Il medico dei sogni è una raccolta di novelle datata a partire dal 1910 e successivi sviluppi curati dallo scrittore americano Arthur B Reeve. Il libro appare qui in una nuovissima traduzione, curata da Mario Luca Moretti e da me, Franco Giambalvo. Questa nuova traduzione permette di spostare il Copyright italiano all’anno attuale e quindi prevediamo di produrre un nuovo libro che sarà pubblicato dalle Edizioni Scudo, al più presto possibile.
A. B. Reeve sceglie di presentare i suoi racconti non capitolo per capitolo, infatti ogni capitolo in cui il racconto è iniziato non si conclude con la fine della storia. Così, questo primo capitolo de Il medico dei sogni (palese riferimento all’opera di Sigmund Freud)  si concluderà con il secondo capitolo, Analisi dell’anima in programma per il prossimo giovedì, 9 maggio 2024.
Buona lettura e fateci sapere le vostre impressioni!

 

“Jameson, voglio che lei mi porti la storia originale di quel suo amico, il Prof. Kennedy,” annunciò il direttore dello Star, in quel giorno di primo pomeriggio in cui ero stato convocato nel sancta sanctorum.

Da un mucchio di lettere accumulate nel cestino sulla sua scrivania ne scelse una e la scorse avidamente.

“Per esempio,” continuò con aria pensosa, “questa è la lettera di un lettore assiduo che chiede: ‘Il Prof. Craig è davvero quello che dice di essere? E, se sì, come posso verificare il suo nuovo metodo scientifico-investigativo?’“

Fece una pausa e tamburellò sulla sedia.

“Ora, io non voglio buttare queste lettere nella spazzatura. Quando la gente scrive lettere a un giornale, qualcosa significa. Potrei rispondere, in questo caso, che lui è reale quanto la scienza, quanto la lotta della società contro il crimine. Ma non è sufficiente.”

Il direttore si alzò, come se si fosse liberato in quel momento della sua quotidiana routine d’ufficio.

“Mi segue?” continuò entusiasta. “In altre parole, Jameson, il suo incarico per il prossimo mese, sarà quello di seguire il suo amico Kennedy. Cominci subito, al primo del mese, e scandagli la sua vita per l’intero mese… un mese a sua scelta. Prenda le cose così come vengono, le trascriva così come accadono, e quando si sentirà pronto, mi porti un ritratto intimo dell’uomo e del suo lavoro.”

Prese in mano l’ordine del giorno e così capii che il colloquio era terminato. Dovevo “catturare” Kennedy.

Spesso avevo scritto articoli sulle avventure di Craig, ma mai qualcosa di così ambizioso come quell’incarico, che sarebbe durato un intero mese. All’inizio ne fui spaventato. Poi, più ci pensavo, più mi piaceva.

Mi affrettai verso l’appartamento sulle Heights che Craig e io occupavamo da qualche tempo. Dico “occupavamo”. Il che accadeva quando lui non era nel suo laboratorio a Palazzo della Chimica nel campus dell’università, o non lavorava a uno di quei casi che lo affascinavano. Per fortuna, quando arrivai, capitò che fosse in casa.

“Be’?” domandò con aria svagata, alzando gli occhi da un libro: uno dei più recenti trattati sulla nuova psicologia dalla penna dell’eminente scienziato, il dottor Freud di Vienna, non ancora tradotto. “Cosa ti porta quassù così presto?”

Nel modo più conciso che potei, gli spiegai che cosa gli proponevo di fare. Ascoltò senza commentare e io continuavo a chiacchierare, deciso a non consentirgli una risposta negativa.

“E,” aggiunsi rincarando la dose, “credo di avere un debito verso il direttore del giornale. Lui ha cristallizzato nella mia mente un’idea che è stata a lungo latente. Perché, Craig,” continuai, “questo è proprio ciò che tu vuoi: mostrare alla gente che non potranno mai sperare di sconfiggere la moderna scienza investigativa, dimostrare che i cacciatori di criminali sono arrivati più in là persino di…”

Il telefono squillò con insistenza.

