettura della mente?»

«Puoi sempre aspettare che il corso inizi, l’agente Zeta sarà qui tra poco.»

Josgua O'Brien: l'agente Zeta

Agente Zeta

«L’agente Zeta?»

«Già, considerati fortunata se sei rientrata nella selezione, conosco gente che pagherebbe per essere al tuo posto.»

«Davvero?»

L’altro ridacchiò e si mosse furtivo, come per nascondere le sue parole a invisibili ascoltatori.

«Si tratta di uno degli elementi più misteriosi di tutta la G.I.A., secondo molti neanche esiste, il suo vero nome è classificato. Devo ammettere che siamo in pochi impallinati a essere a conoscenza del suo mito.»

La ragazza piegò il collo e aguzzò lo sguardo

«Quindi… sei un nerd!»

«Sappi che, da oggi, potresti diventarlo anche tu, agente Kox.»

La ragazza fece per rispondere, ma la sua attenzione fu catturata dall’improvviso cessare del brusio di fondo che saturava l’aula.

Un’ombra apparve oltre la cattedra, tutti i presenti percepirono un’attrazione gravitazionale tanto impetuosa da rendere impossibile qualsiasi distrazione.

«È agghiacciante, agente Cassél, i suoi abiti scuri, quei capelli grigi, sembrano venire da un’altra epoca, e quegli occhi…»

«Si, proprio così, sono di ghiaccio e sembra che penetrino le carni. Dimostra più o meno cinquant’anni, ma dalla sua aura sembra che esista da sempre su questo mondo.»

***

L’uomo fissò la platea per un breve istante ed estrasse un oggetto che nessuno dei presenti aveva mai visto; quindi, lo portò alla bocca e lo accese. Il sistema di aerazione automatico si attivò all’istante.

«So già che non è consentito fumare, potrete sporgere un reclamo formale al direttore una volta che avrò concluso la lezione; in ogni caso, nessuno di voi morirà di cancro per questo.»

Nessuno osò dir nulla.

L’agente Zeta attivò un’oloproiezione, che mostrò una vecchissima immagine in bianco e nero di una donna con indosso strani abiti.

Joshua O'Brien: suor Clarissa Verlaine«Signori, vi presento suor Clarissa Verlaine.»

L’uomo appoggiò i palmi alla cattedra e aspirò il fumo, così da concedere alla platea un istante di stupore.

«Si, credo che nessuno di voi sappia cosa sia una suora; allo stesso tempo, do per scontato che qui dentro si fatichi a comprendere il motivo per cui un essere umano abbia scelto di andare in giro conciato in quel modo. Sembrano sottigliezze, ma sono essenziali per analizzare quanto accaduto.»

Zeta si allontanò dalla cattedra e si avvicinò alle postazioni di coloro che seguivano la lezione. Camminò adagio, lungo una linea parallela con la prima fila; nel far ciò, tenne il suo tizzone tra le dita della mano destra, mentre il suo sguardo si ancorò su un punto di fuga non ben definito.

«Grazie al lavoro degli agenti speciali dell’epoca, alcuni dei quali, possiamo dirlo, seppero guardare oltre le apparenze, è possibile affermare che il caso di suor Clarissa Verlaine rappresenti una vero e proprio tesoro per quanto concerne lo studio dei poteri mentali.»

L’uomo aprì una nuova oloproiezione, che mostrò l’immagine di un vecchio foglio scritto a penna, e notò subito le espressioni sui volti dei presenti.

«Comprendo il vostro stupore: la calligrafia della gente del tempo, quella di coloro che sapevano scrivere, era frutto di lunghe ore di esercizio e il risultato estetico era stupefacente. Ciò che ci interessa, tuttavia, non è la pur ragguardevole forma, ma la sostanza di queste parole. Perché questo, signori, è il diario segreto di suor Clarissa Verlaine.»

Zeta mostrò l’immagine successiva, le altre due scorsero sullo sfondo.

«Questa, signori, è New Orleans nell’anno 1919. La fotografia è stata ricostruita con le moderne tecniche e appare dettagliata nei contorni e nei colori. Inutile che vi stupiate, quella gente camminava in mezzo alle pozzanghere e ai cavalli, ed era probabile che usasse gli stessi abiti per giorni e giorni.»

