Tra gli innumerevoli racconti che ho scritto nella mia vita, quelli del Club Pigreco sono quelli che mi sono più cari, perché mi sono sbizzarrito con le lingue, la matematica ed enigmi vari. Martin Mistère si prestava benissimo come personaggio principale, come aveva intuito Luigi Cozzi quando mi ha invitato a scrivere un racconto per la sua rivista Mystero tanti anni fa. Però, però devo dire che Jack Azimov è il mio personaggio preferito perché rappresenta un po’ me stesso e mi piace prendermi in giro. Esiste anche una serie di racconti con Uriel Qeta, investigatore planetario, che sono imperniati sempre su enigmi, però in ambito fantascientifico. E a dire il vero esiste anche una serie vecchissima, quella degli Amici della bottiglia, che però in seguito non ho portato avanti, in cui ci sono enigmi da risolvere. Evidentemente è un mio pallino. Io, che non amavo l’Asimov, scrittore di fantascienza, deliravo per i suoi Vedovi Neri e per i racconti dello Union Club, e la derivazione dell’impianto dei miei racconti da questi, è assolutamente evidente e voluta. Del resto è anche vero che prima di Asimov altri autori hanno imperniato i loro racconti su club ed enigmi, per cui siamo tutti debitori a questi vecchi autori.
Prima Pubblicazione
gen 2004, Mystero 44, Mondo Ignoto, Roma
La cena era stata come al solito sopraffina, ma Jack Azimov non sembrava ancora soddisfatto e in attesa del dessert i suoi occhi golosi non lasciavano un istante la porta del corridoio che dava sulla cucina, mentre si aggiustava ancora una volta il suo ormai famoso bavaglione, di cui possedeva una serie infinita, da quelli con discinte donnine che sbucavano da enorme torte alla crema, a quello pulp-spaziale che gli era stato di recente regalato in occasione del compleanno, raffigurante una procace pin-up spaziale inseguita da un mostro tentacoluto e bavoso. E quest’ultimo era appunto il bavaglione che sfoggiava oggi.
«Sempre spaziale, il nostro Jack Azimov!» commentò giovialmente Martin Mystère. «Chissà che per la prossima festa di Halloween non le regaleremo un bavaglione horror con tanto di teschi fiammeggianti! Che ne dice, caro amico?»
La parola Halloween fu sufficiente a distrarre l’attenzione di Jack Azimov dalla porta della cucina e i suoi occhi sprizzarono lampi di fiamma. «Mai!» pronunciò enfaticamente. «Mai e poi mai! Halloween non mi piace. L’horror non mi piace e i teschi mi fanno orrore.»
«Il nostro Jack è un romantico,» intervenne Laszlo Nagy. «Come è stato definito da un critico, Jack Azimov è un bambinone dagli occhi pieni di stelle. Suoi sono gli spazi sconfinati, le galassie vorticanti, i soli fiammeggianti, le astronavi scintillanti e i maelström spaziali…»
«E le giovani mammiferone terrestri inseguite da mostri bavosi,» lo interruppe malignamente Myron Rosenfeld. «Conosciamo bene la sua propensione per le bavagliole erotico-gastronomiche.»
Se il famoso avvocato divorzista aveva anche avuto l’intenzione di punzecchiare Jack Azimov, questi non parve affatto offendersi, anzi. Il suo viso si distese in un sorriso serafico e l’unico suo commento fu «Eh, eh, dice bene il nostro avvocato.»
«Bisogna riconoscere che il nostro Jack è un maestro nel dipingere le battaglie spaziali,» riprese Martin Mystère. «Questo gliel’hanno riconosciuto in molti.»
Myron Rosenfeld sbuffò. «D’accordo, glielo concedo, caro Martin, ma forse Jack dovrebbe impegnarsi maggiormente in una forma di letteratura più moderna. Guardiamo cosa sta facendo in questo momento Victor Stump con la sua serie di racconti di metafantascienza…»
Jack Azimov sussultò punto sul vivo. «E io dovrei scrivere di quella robaccia illegibile!» esclamò. «Mai. Non scenderò mai al livello del mio arcirivale Victor Stump!»