Senza dire parola, Kennedy mi indicò il duplex sulla mia scrivania, che lui aveva piazzato lì come precauzione, in modo che potessi confermare qualunque conversazione si svolgesse sul nostro apparecchio.

Da come si comportò, mi parve di capire che, quantomeno, non aveva obiezioni al mio progetto.

“Sono il dottor Leslie, il coroner. Può venire all’Ospedale Municipale… subito?”

“Immediatamente, dottore,” disse Craig, appendendo il ricevitore. “Walter, vieni anche tu?”

Un quarto d’ora dopo eravamo nel cortile del più grande ospedale della città. Alla dolce luce solare, dove i pazienti in convalescenza sedevano sulle panchine, o lentamente cercavano di riprendere forza, camminando sull’erba nei loro pigiami d’ospedale.

Entrammo nell’ufficio e fummo condotti di gran corsa in un piccolo laboratorio in un’ala lontana, da un impiegato.

“Che cosa succede?” chiese Craig mentre ci affrettavamo.

“Non lo so di preciso,” rispose l’uomo. “Sembra però che Price Maitland, il broker, certo lo conoscete, sia stato trovato per strada moribondo. È morto prima che i medici potessero soccorrerlo.”

Il dottor Leslie ci stava aspettando impaziente. “Che ne pensa, dottor Kennedy?”

Il coroner spiegò sul tavolo davanti a noi un foglio scritto a macchina e scrutò avidamente il volto di Craig per capire quale fosse la sua impressione. “L’abbiamo trovato nella tasca esterna del cappotto di Maitland,” spiegò.

Era senza data e breve:

Carissima Madeline,

possa Dio misericordioso perdonarmi per ciò che sto per fare. Ho appena visto il dottor Ross. Mi ha detto della natura della tua malattia. Non posso sopportare il pensiero di esserne io la causa, per cui, semplicemente, esco dalla tua vita. Non posso vivere con te, e non posso vivere senza di te. Non farmene conto. Pensa di me sempre il meglio che puoi, anche se non ho potuto darti tutto. Addio

Il tuo distratto marito,

PRICE

Al momento mi balenò l’idea che Maitland avesse scoperto di essere afflitto da un male incurabile, e avesse scelto la soluzione più veloce al suo dramma.

All’improvviso Kennedy alzò gli occhi dalla lettera.

“Pensa che sia un suicidio?” chiese il coroner.

“Suicidio?” ripeté Craig. “I suicidi di solito non scrivono a macchina. Una nota frettolosa scritta di getto su un foglio in grafia tremolante, a penna o a matita, è quello che lasciano di solito. No, qualcuno ha cercato di eludere in questo modo una perizia calligrafica.”

“Esattamente la mia idea,” concordò il dottor Leslie, con evidente soddisfazione. “Ora ascolti. Maitland è rimasto lucido fin quasi alla fine, eppure i dottori mi hanno detto che non hanno potuto cavargli una sillaba per una dichiarazione ante-mortem.”

“Dice che si è rifiutato di parlare?” chiesi io.

“No,” rispose; “è stato qualcosa di più sconcertante. Se la polizia non si fosse presa il compito di arrestarlo per ubriachezza prima di mandarlo in ospedale, non avrebbe fatto alcuna differenza. A quanto pare i dottori non avrebbero potuto salvarlo, semplicemente. La verità è, prof. Kennedy, che non sappiamo che male avesse.”

Il prof. Leslie sembrava davvero molto eccitato dal caso.

“Questa mattina Maitland è stato trovato barcollante sulla Broadway,” continuò il coroner. “Forse il poliziotto che all’inizio voleva arrestarlo, non sbagliava, ma prima che arrivasse l’ambulanza Maitland era già del tutto incapace di parlare o di muovere un muscolo.”

Il dottor Leslie si prese una pausa prima di proseguire con gli strani fatti, quindi: “I suoi occhi reagivano, e molto bene. Sembrava che volesse parlare, scrivere, ma non ce la faceva. Dalla bocca gli colava della saliva schiumosa e non riusciva a spiccicar parola. Era paralizzato e aveva il respiro pesante. Fu allora che lo portarono all’ospedale più in fretta che poterono. Ma fu tutto inutile.”