New Orleans 1919

L’uomo spense la paglia e ne accese subito una nuova, osservato con fastidio da alcuni presenti.

«Clarissa Verlaine, come da lei stessa annotato, proveniva da una povera famiglia di origine francese. Era stata introdotta in un convento in giovane età, la sua educazione e le sue abitudini quotidiane erano volte al lavoro umile e alla preghiera, nient’altro.»

Il brusio della sala si fece evidente.

«Per favore, è inutile giudicare un simile fenomeno storico con i parametri di un cittadino di quest’epoca. A noi tutto ciò sembrerà grottesco, barbaro, ma simili pratiche hanno avuto luogo, in forme via via sempre più blande, fino al ventiduesimo secolo. Piuttosto, a noi interessa analizzare gli eventi che sconvolsero la vita di Clarissa Verlaine. Tutto iniziò quando, un bel giorno, entrò in scena un tizio di nome Joshua O’Brien. Del quale abbiamo un unico documento.»

Joshua O'BrienL’oloproiezione mostrò l’immagine intera, rielaborata, di un giovane afro americano di bell’aspetto.

Zeta posizionò in parallelo la pagina del diario di Clarissa Verlaine; iniziò a leggerla senza servirsi dell’adattatore, tra lo stupore dei presenti.

***

Ero alla gabbia per il mio turno di pulizie. Erano le undici del mattino, quando un’eco di passi, lungo lo stretto pertugio tra le case che conduce al cancello, catturò la mia attenzione. Chi mai avrebbe potuto avvicinarsi, forse era il solito mendicante in cerca di aiuto, ma dal suono capii subito che quelle erano le scarpe di un ricco. Mi voltai e fui abbagliata dal sorriso di un ragazzo dalla pelle scura, alto e slanciato, con la sua bellezza esaltata dalle pregiate stoffe che indossava. Abbassai lo sguardo, per non ricadere in pensieri impuri.

***

L’istruttore fu interrotto dal vociare degli increduli presenti.

«Purtroppo, amici, la vita di tanti fu votata alla castità e alla cultura del sacrificio, con l’obiettivo di ottenere una non ben specificata ricompensa dopo aver tirato le cuoia. Molti, come la nostra Clarissa Verlaine, finirono per condurre un’esistenza ancor più disgraziata di quella, già miserabile, a cui la loro condizione di base li aveva costretti.»

Una volta ristabilita la calma, l’agente Zeta ricominciò la lettura del diario.

***

Disse di chiamarsi Joshua O’Brien, che era nuovo del posto e aveva bisogno di informazioni. Gli chiesi per quale motivo fosse venuto a chiederle a me.

«La gente non si fida di un negro con i vestiti buoni, e non provo piacere nel parlare con chi vorrebbe fregarmi, se potesse. Un’innocua suora, forse, farebbe al caso mio.» così mi rispose. Dopo che ebbe pronunciato quelle parole, provai un’inopinata e piacevole leggerezza, come se avesse dato una carezza ai miei pensieri.

In verità non ero un’esperta del quartiere, ma conoscevo alcuni posti dove quel ragazzo avrebbe potuto trovare quello che gli serviva. Gli indicai dove si trovavano ma, mentre gli parlavo, dovetti voltarmi, per non essere di nuovo indotta in tentazione da quel sorriso fisso su di me. Fece per andarsene, ma poi mi chiese quando avrebbe potuto trovarmi lì, nel caso avesse avuto di nuovo bisogno. Io non ci pensai un attimo e gli risposi che, ogni mattina dopo le dieci, ero nei paraggi. Lui andò via e io non riuscii a non osservare le sue forme mentre si allontanava. Corsi nella mia celletta e recitai la mia punizione con il sorriso sulle labbra, nella speranza che Joshua O’Brien avesse avuto, di nuovo, bisogno di me.

***

Dalla platea giunsero alcuni borbottii, Zeta si avvicinò ai banchi.