«Ma la critica lo osanna,» osservò Myron Rosenfeld. «I suoi racconti sono molto apprezzati dai critici più moderni…»
«Ba’,» esclamò Jack Azimov scrollando le spalle. «Li conosco i critici. Sono tutti scrittori falliti che non sono mai riusciti a farsi pubblicare o, nel raro caso in cui abbiano pubblicato un libercolo qualsiasi, non sono riusciti a vendere un numero decente di copie.»
Martin Mystère scoppiò in una sonora risata. «Via, caro Jack, ci sono anche critici che hanno parlato di lei in tono elogiativo, come quello di cui parlava poco fa il nostro Laszlo.»
Il viso di Jack Azimov aveva un’espressione dubbiosa. «Sarà, ma un’eccezione non significa granché. Io so solo che di solito i critici amano riempirsi la bocca di parole come topoi, topok e topak. che mi fanno venire l’orticaria…»
«Il nostro Jack è decisamene incorreggibile,» osservò Joshua Murdock, il fisico matematico e in quel momento si udì un suono di gong dal corridoio.
«Ci siamo!» esclamò Myron Rosenfeld indicando la porta che dava sul corridoio della cucina. Questa fu spalancata ed entrò Raj Singh, il cameriere indiano, che spingeva un carrello carico di piatti da dessert.
Gli occhi dei commensali si appuntarono sul contenuto dei piatti e Jack Azimov cominciò immediatamente a salivare. Una reazione che per lui era assolutamente automatica di fronte a ogni leccornia.
«Las ensaimadas!» esclamò lo scrittore di fantascienza. «Da quanto tempo desideravo assaggiare questa specialità spagnola. Caro Myron, le sarò grato per tutta la vita per questo momento di lungamente attesa felicità gastronomica !» Di fronte a quelle leccornie, Jack Azimov aveva già dimenticato le punzecchiature che l’avvocato gli aveva rivolto qualche minuto prima.
Myron Rosenfeld gongolò. «Quando all’aeroporto di Palma de Majorca ho scoperto questa delizia del palato, la prima persona a cui ho pensato è stato proprio lei, caro amico, all’espressione di beatitudine che si sarebbe dipinta sul suo viso dopo il primo boccone. Senza dimenticare naturalmente tutti gli altri colleghi del club… e il risultato eccolo qui… ensaimadas per tutti!»
Raj Singh cominciò a distribuire i piatti del dessert, su ognuno dei quali riposava un dolce spiralato, che per forma poteva ricordare uno zampirone gigante.
«Quello che mi chiedo, caro Myron,» intervenne Martin Mystère, «è come ha fatto a introdurre sul territorio americano tutto questo bendidio senza farselo mettere in quarantena alla dogana. Di solito non lasciano passare neanche una caramella senza averla sottoposta a quarantena preventiva.»
Myron Rosenfel gongolò. «Ah, ah, qui entra in scena il mio genio organizzatore. Come introdurre di soppiatto qualcosa alla faccia dei doganieri?, mi sono chiesto. Specialmente in questo momento di psicosi antiterroristica non c’è da sperare di fare passare inosservato un qualsiasi carico e questo per di più era abbastanza ingombrante.»
«Né si poteva aspettare che trascorresse la canonica quarantena perché il dolce sarebbe diventato stantio,» osservò Jack Azimov senza abbandonare con gli occhi la golosa ensaimada che aveva davanti a sé.
«Infatti,» confermò Myron Rosenfeld. «È stato allora che ho avuto un colpo di genio e ho pensato al nostro esimio collega Marion Kettering, che grazie alle sue conoscenza presso CIA, Pentagono eccetera eccetera ha potuto fare riservare un trattamento di favore al mio voluminoso pacco!»
Marion Kettering sorrise dal suo posto, senza scomporsi e Laszlo Nagy esclamò: «Un applauso per il nostro Marion!»
I piatti erano ormai stati distribuiti tutti e Jack Azimov allungò la mano verso la sua ensaimada. «E adesso cari amici, se non vi spiace, io vorrei assaggiare questa delizia senza ulteriori indugi.»
Tutti quanti lo imitarono e in un baleno il dessert fu affrontato e sconfitto, e del poderoso esercito di ensaimadas non rimasero che le briciole.
Jack Azimov si rilassò contro lo schienale della sedia e socchiuse gli occhi con un’espressione di estatico rapimento. «Deliziosa, veramente deliziosa, caro Myron.»