Kennedy guardava il dottore intensamente mentre parlava. Il dottor Leslie si interruppe per meglio enfatizzare ciò che stava per dire.

“C’è un’altra cosa strana. Forse è importante e forse no, ma di certo è strana. Prima che Maitland morisse mandarono a chiamare la moglie. Lui era ancora cosciente quando la donna arrivò in ospedale, la riconobbe, sembrava volesse parlarle, ma non riusciva né a parlare né a muoversi. Una pena. Lei ne fu addolorata, chiaro. Ma non svenne. Non è il tipo da svenire. Fu quello che lei disse che lasciò tutti impressionati. ‘Lo sapevo… lo sapevo,’ gridava. Si è buttata in ginocchio accanto al letto. ‘Lo sentivo. Solo l’altra notte ho avuto quel sogno orribile. Lo vedevo in una terribile lotta. Non capivo che cosa fosse… sembrava lottasse contro una cosa invisibile. Corsi da lui… poi la scena cambiò. Era una processione funebre, e lo potevo vedere nella bara attraverso il legno… la sua faccia… oh, era un presagio! Si è avverato. Lo temevo, anche se era solo un sogno. Spesso ho sognato quella processione, ogni volta ho visto la stessa faccia, la sua faccia. Oh, è orribile… terribile!’“

Era evidente che anche il dottor Leslie fosse rimasto impressionato dal sogno.

“E dopo lei cosa ha fatto?” chiese Craig.

“Ho lasciato andare tutti quelli che potevo,” rispose il dottor Leslie consegnando un fascio di rapporti.

Kennedy li esaminò attentamente e man mano li spargeva sul tavolo. “Vorrei vedere il corpo.” disse alla fine.

Giaceva nella stanza a fianco, in attesa che il dottor Leslie ne autorizzasse la rimozione.

“All’inizio,” spiegò il dottore facendo strada, “pensavamo che fosse il caso di un beverone letale… che so, cloralio, o cloralio e whiskey, una combinazione che potrebbe generare cloroformio dentro al sangue. Invece no. Abbiamo fatto tutti i test che sapevamo. Di fatto sembra non ci sia alcuna traccia di droga. Inspiegabile. Se Maitland ha davvero commesso suicidio, deve aver preso qualcosa… ma per quanto abbiamo potuto esaminare non c’è traccia di niente. Procedevamo, ma siamo sempre dovuti tornare all’idea originale che si trattasse di una morte naturale, forse dovuta a uno shock misterioso, o a debolezza organica…”

Kennedy aveva sollevato una delle mani del morto e la esaminava meditabondo.

“Non è quello,” disse. “Anche se l’autopsia non ha trovato niente, non significa che sia stata una morte naturale. Guardi!”

Sul dorso della mano c’era un minuscolo, segno rosso rigonfio. Il dottor Leslie lo osservò a labbra strette, come per valutare se era una cosa importante o no.

“Sembra che si sia profondamente infiltrato nei tessuti un siero rossastro e i vasi sanguigni sono congestionati,” disse lentamente. “C’è del muco schiumoso nei tubi bronchiali. Il sangue è liquido, scuro e non si è coagulato. Il problema è che l’autopsia non ha rivelato assolutamente niente, se non una disorganizzazione generale dei corpuscoli sanguigni, cosa molto insolita, ma il cui significato nessuno di noi adesso sa spiegare. Se è stato veleno che ha preso o che gli è stato somministrato, è del tipo più sottile, intangibile, elusivo che abbia mai visto. Perché non c’è assolutamente alcuna traccia o indizio…”

“È inutile cercarlo così,” lo interruppe Kennedy con decisione. “Se vogliamo fare progressi in questo caso, dobbiamo ricorrere qualcosa di diverso da un’autopsia. Se ho ragione, non troveremo alcun altro indizio a parte quello che abbiamo già trovato. E penso di aver ragione. È stato veleno di cobra.”

“Veleno di cobra?” ripeté il coroner, rivolgendo gli occhi a una serie di lavori tecnici.

“Sì. No, è inutile cercare lì. Non c’è modo di verificare un caso di avvelenamento da cobra se non dai sintomi. È diverso da qualunque altro avvelenamento al mondo.”