«Era ovvio che un simile paradosso non potesse che colpire la vostra attenzione. Doversi pentire, seppur in forma ipocrita e non sentita, di essere felici, di un’emozione genuina e positiva. Una mente tanto avvezza a una simile, inconsapevole sofferenza, costituisce terreno fertile per ogni agente esterno capace di liberarla dalle catene invisibili a cui era legata. Se analizzate con attenzione le parole di Clarissa Verlaine, è già possibile intravedere l’anomalia generata da Joshua O’Brien.»

Gli allievi sui banchi notarono il ghigno di soddisfazione sul volto dell’insegnante, quasi lo stesso provasse piacere fisico nel raggiungere il lato annodato stretto delle cose. Lo spettrale Zeta diede l’ordine all’oloproiettore di mostrare una nuova pagina del diario di Clarissa Verlaine.

***

Oggi, con mio grande piacere, ho ricevuto una nuova visita di Joshua O’Brien. Erano passati tre giorni dal nostro primo incontro e temevo di non rivederlo più. Aveva un vestito celeste di lino, che ben assecondava la mia immaginazione. Si scusò del fatto che non fosse passato a salutarmi nei giorni precedenti. Mi chiese per quale motivo mi trovassi in quel posto, perché non rimanessi dentro il convento. La Gabbia, così la chiamavo io, era l’unico luogo che mi consentiva di osservare scampoli di vita esterna senza dover nascondere il mio desiderio di osservare la realtà. Quando uscivo, stavo sempre con lo sguardo fisso sui passi che avrei dovuto percorrere, senza potermi voltare a osservare ciò che avessi ritenuto interessante. Dalla penombra in cui si trovava la Gabbia, invece, era possibile guardare un piccolissimo spicchio di mondo senza che nessuno si accorgesse di una suora troppo spavalda. La pesante cancellata a maglie larghe faceva da ulteriore schermo verso il giudizio altrui. Joshua O’Brien mi chiese cosa sarebbe successo se gli avessi aperto per consentirgli di aiutarmi a svolgere le pulizie. Io gli risposi che, se avesse voluto continuare a vedermi, l’avrebbe dovuto fare da oltre le sbarre della cancellata. Se l’avessero visto entrare, avrei passato anni senza poter uscire dalle sale interne.

Fu a questo punto che lui storse il viso.

«Perché tutto questo, perché non sei libera e felice?» mi domandò

Io, per alcuni istanti, non seppi cosa rispondere, credevo fosse normale che una suora dovesse condurre una vita simile. Ma quella domanda, l’ovvietà di cui era intrisa, il suo sguardo, azionarono in me un meccanismo mentale che fino ad allora era rimasto latente. La presenza di quel giovane fece crollare anche i miei capisaldi mentali più cristallizzati, ebbi la sensazione che i suoi occhi scivolassero lungo i miei pensieri come un lubrificante in grado di rimuovere ogni ossido dagli ingranaggi più bloccati. Tutto ciò, soprattutto, era permeato da un piacevole senso di leggerezza, mai provato in vita.

***

L’agente Zeta tenne la sigaretta tra le labbra e osservò la platea.

«Non è detto che l’azione mentale debba condizionare la volontà di coloro verso i quali è rivolta. Anzi, la stessa sarà ancor più efficace e ben accetta quando si limiterà ad assecondare le vere intenzioni, anche inconsce.»

Una ragazza tra i banchi alzò la mano.

«Afferma con certezza assoluta che quelle parole fossero legate all’influenza mentale di Joshua O’Brien nei suoi confronti?»

«Non potrebbe essere altrimenti; vede, una personalità a lungo repressa, una libertà negata in base a credenze e retaggi culturali, creano una possente sovrapressione emotiva e inconscia. L’apertura di una valvola in grado di far sfogare un simile potere porterà a un inevitabile sollievo, un piacevole senso di leggerezza, proprio come nelle parole della nostra amica.»

Il misterioso insegnante passò a un’immagine successiva.

«Se osservate bene l’oloproiezione, nonostante sia molto sfocata, all’altezza dell’ingresso si intravede un uomo che sembra portare con sé un’ascia. Dovete sapere che, in quel periodo, nella città di New Orleans imperversava un temuto assassino seriale, appunto ribattezzato The Axeman of New Orleans. Secondo molti, l’identità di quell’uomo non è mai stata identificata. Tuttavia, è possibile ritenere che quell’assassino abbia avuto a che fare con la nostra Clarissa Verlaine.»