«Concordo col nostro amico Jack Azimov,» disse Martin Mystère. «Devo ammettere che non conoscevo affatto questa specialità di Palma, anche se sono stato su quell’isola. Ma ero così impegnato col lavoro che mi sono lasciato sfuggire questa delizia.»
«Doveva essere veramente impegnato, evidentemente,» osservò Myron Rosenfeld. «Perché le ensaimadas sono la più nota specialità culinaria dell’isola e si trovano praticamente ovunque.»
Jack Azimov si leccò le labbra per assaporare le ultime briciole rimaste. «Magari non è che saprebbe dirci anche la ricetta, caro Myron? Il nostro inarrivabile Ciccio sono sicuro che saprebbe ripresentarcele qualche altra volta.»
Myron Rosenfeld fece un cenno d’assenso. «Oh, la ricetta è abbastanza semplice, come capita spesso per le più autentiche specialità locali. Le ensaimadas sono fatte con un impasto di strutto, farina, uova e zucchero e vengono cotte al forno in modo da ottenere un dolce a rotolo, un po’ appiattito e arrotolato a spirale, morbido all’interno e con crosta esterna leggermente croccante. Se ne vendono di varie misure, da quelle piccole del diametro di circa sette centimetri, a quelle che ho trovato all’aeroporto, da trenta centimetri. Ma ne vengono cotte anche di maggiori dimensioni da portare in tavola intere e da spezzettare poi per suddividerle tra i vari commensali. Possono essere vendute con velo di zucchero o senza, come quelle che ho portato qui in America. Ho pensato che sono già abbastanza dolci di per sé e che lo zucchero era superfluo.»
Laszlo Nagy terminò di mangiare l’ultimo pezzetto di ensaimada e disse: «Immagino che esisteranno anche delle varianti. E magari il nostro Ciccio potrebbe inventarne di sue, visto che la fantasia non gli manca di certo.»
Myron Rosenfeld annuì. «In effetti esistono anche delle varianti. Ci sono ensaimadas ripiene di crema, altre ripiene di “cabello de ángel”, capelli d’angelo, specie di spaghettini dolci, e perfino una varietà salata, la ensaimada ripiena di sobresada, un salame tipico di Majorca. La specialità gode di una tale popolarità che dal 1996 le ensaimadas sono protette da un marchio di denominazione d’origine e le scatole contenenti la specialità riportano un’etichetta con la scritta “Ensaimada de Mallorca. Consell Regulador Denominació Específica”.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi Joshua Murdoch disse: «Ed ecco che abbiamo imparato qualcosa di nuovo. Decisamente in questo Club non ci si annoia mai.»
Myron Rosenfeld sollevò un dito. «C’è ancora una cosa da aggiungere. Una noterella piuttosto buffa a dire il vero. Sapete cosa vuol anche dire ensaimadas al plurale?»
«Moriamo dalla voglia di saperlo,» rispose Jack Azimov, sempre con la sua espressione serafica in volto. Non c’era ironia nelle sue parole.
Gary Burnett ridacchiò. «Scommetto che per l’amico Jack ensaimadas vuol semplicemente dire “tante ensaimadas”, tonnellate di ensaimadas, trilioni di ensaimadas.»
Gli occhi di Jack Azimov brillarono di felicità. «Perché, vi sembro un simile goloso?»
Myron Rosenfeld si mise a ridere. «Caro Jack, temo che questa ensaimadas non la potrebbe proprio mangiare. E badi bene che ho detto ensaimadas al plurale, usando però un aggettivo al singolare.»
Gli occhi di tutti si appuntarono su di lui con interesse.
Myron Rosenfeld si schernì. «No, non guardatemi così. Non è nulla di trascendente. Solo una cosa buffa. La ensaimadas è semplicemente la nostra “a commerciale”, quella chiocciolina per intenderci che troviamo negli indirizzi Internet e che in spagnolo, oltre che “arroba” è chiamata anche “ensaimadas”».
«Ed ecco conclusa la parentesi gastronomica e l’ingresso nella fase culturale della nostra vita di Club,» scherzò Laszlo Nagy. «Ci manca solo l’usuale enigma da risolvere e poi la serata sarà perfetta. Qualcuno ha un argomento da proporre?»