Io e il dottor Leslie ci guardammo, sconvolti al pensiero di un veleno capace di evitarne il rilevamento.

“Pensa che sia stato morso da un serpente?” sbottai, mezzo incredulo.

“Oh, Walter, sulla Broadway? No, certo che no. Ma il veleno del cobra ha un valore medicinale. Viene inviato qui in piccole quantità per vari scopi medici. Quindi sarebbe facile procurarselo. Un graffio sulla mano passando in mezzo alla folla, una mano lesta nella tasca della vittima… e l’assassino può pensare di passare inosservato.”

Restammo sgomenti e inorriditi all’idea di un omicidio così scientifico e davanti alla pochezza dei mezzi a disposizione per rivelarlo.

“Quel sogno era davvero insolito,” rimuginò Craig, prima che noi tutti avessimo davvero realizzato l’importanza della sua improvvisa rivelazione.

“Non mi dirai che dai peso a un sogno…” chiesi ansioso, cercando di seguirlo.

Kennedy si limitò a fare spallucce, ma capivo abbastanza bene che in effetti dava peso al sogno.

“Ha già dato questa lettera alla stampa?”

“Non ancora,” rispose il dottor Leslie.

“Allora non lo faccia, finché non glielo dirò io. Devo trattenerla.”

Il taxi con cui eravamo arrivati all’ospedale ci stava ancora aspettando. “Adesso, dobbiamo vedere la signora Maitland,” disse Kennedy, mentre lasciavamo il perplesso coroner e i suoi assistenti.

I Maitland vivevano in una casa in arenaria vicino alla Quinta Avenue, come scoprimmo presto.

Il biglietto da visita di Kennedy con il messaggio che si trattava di una questione urgente ci fece entrare in biblioteca, dove sedemmo per un momento, ammirando la sobria raffinatezza di una casa più che agiata.

Su un tavolo a una delle estremità della lunga sala c’era una macchina da scrivere. Kennedy si alzò. Nel corridoio o nelle sale vicine non si sentiva un suono. Poco dopo, Kennedy era piegato sulla macchina da scrivere, sciorinando una serie di lettere su un foglio. Al rumore di una porta che si chiudeva sopra le scale, infilò velocemente il foglio in tasca, tornò sui suoi passi e si sedette con calma di fronte a me.

La signora Maitland era una donna alta, dalle forme perfette, di età indefinibile, un insieme di maturità e giovinezza che le dava un fascino notevole. Era più calma ora, e sebbene mostrasse una natura tutt’altro che isterica, era ben evidente che il suo nervosismo era dovuto non solo allo shock del recente tragico evento, per quanto fosse stato grande. Forse mi ero ricordato delle parole del biglietto: “il dottor Ross mi ha detto la natura della tua malattia.” Fantasticai che lei avesse sofferto di qualche disturbo nervoso.

“È inutile prolungare le presentazioni, signora Maitland,” cominciò Kennedy. “Sono stato chiamato perché le autorità non sono del tutto convinte che il signor Maitland si sia suicidato.”

Era evidente che lei aveva visto il biglietto, quantomeno. “Non si è suicidato?” ripeté, guardandoci prima uno poi l’altro.

“Il signor Masterson al telefono,” sussurrò una domestica. “Desidera parlargli? Ha detto di dire che non voleva disturbare, ma sentiva che ci…”

“Sì voglio parlargli… nella mia stanza,” la interruppe.

Pensai che ci fosse giusto una traccia di ben celata confusione, mentre si scusava.

Ci alzammo. Kennedy non tornò subito al suo posto. Senza una parola né uno sguardo completò il suo lavoro alla macchina da scrivere prendendo molti fogli bianchi dal tavolo.

Pochi momenti dopo la signora Maitland tornò, molto più calma.

“Nel biglietto,” riassunse Kennedy, “suo marito parlava del dottor Ross e…”

“Oh,” gridò lei, “non ne può parlarne col dottor Ross? Davvero, io… io non dovrei essere… interrogata in tal modo… non adesso, così presto dopo quel che ho dovuto sopportare.”

Sembrava che i suoi nervi fossero di nuovo scossi. Kennedy si alzò per andar via.