Zeta lesse ancora alcuni passaggi del diario della suora.

***

Era come un rintocco, mi perseguitava, un oggetto metallico che sbatteva sui muri, su qualunque cosa. In convento le sorelle mi dicevano che era solo la mia impressione, ma io ero convinta che qualcuno avesse preso l’abitudine di seguirmi. Lo scorso martedì tredici maggio uscii per acquistare alcune medicine. Camminavo lungo la strada sulla via del ritorno, ai lati c’erano dei paletti, ai quali era possibile legare i cavalli, disposti alla stessa distanza l’uno dall’altro, circa dieci metri. D’un tratto, nel chiasso della calca caotica, un rumore lontano mi fece gelare il sangue. Accadde una, tre, dieci volte, l’ansia crescente mi fece perdere il conto; ogni qualvolta passavo di fianco ai ferri verticali, sentivo quel battito inconfondibile, proveniente dalle mie spalle, uno o due paletti dietro di me. Mi convinsi che si trattasse solo di una stupida illusione; quindi, decisi all’improvviso di fermarmi poco prima di raggiungere il ferro successivo. Stetti immobile e feci finta di rovistare nella borsa che portavo con me. Non udii alcun suono e decisi di rimettermi in marcia, con gli occhi fissi sul palo che si avvicinava alla mia destra. Appena lo raggiunsi, il rintocco alle mie spalle giunse puntuale. Sentii il cuore giungermi fino in gola e l’istinto mi spinse ad affrettare il passo. Nulla mutò, quel tocco maledetto continuò a giungere puntuale alle mie orecchie, con cadenza più ravvicinata. Svoltai l’angolo che portava al convento e iniziai a correre. Giunsi a ridosso dell’ingresso, mi voltai e vidi, in lontananza, un alto giovane dai capelli rossi, fermo all’altezza dell’angolo. Era probabile che fosse irlandese, teneva in mano un lungo oggetto, forse un’ascia. La distanza era troppa per riconoscerne i lineamenti; rientrai di corsa, consapevole di non aver mai saputo definire, come allora, il senso della parola terrore.

***

L’agente Zeta camminò adagio ed espirò il fumo con una cadenza che sembrò assecondare i suoi passi.

«Non c’era nulla, al tempo, che avrebbe impedito la realizzazione di un crimine. Nessuna ripresa delle zone aperte al pubblico, nessuno studio sui soggetti che potevano costituire un potenziale pericolo. L’unico modo per individuare e inseguire un simile squilibrato, era attendere che colpisse, nella speranza di non essere la prossima vittima, oppure basarsi sulle dicerie popolari, che portarono alla condanna, talvolta alla morte, di molti innocenti. Ma torniamo di nuovo alla storia di suor Clarissa Verlaine e di Joshua O’Brien. É interessante analizzare quanto appuntato dalla nostra amica il quindici maggio 1919, due giorni dopo gli eventi appena descritti.»

***

Mai come oggi, quelle che ritenevo essere certezze hanno vacillato. Joshua è venuto a trovarmi alla gabbia, aveva uno sguardo penetrante, determinato, e ogni qualvolta ho incrociato i suoi occhi tristi ho avuto la sensazione che stesse giudicando il mio passato, i miei pudori. Nel tentativo di interrompere il mio imbarazzo, gli domandai il motivo per cui vestiva sempre in modo così curato ed elegante, a differenza del resto delle persone con le quali condivideva il colore della pelle. La domanda non fece altro che acuire quella strana interferenza. Joshua mi rispose che lui era figlio adottivo di due persone libere e illuminate, che si erano prese cura di lui dopo che i suoi genitori naturali erano morti in un incendio. Era stato educato alla cultura, al rispetto, e non riusciva a tollerare le catene, di qualsiasi tipo, che costringevano esseri inconsapevoli a condurre una non vita fatta di rinunce e sterile devozione. Queste ultime parole mi inflissero un profondo malessere, perché le sentii scavare nelle mie stesse carni.