Marion Kettering alzò una mano. «Visto che si è parlato di Halloween mi è venuta in mente una cosa.Sì, io l’avrei, sì, un enigma. Una di quelle agenzie governative che, come sapete, spesso mi consultano, mi ha chiamato nei giorni scorsi per risolvere un problema di cui non riuscivano a venire a capo. E guarda caso ha a che fare con le streghe.»
Gli occhi di Jack Azimov brillarono. «Se si tratta della stessa agenzia che ha fatto passare la dogana di straforo alle nostre ensaimadas, risolvere l’enigma è il minimo che possiamo fare per loro, mi pare.»
Marion Kettering rise. «A questa domanda non intendo rispondere, perché non posso offrire alcun indizio che possa portare all’identificazione dell’agenzia, ma la richiesta d’aiuto resta valida.»
L’attenzione di tutti era concentrata adesso su di lui. Raj Singh finì di sparecchiare la tavola e sparì col carrello colmo al di là della porta del corridoio, diretto in cucina, non prima di avere servito un giro di liquori.
Martin Mystère allungò automaticamente una mano in tasca alla ricerca del suo inseparabile pacchetto di sigarette, ma si ricordò in tempo di dove si trovava e la ritirò vuota. «Siamo tutt’orecchi,» disse.
Marion Kettering socchiuse gli occhi, come per cercare le parole giuste, poi esordì: «In effetti non c’è molto da dire. L’agenzia in questione mi ha chiamato e mi hanno detto semplicemente: “Il numero della strega le dice niente?”»
«Io avrei risposto “è il numero di telefono di mia suocera”,» interloquì acido Myron Rosenfeld. «Più strega di lei non c’è nessuno.»
Marion Kettering si mise a ridere. «Guarda caso è stata proprio la prima risposta che mi è venuta in mente. E gliel’ho detto.»
«E scommetto che non hanno gradito,» disse Martin Mystère.
«Infatti. Ma era solo una battuta,» disse Marion Kettering. «Anzi, devo dire che con mia suocera ho un ottimo rapporto. Anche perché è un’ottima cuoca e mi prepara autentiche delizie che farebbero impazzire il nostro qui presente Jack Azimov. Ma non divaghiamo. Dicevo dunque che, alla mia risposta, mi hanno guardato di brutto e il capoccione del branco ha detto: “Non scherziamo, c’è in gioco la vita di un nostro informatore infiltrato in al-Qaeda. In effetti il messaggio completo che abbiamo ricevuto diceva esattamente ‘123456 is the number of the witch’, ossia ‘123456 è il numero della strega’. Sono tre giorni che ci rompiamo la testa per trovare una risposta a questa enigmatica indicazione e non siamo venuti a capo di nulla. Ora non ci rimane che lei come unica speranza”.»
«E quindi il Club Pigreco,» concluse Laszlo Nagy. «Ha fatto bene a parlarcene, anche se la frase appare piuttosto criptica.»
«Hanno fornito qualche altra indicazione?» chiese Martin Mystère.
«No. È questa appunto la difficoltà di lavorare con quella gente. Hanno sempre così paura di fare trapelare informazioni riservate che non ti offrono neanche tutti gli elementi che hanno a disposizione e che potrebbero aiutare a risolvere il caso.»
«Se ignoriamo il contesto della frase, la questione si presenta estremamente complicata,» osservò Laszlo Nagy. «Trattandosi di al-Qaeda viene da presumere che l’informatore sia un arabo o agisca in un paese arabo. Ma chi è, che cosa fa? Per quali motivi fa l’informatore? Per denaro, per una vendetta personale, per idealismo? Quali pericoli corre? In che società opera? È un operaio o un intellettuale? Un militare?»
«Le domande sono infinite,» rispose Marion Kettering, scuotendo la testa. «Mi è sembrato di capire che si tratti di una persona che opera in un’università, ma non saprei dire se è un bidello o un professore, il cui nome in codice è Al-Khwarizmi, come si è lasciato sfuggire per errore uno dell’agenzia. So solo che corre gravi pericoli e trasmette messaggi in codice. Ma questa frase è fuori dagli schemi usuali del codice finora usato. Forse è stato costretto a improvvisare perché non aveva il libro dei codici sottomano, o chissà. Fatto sta che quelli dell’agenzia non sono in grado di interpretarlo. La frase non ha corrispondenze.»