“Venga a trovarmi più tardi,” lei supplicò. “Ma ora… deve capire… è troppo. Non posso parlare… non posso.”

“Il signor Maitland non aveva nemici, che lei sappia?”

“Oh no, nessuno poteva… essergli nemico.”

“Non avevate mi litigato?” proseguì lui.

“No… non abbiamo mai litigato. Oh Price… perché lo hai fatto? Come hai potuto?”

Sembrava che le sue emozioni stessero rapidamente prendendo il sopravvento. Kennedy s’inchinò e noi ci ritirammo in silenzio. Il mio amico non aveva appreso nulla. La donna credeva al biglietto, o voleva che ci credessero gli altri.

In un telefono pubblico, pochi minuti dopo, Kennedy scorreva i nomi dell’elenco telefonico. “Vediamo… qui c’è un Arnold Masterson,” considerò. Poi continuò a girare le pagine. “Ora dobbiamo trovare questo dottor Ross. Ecco… dottor Sheldon Ross… specialista in disturbi nervosi… dev’essere questo. Vive a soli pochi isolati dai quartieri alti.”

***

Bello, robusto, alto, distinto, davvero elegante, il dottor Ross si rivelò un uomo con aspetto e maniere davvero magnetiche, come dovrebbero essere quelli che hanno scelto quel ramo della professione.

“Suppongo che abbia sentito della strana morte di Price Maitland,” cominciò Kennedy quando ci fummo accomodati nell’ufficio del dottore.

“Sì, circa un’ora fa.” Era evidente che stesse provando a studiarci.

“La signora Maitland è una sua paziente, credo.”

“Sì, è una delle mie pazienti,” ammise. Poi, pensò che i modi di Kennedy non si sarebbero addolciti a meno di mostrarsi più amichevole e aggiunse: “Venne da me parecchi mesi fa. Da allora è sotto terapia per disturbi nervosi, ma senza sensibili miglioramenti.”

“E il signor Maitland,” chiese Kennedy, “era anche lui un suo paziente?”

“Il signor Maitland,” ammise il dottore con qualche reticenza, “mi aveva chiamato stamattina, ma no, non era un mio paziente.”

“Ha notato qualcosa d’insolito?”

“Sembrava molto preoccupato,” rispose cauto il dottor Ross.

Kennedy tolse di tasca il biglietto del suicidio e glielo porse.

“Suppongo che abbia sentito parlare di questo,” chiese Craig.

Il dottore lo lesse in fretta, poi alzò gli occhi, come per valutare dai modi di Craig quanto lui ne sapesse.

“Per quel che posso capire,” disse lentamente, ogni apparente reticenza scomparsa, “Maitland sembrava avere qualcosa in mente. Quando è arrivato mi ha chiesto le reali cause della nevrosi della moglie. Prima di parlargli a lungo, mi sono reso conto che aveva una paura ossessiva che lei non lo amasse più, se mai l’aveva amato. Immaginai perfino dubitasse della sua fedeltà.”

Mi chiesi perché il dottore ora parlasse così apertamente, in contrasto con la sua precedente riservatezza.

“Secondo lei aveva ragione?” chiese Kennedy, scrutando intensamente il dottor Ross.

“No, assolutamente no; non aveva motivo,” rispose il dottore, affrontando lo sguardo esaminatore di Kennedy senza cedimenti. “La signora Maitland,” continuò lentamente, come se misurasse con cura ogni parola, “appartiene a una larga e crescente categoria di donne in cui, a dirla tutta, il sesso sembra essere qualcosa di inutile. Lei è una donna molto bella e attraente. L’ha vista? Sì? Avrà notato, però, che lei è davvero algida, scostante, intellettuale.”

Il dottore era stato così tagliente e deciso nella sua prima affermazione, e così attento nella scelta delle parole della seconda, che io, almeno, saltai alla conclusione che Maitland potesse infine avere ragione. Immaginai che anche Kenendy avesse dei sospetti sul dottore.

“Conosce le proprietà del veleno di cobra e l’ha mai usato nell’ambito sella sua professione di medico?” chiese Kennedy con indifferenza.