***

L’agente Zeta diede un lungo tiro; quindi si rivolse alla platea.

«É qui, Signori, che l’azione mentale di Joshua O’Brien si fa più forte. La nostra Clarissa Verlaine prova un palese disagio perché avverte il conflitto interiore tra la sua volontà genuina e il cappio secolare che la lega alla religione e ai suoi voti. L’azione mentale batte sul pesante, ma debole, muro di argilla che blocca la sua ricerca della felicità. Nel suo inconscio, Clarissa Verlaine ha provato a lungo il dolore conseguente a una vita colma di privazioni, ma le catene della mente cosciente le impedivano di vedere dove conduceva il sentiero della sua liberazione. Ciò, fino all’incontro con Joshua O’Brien.»

***

Mi sentii colpita, offesa, e gli dissi che solo l’amore verso Dio poteva condurci alla salvezza. Joshua, per tutta risposta, sorrise e scosse il capo. Il suo sguardo di pena mi fece sentire piccola e indifesa.

«Mia cara Clarissa, non c’è nessun dio, non c’è mai stato. Quello in cui credi è una semplice sovrastruttura edificata dagli uomini nel vano tentativo di vincere la loro paura del buio. Non preoccuparti, non hai bisogno di alcun dio per essere felice, anzi.»

Restai inorridita, per un istante, da tanta blasfemia, ma di colpo avvertii la rottura totale degli argini della mia inibizione. Per un istante ebbi la sensazione che fosse lo stesso Joshua O’Brien a picconare le deboli fondamenta del mio impianto mentale. Passò una mano attraverso le sbarre della gabbia e ne prese una delle mie.

«Non avere paura di essere felice, Clarissa.»

***

Zeta volse la sua attenzione verso una ragazza che chiedeva di parlare.

«Dica pure, immagino già quale dubbio stia per insinuare.»

«Agente Zeta, mi perdoni, ma da queste parole non abbiamo nessuna evidenza che Joshua O’Brien abbia effettuato una reale influenza mentale su Clarissa Verlaine. Le parole della suora potrebbero benissimo essere riferite a sue sensazioni personali, scevre da un’ipotetica azione esterna.»

L’uomo annuì, sorrise e spense la sua sigaretta; quindi, si avvicinò alla finestratura e osservò il panorama esterno per un po’, seguito da ogni sguardo presente in sala. Con l’occhio fisso su un punto lontano, rispose alla sua interlocutrice.

«Vede, amica mia, il nostro lavoro consiste nell’andare oltre le impressioni. Certo, la lezione non è conclusa e lei non è al corrente di tutti gli elementi che abbiamo a disposizione su questo caso. Al suo posto, chiunque potrebbe dedurre che i dati esaminati non diano la certezza che O’Brien abbia svolto un’azione mentale su Clarissa Verlaine. Tuttavia, deve sapere che noi non siamo chiunque, non siamo normali cittadini, non siamo qui per valutare gli eventi secondo un criterio di astratta normalità. La nostra forma mentis deve portarci a considerare parimenti meritevoli di attenzione anche eventualità poco probabili o, all’apparenza, impossibili. In ogni caso, sappia che la nostra valutazione verte su una serie di indizi piuttosto precisi e concordanti. Altri ancora ne verranno e, come lei ben dovrebbe sapere in virtù degli esami di investigazione che ha superato per essere seduta lì, tanti indizi costituiscono una prova.»

Ciò detto, lo sguardo dell’agente Zeta smise di gravitare intorno all’indefinito e si posò di nuovo sulla platea.

La sua smorfia si fece tagliente e provocò un sussulto in tutti i presenti, i quali ebbero l’impressione che quegli occhi fossero capaci di guardare attraverso la loro pelle.

L’uomo, senza dire altro, riprese la lettura del diario.

***

Quelle parole mi tranquillizzarono, anche se continuai ad avvertire un latente conflitto interiore. Joshua mi fissò negli occhi, con un’espressione che non fece nulla per nascondere una certa preoccupazione.

«C’è qualcosa che ti angoscia?»

Io scossi il capo, lui sorrise.