«A me il “numero della strega” fa venire in mente il “numero della Bestia”, ossia 666,» disse Jack Azimov. «Proprio di recente ho pubblicato un racconto del soprannaturale, soprannaturale, si badi bene, non horror, sulla rivista per ragazzi “TeenThrills” imperniato su quel numero, ma temo che non c’entri per niente. Tanto più che viene fornito il numero 123456.»
Marion Kettering scosse la testa. «A dire il vero anche a me è venuto in mente il numero della Bestia, ma non saprei proprio come legarlo al numero 123456.
«Però il numero 6 c’è sempre,» osservò Martin Mystère. «Quei numeri sono esattamente i primi sei numeri naturali, se si esclude lo zero.»
«Da dove vogliamo partire?» intervenne Laszlo Nagy, dal numero 123456 o dalla frase “numero della strega”?»
«Numero della strega mi sembra la chiave per interpretare il numero,» disse Joshua Murdoch. «Scommetto che nella cabala la strega ha un numero…»
«Infatti…» disse Martin Mystère e un istante dopo al suo fianco si materializzò il segretario del Club, Tom Perkins, con un libro rilegato in pelle.
«Ah, il libro della cabala,» esclamò Laszlo Nagy.
Martin Mystère l’aprì e lesse. «Ecco qua, il numero della strega è il numero 18.»
«Che è multiplo di 6 e 666 è multiplo di 18 per un fattore di 37,» osservò Joshua Murdoch. «Ma questo dove ci porta?»
I soci del Club si guardarono in faccia un po’ abbattuti. Poi Laszlo Nagy disse: «Troppi numeri, da qui non andiamo da nessuna parte.»
«E ce n’è anche un altro,» intervenne Gary Burnett. «Il numero 13. Non chiedetemi dove l’ho visto, ma ricordo distintamente di avere letto da qualche parte che il 13 è il numero della strega.»
«E naturalmente il numero 123456 non ha fornito alcun indizio, immagino,» osservò Jack Azimov.
Marion Kettering sollevò le spalle. «Naturalmente, altrimenti non saremmo qui.»
«Il numero della strega…» rifletté Laszlo Nagy. «Chissà come si dice in arabo…?»
Marion Kettering fece un cenno d’assenso e si frugò in tasca. «Ci abbiamo già pensato e uno dei cervelloni arabisti dell’agenzia ha fatto la retroversione dall’inglese in arabo. Dunque…» Dalla tasca estrasse un foglietto e lesse: «“Adadu s-Sahirati Huwa 123456”, ma anche questo non ci ha portato a nulla.»
«Forse bisognerebbe proprio sapere qualcosa di più riguardo la personalità dell’informatore. Se la frase non deriva da un codice prestabilito, ma è stata creata all’impromptu, l’informatore deve avere attinto alla sua cultura specifica per fornire l’indizio. Evidentemente ciò che a noi sfugge, per lui aveva un significato chiarissimo, così chiaro da presumere che qualunque altra persona ci sarebbe arrivata.»
Jack Azimov allargò le braccia. «Sì, ma di questo signor al-come si chiama, non sappiamo nulla, visto che l’agenzia non ha voluto fornire indizi.»
«Al-Khwarizmi,» disse meccanicamente Marion Kettering.
Joshua Murdoch inarcò un sopracciglio. «Buffo però. Al-Khwarizmi è un personaggio famoso molto noto nell’antichità. Il suo nome completo era Abu Jafar Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, cioè Abu Jafar Muhammad figlio di Musa di Khwarizm, che è una regione prossima al mare di Aral e questo tizio…»
«Era un matematico famoso dal cui nome al-Khwarizmi deriva la parola algoritmo! Ma certo!» Martin Mystère si batté in fronte. «Al momento mi era sfuggito. Il nome è molto noto agli studiosi di matematica, ma non certo alle persone normali. E di sicuro non a un bidello, sia pure universitario!»
«Ma allora…» fece Marion Kettering.
«Allora è probabile che al-Khwarizmi sia il nome in codice di un professore o di uno studente di matematica,» disse Martin Mystère. «E di conseguenza…»
«E assai probabile che il numero misterioso codificato nella frase “123456 è il numero della strega” abbia la sua recondita origine in qualche ragionamento matematico o comunque in qualche cosa che abbia attinenza con la matematica,» concluse Laszlo Nagy.