Il dottor Ross si contorse sulla sedia, sorpreso.

“Be’ sì,” rispose prontamente. “Lei probabilmente sa che è un test per le malattie del sangue, scoperto molto di recente e usato in parallelo ai vecchi test. È noto come il test Weil del veleno di cobra.”

“Lo usa spesso?”

“N-no,” rispose. “La mia pratica abituale non va in quella direzione. Però una volta l’ho usato, non molto tempo fa. Ho un paziente sotto terapia, un uomo molto in vista. Inizialmente è venuto da me per…”

“Arnold Masterson?” chiese Craig.

“Sì. Come fa a sapere il suo nome?”

“L’ho indovinato,” rispose Craig laconico, come se sapesse molto più di quanto dicesse. “Era un amico della signora Maitland, vero?”

“Direi di no,” rispose il dottor Ross, senza esitazioni. Era davvero pronto a parlare senza essere spronato. “Di solito,” spiegò con fare confidenziale, “l’etica professionale mi sigilla le labbra, ma in questo caso, visto che lei sembra saperne così tanto, posso anche dire di più.”

Quasi non sapevo se prenderlo sul serio o no. Eppure, continuò. “Come dicevo, la signora Maitland è una donna consciamente frigida ma inconsciamente passionale. In quanto donna intellettuale sopprime le sue passioni. Ma noi crediamo che la natura s’impone e s’imporrà sempre. Spesso troverete una donna intellettuale che è attratta irrazionalmente da un uomo solo per ragioni fisiche… sto parlando in generale, non del caso particolare. Avrà letto Ellen Key, presumo. Bene, lei lo esprime bene in alcuni dei suoi scritti sulle affinità. Ora, non mi fraintenda,” precisò. “Sto parlando in generale, come ho detto.”

Seguivo il dottor Ross con attenzione. Quando parlava così, era un uomo davvero carismatico.

“La signora Maitland,” riassunse, “è stata molto tormentata dai suoi sogni, come avrà senz’altro capito. L’altro giorno mi ha raccontato di un suo sogno. Qui si vedeva attaccata da un toro, che di colpo diventava un serpente. Le dirò che le ho chiesto di tenere un resoconto dei suoi sogni, come pure di altri dati che penso possano essere utili a studiare e curare i suoi disturbi nervosi. Ho subito concluso che ciò che la tormentava non era il sogno, ma qualcos’altro, forse un ricordo che lo rievocava. Con domande mirate ho scoperto che cosa fosse: un fidanzamento rotto.”

“Già,” suggerì Kennedy.

“Il toro-serpente, come la stessa paziente ha ammesso, aveva un volto semi-umano… il volto di Arnold Masterson!”

Mi domandavo se il dottor Ross non stesse disperatamente provando a deviare i sospetti da se stesso?

“Strano… molto strano,” rimuginò Kennedy. “Questo mi ricorda qualcosa. Mi chiedo… lei potrebbe farmi avere un campione del veleno di cobra?”

“Certo, mi perdoni; vado a prenderne un po’.”

Il dottore aveva appena chiuso la porta che Kennedy cominciò a frugare nello studio con calma. Nella sala d’attesa, che ora era deserta, c’era una macchina da scrivere.

Kennedy, lesto, pigiò sulla tastiera della macchina da scrivere fino a che non ebbe un esempio di ogni carattere. Poi aprì il cassetto della scrivania e si riempì in fretta le tasche con alcuni fogli bianchi.

“Di certo non c’è bisogno che l’avvisi di stare attento nel maneggiarlo,” sottolineò il dottor Ross tornando. “Sa bene quanto me che è pericoloso per un uso improprio e non scientifico.”

“Senz’altro, e la ringrazio molto,” disse Kennedy.

Eravamo in piedi in sala d’attesa.

“Mi terrà avvisato di qualunque progresso farà nell’indagine?” chiese il dottore. “Tutto questo complica, come può ben capire, la mia terapia con la signora Maitland.”

“Ne sarò lieto,” rispose Kennedy mentre uscivamo.

Un’ora dopo ci trovavamo in un ben arredato appartamento da scapolo in un hotel alla moda che dava sull’entrata inferiore del Parco.