«Non aver paura, sarei felice di aiutarti.» disse ancora.

A quel punto gli descrissi le terribili sensazioni dei giorni precedenti, quel rintocco che mi seguiva, quell’uomo dai capelli rossi. La sua espressione non mutò, per un istante ebbi quella strana impressione che fosse già al corrente di quanto mi era accaduto, come se anche lui avesse sentito il rintocco dell’ascia sui paletti di metallo, oppure avesse visto quell’uomo che mi osservava da lontano. Sembrò annuire, quindi mi rispose.

«É da un po’ che girano voci preoccupanti su un tizio strano e pericoloso, sembra che abbia già ucciso. Purtroppo, ma non è una novità, gli inquirenti sembrano brancolare nel buio. In ogni caso, tu cerca di uscire solo di giorno e nelle ore di punta.»

 Io gli sorrisi e rimasi a fissarlo per un po’, fin quando il freno inibitore dei miei voti di suora prese il sopravvento. Purtroppo, il mio sguardo aveva già tradito i miei pensieri e, soprattutto, i miei istinti, che in tanti anni di convento non ero stata certo educata a mascherare. Lui se ne accorse, ma fece finta di nulla. Prese la mia mano attraverso le sbarre della cancellata e mi salutò.

«A presto, Clarissa, passerò di nuovo, con la speranza di trovarti qui.»

***

Una volta ultimata la lettura del diario, Zeta diede un sospiro e scosse il capo.

«Ancora oggi, amici, mi stupisco di quale sia stata la dimensione del salto culturale che la nostra specie ha avuto nel corso dei secoli. Certo, Clarissa Verlaine era una suora, ma era possibile trovare analoghe costrizioni mentali anche in altre persone del tempo che non avevano intrapreso lo stesso percorso religioso. In ogni caso, anche dai pensieri impressi in questa pagina scritta, una delle ultime del diario, si desume come, al di là delle parole, l’aura di Joshua O’Brien sia rilevante nel determinare il modo in cui la nostra suora percepisce il mondo intorno a sé. Addirittura, Clarissa Verlaine ha la sensazione che O’Brien sapesse già dell’uomo che l’ha seguita e che anche lui avesse sentito quegli angoscianti battiti metallici.»

Ciò detto, l’agente Zeta accese una nuova paglia e ordinò all’intelligenza artificiale di mostrare un’altra immagine all’oloproiettore.

«Questa, signori, è l’ultima pagina del diario. É probabile che voi non riusciate a notarlo, ma posso assicurarvi che dalla calligrafia emerge uno stato mentale di profonda euforia. La vita della nostra amica ha avuto un punto di svolta. Nel momento in cui questa pagina è stata scritta, la suora non esisteva più, ma era rimasta soltanto Clarissa Verlaine, finalmente libera.»

***

In queste lunghe notti, ho coltivato con ansia il solo desiderio di ritrovarmi, di nuovo, in compagnia di Joshua. Erano trascorsi cinque giorni dall’ultimo istante in cui ci eravamo visti, in cui avevo percepito la sua aura potente. Oggi, con mia grande gioia, è venuto di nuovo da me, e lo ha fatto con l’intenzione di cambiarmi la vita per sempre. Ho notato subito che il suo sguardo aveva qualcosa di diverso, e intrigante.

«Cos’hai?» Gli chiesi.

«Clarissa, vieni via con me, andiamocene insieme da qui.» mi rispose.

Io titubai.

«Non… non posso.»

«Non è vero Clarissa, nulla ti trattiene.»

D’un tratto si avvicinò, si appoggiò alla gabbia, mi prese le mani e fece sì che i nostri corpi si avvicinassero, divisi soltanto dalle sbarre metalliche.

«Domattina alle sette passerò a prenderti, fatti trovare qui all’angolo in abiti borghesi.»

In cuor mio sentii il divampare di una nuova forza, ma le catene della mia vita passata, ormai quasi spezzate, tentarono una nuova, disperata quanto goffa, opposizione.

«No Joshua, non posso abbandonare il convento.»