Jack Azimov scoppiò a ridere. «Ricordo che una volta abbiamo sentito parlare dei numeri perfetti e dei numeri amicabili e da parte mia so che esistono perfino i numeri irrazionali, anche se non ho mai capito a che cosa servissero, ma i numeri della strega chi li ha mai sentiti nominare?»
Joshua Murdoch assentì col capo. «Infatti non esistono. Nella nostra bella lingua inglese chi ha mai sentito parlare di un “number of the witch”? Forse ad Halloween o giù di lì.»
«Ritornando all’arabo, però,» disse Martin Mystère, «forse sarebbe utile sapere come si può tradurre questa espressione in arabo. Chissà, magari ci potrebbe dare qualche indicazione.»
Marion Kettering scrollò di nuovo la testa. «Temo che anche questa strada sia stata provata, ma senza risultato. Ci sono fior di arabisti all’agenzia.»
«Ma forse scarseggiano i matematici,» interloquì Joshua Murdoch. «Pensate un momento, signori, quali altri sinonimi di «witch» esistono in inglese?»
Laszlo Nagy lo guardò perplesso. «Oh, “sorceress”, direi…»
«E anche “hex”, sia pure nell’uso solo dialettale,» osservò Martin Mystère, che come pronunciò quelle parole si bloccò come colpito da un improvviso pensiero.
Joshua Murdoch gli sorrise. «Ah, vedo che c’è arrivato anche lei, Martin, il numero della strega, in inglese, non è solo “the number of the witch”, ma anche “the number of the hex”, oppure “hex number” e nel linguaggio matematico, specialmente dei computer…»
«Hex number vuol dire “numero esadecimale”, cioè un numero non in base dieci, ma in base esadecimale!» concluse Martin Mystère. «Non ho la più pallida idea di quale sia l’equivalente decimale di 123456 espresso in base esadecimale, ma immagino che lei saprà senz’altro come scoprirlo.»
«È questione di un attimo,» disse Joshua Murdoch, prendendo dalla tasca un piccolo calcolatore palmare e premendo alcuni tasti. Un istante dopo, mostrò il display agli altri. «Ecco qui il risultato. Il numero esadecimale 123456 vale esattamente 1193046 in base decimale. E questo è il numero che il nostro ignoto informatore voleva comunicare. Probabilmente l’informatore doveva agire molto in fretta e non aveva sottomano il libro dei codici, ma disponeva di un calcolatore palmare come il mio che gli ha fornito all’istante un comodo metodo di codifica. Solo che quello che per lui era abbastanza evidente, per un non matematico risultava incomprensibile.»
Jack Azimov fece una smorfia. «Per me la spiegazione continua a risultare non del tutto chiara, ma in fatto di matematica sono propenso a fidarmi di lei…»
Joshua Murdoch gli sorrise cordialmente. «Come io sono propenso a fidarmi di lei ogni volta che acquisto il suo ultimo romanzo di fantascienza.»
Myron Rosenfeld sussultò, sbalordito. «Perché, lei legge quella robaccia infame che scrive il nostro Jack Azimov?» esclamò indignato. «Da un professorone come lei non me lo sarei mai aspettato.»
«Io l’ho sempre ammesso,» osservò Laszlo Nagy, ridendo.
Jack Azimov gongolava.
«Se sapesse quanti di noi leggono i miei romanzi!» si vantò tutto felice. «È solo la mia innata modestia che mi impedisce di farne i nomi!»
Martin Mystère notò che molti dei commensali avevano assunto un’aria sospettosamente distratta, come se quel discorso non li riguardasse…
Le avventure a fumetti di
MARTIN MYSTÈRE
compaiono dal 1982 negli albi di Sergio Bonelli Editore.
Martin Mystère creato da Alfredo Castelli
© Sergio Bonelli Editore
Per gentile concessione.
ha svolto la sua attività nel campo dell’editoria per più di cinquant’anni. Ha diretto numerose testate dedicate al giallo, alla fantascienza, all’horror, al western e al fumetto. Ha scritto praticamente per ogni genere di letteratura popolare, dal giallo alla fantascienza, dal western alla narrativa per ragazzi e ha pubblicato più di trecento racconti su una miriade di periodici.