“Il signor Masterson, vero?” domandò Kennedy quando un uomo magro e disinvolto, in là con gli anni ma d’aspetto giovanile entrò nella stanza dove lo stavamo aspettando.

“Sono proprio io,” sorrise lui. “A che cosa devo questo piacere?”

Avevamo guardato le varie curiosità con cui l’uomo aveva arredato la stanza trasformata in un vero e proprio antro da conoscitore.

“Si vede che ha viaggiato molto,” sottolineò Kennedy, eludendo la domanda per il momento.

“Sì, sono tornato in questo Paese solo da poche settimane,” replicò Masterson, che aspettava la risposta alla sua prima domanda.

“Le ho telefonato,” continuò Kennedy, “nella speranza che lei, signor Masterson, sia in grado di gettare un po’ di luce sul piuttosto peculiare caso del signor Maitland, della cui morte, suppongo, abbia già sentito parlare.”

“Io?”

Kennedy lo ignorò. “Conosce la signora Maitland da molto?”.

“Andavamo a scuola insieme.”

“Ed eravate fidanzati, no?”

Masterson guardò Kennedy con malcelata sorpresa.

“Sì, ma come fa a saperlo? Era un segreto, fra noi due… così credevo. Fu lei a rompere il fidanzamento, non io.”

“Fu lei?” insistette Kennedy.

“Sì. A causa di una mia scappatella o qualcosa del genere… ma, per Giove! Ha una bella faccia tosta, signore.” Masterson s’imbronciò e aggiunse: “Preferisco non parlarne. Ci sono alcuni incidenti nella vita di un uomo, in particolare se riguardano una donna, che debbo restare segreti.”

“Ah, chiedo scusa,” s’affrettò a dire Kennedy, “non avrà obiezioni a rilasciare una dichiarazione riguardante il suo viaggio all’estero e il suo recente ritorno in questo paese in seguito a… ah… all’incidente di cui non faremo riferimento?”

“Niente affatto. Lasciai New York nel 1908, disgustato in generale da tutto e in particolare della vita che si faceva qui…”

“Sarebbe contrario a scriverlo in modo che io possa ricordarlo bene?” chiese Kennedy. “Solo un breve riassunto, sa.”

“No. Avete una matita?”

“Penso che potrà anche dettarlo. Basterà solo un minuto per batterlo a macchina.”

Masteron suonò il campanello e senza far rumore apparve un giovanotto.

“Wix,” disse, “scrivi così: ‘Lasciai New York nel 1908, viaggiando in Europa, soprattutto a Parigi, Vienna e Roma. In seguito, ho vissuto a Londra, fino a sei settimane fa, quando sono tornato a New York’. È sufficiente?”

“Sì, perfetto,” disse Kennedy mentre piegava il foglio passatogli dal giovane segretario. “Grazie. Confido che non considererà un’impudenza se le chiedo se lei sapeva che il dottor Ross è il medico della signora Maitland.”

“Certo che lo sapevo,” rispose Masterson. “L’ho abbandonato proprio per questo motivo, anche se ancora lui non lo sa. Mi oppongo strenuamente a essere oggetto di – come posso dire? – della sua vivisezione mentale.”

“Pensa che lui abusi della sua posizione nel tentativo di conoscere la vita mentale dei suoi pazienti?” chiese Craig.

“Anche su questo preferirei non dire altro”, rispose Masterson. “Pochi istanti fa stavo parlando al telefono con la signora Maitland, porgendole le mie condoglianze e chiedendole se c’era qualcosa che potevo fare per lei nell’immediato, proprio come avrei fatto ai vecchi tempi… solo che allora, ovviamente, avrei voluto andare da lei al più presto. Il motivo per cui non sono andato, ma ho telefonato, è perché questo Ross sembra essersi messo in testa delle idee ridicole sul mio conto. Ora basta; non voglio discutere. Le ho detto più di quanto volessi.”

Masterson si alzò. La sua soavità mascherava una ferma determinazione a non aggiungere altro.

 

Traduzione
© 2024 by Mario Luca Moretti
© 2024 by Franco Giambalvo
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Arthur B. Reeve: Kennedy & Jameson
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nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"