«Non lo devi abbandonare, te ne devi liberare.» disse, per poi avvolgermi tra le sue braccia, con le sue labbra che balenarono sulle mie e poi sul mio collo.

Sentii in me divampare quella profonda passione che fino a quel giorno mi avevano insegnato a chiamare peccato.

Joshua scansò la mia tunica, poi abbassò la mia biancheria; quindi, mi sollevò.

«No, ti prego!» gli feci io, ma il mio voltò lasciò trasparire che fu la più grande bugia che avessi mai detto.

Negli istanti successivi, compresi quanto fosse stato grande il mio errore.

***

Zeta fu destato da un brusio improvviso e interruppe la lettura.

«Signori, vi prego, l’interpretazione di queste ultime parole è così immediata e banale che lo sghignazzare su di esse non ci rende affatto gagliardi e trasgressivi. Siamo pur sempre agenti speciali, non bambini delle scuole primarie.»

L’uomo riprese la lettura, ma per alcuni istanti il suo volto tradì un certo divertimento per il siparietto appena verificatosi.

***

Negli spasmi di piacere maledissi mio padre, che mi aveva portato in convento, maledissi quella fede nociva e, soprattutto, maledissi me stessa, la mia volontà sommessa a un sistema marcio e stantio, alla più grande aberrazione che un essere vivente avrebbe potuto accogliere in sé.

«Domattina mi farò trovare qui fuori» feci mentre trattenevo tutte le forze esplosive che mi spingevano a gridarlo al mondo intero.

«Verrò a prenderti e ce ne andremo, ti porterò in Florida, ti farò vedere New York. Poi visiteremo l’Europa, i miei genitori adottivi hanno diverse case lì.»

Joshua mi tenne per mano mentre mi salutava; mi volse un ultimo sguardo prima di svoltare l’angolo. Poggiai la schiena al muro e osservai le mie vesti di suora scomposte e deturpate. Quella vista non fece che prolungare il piacere provato poco prima; mi sfiorai per un po’, lì, sola nella gabbia, in attesa di iniziare la mia vera vita.

***

L’agente Zeta chiuse l’oloproiezione; quindi, si volse di nuovo alla platea.

«Qui si chiude il diario di Clarissa Verlaine e si apre una nuova era nello studio delle capacità della mente umana.»

L’uomo diede un lungo sospiro e sembrò assumere un’espressione triste e nostalgica.

«Continueremo a domandarci se quei pochi minuti di vera vita siano stati sufficienti a ricompensare la nostra Clarissa di ventotto anni di privazioni e ingiustizie, ma… passiamo oltre.»

L’oloproiettore mostrò una strada di New Orleans occupata da una densa folla.

«L’indomani, il ventuno maggio, molti lavoratori di diversi settori, appoggiati da diversi leader sindacali, organizzarono una manifestazione di protesta per chiedere aumenti salariali e migliori condizioni lavorative.»

L’uomo si interruppe per un istante e accese una paglia, l’ennesima.

«A noi potrà sembrare pittoresco che un lavoratore debba essere costretto a scendere in strada, ma vi assicuro che i diritti che noi diamo per assodati sono stati conquistati da secoli di lotte come questa. Tuttavia, questo interessante specchio di storia non è altro che un nuovo elemento della nostra lezione. Quella mattina, tre ore dopo l’inizio della manifestazione, il cadavere di Clarissa Verlaine fu ritrovato, in abiti civili, nel vicolo attraverso il quale la suora, dopo aver aperto la cancellata della sua Gabbia, poteva uscire in strada.»

L’agente Zeta mostrò una nuova immagine, che suscitò sgomento tra i presenti.

© 2023 Filippo Zelli
La seconda e ultima puntata di questo racconto sarà pubblicata qui, giovedì 4 luglio 2024
Le immagini qui riprodotte sono state realizzate tramite Intelligenza Artificiale.

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Ha iniziato a scrivere nel gennaio 2020, quasi per gioco, poi con il lockdown ha profuso più impegno nel suo progetto, non potendo dedicarsi alla sua professione ufficiale di avvocato che aveva subito uno stop. I cancelli di Hynterion altro non è che l’universo letterario che Filippo ci vuole proporre e che lo terrà impegnato a lungo.