1. Il medico dei sogni,
2. Analisi dell’anima
3. La Sibarita
4. Il salone di bellezza
5. Il circuito fantasma
6. Il Detettàfono
7. La maledizione verde
8. Il sarcofago della mummia
9. L’elisir di lunga vita
10. La tossina della morte
11. La fumeria d’oppio
12. Il cartello della droga
13. La cleptomane
Leggete la brillante soluzione di Craig Kennedy, e passate alla prossima storia!
La sveglia funzionò come previsto, ma con mia sorpresa Kennedy se n’era già andato. Mi vestii in fretta, trangugiai una veloce colazione e mi recai da Trimble. Lui non c’era e avevo quasi deciso di provare in laboratorio, quando lo vidi arrivare con un taxi da cui tirò fuori diversi pacchi. Nel frattempo, si era unito a noi Donnelly e insieme salimmo in ascensore fino al reparto gioielli. Non avevo mai visto un grande magazzino vuoto, ma penso che sarebbe molto bello fare acquisti in quelle condizioni. Sembrava incredibile entrare nell’ascensore e arrivare direttamente al piano desiderato.
Il reparto gioielli era nella parte anteriore dell’edificio, a uno dei piani superiori, con ampie finestre attraverso cui si rifletteva la luminosa luce del mattino che faceva brillare gli attraenti oggetti che i commessi stavano tirando fuori dalle casseforti per disporli nel modo migliore. Il negozio non aveva ancora aperto, sicché potevamo lavorare senza impedimenti.
Kennedy prese tre scatole nere dai suoi pacchi. Sembrava avessero un’apertura frontale, mentre su un fianco c’era una piccola manovella, che, per quanto potevo capire, era azionata da un meccanismo a orologeria attivato da un contatto elettrico. Il suo problema principale sembrava quello di disporre le scatole nel miglior modo per osservarle da angolazioni diverse attorno al bancone dove era esposta la Kimberley Queen. Con tutte le cianfrusaglie e gli altri vistosi articoli lì in giro, non fu difficile nascondere le scatole, che alle estremità erano forse cinque per cinque, profonde venti centimetri. Dall’attacco a orologeria sul lato delle scatole, uscivano dei fili che arrivavano in un punto all’interno del corridoio, in fondo, dove si vedeva il bancone dei gioielli, ma da cui difficilmente si poteva essere visti.
Ora i clienti avevano cominciato ad arrivare e noi ci mettemmo in posizione un po’ in disparte, pronti a una lunga attesa. Di tanto in tanto, Donnelly passava come per caso davanti a noi. Lui e Craig avevano disposto i detective del negozio in un certo modo per rendere meno ovvia la loro presenza, mentre i commessi avevano ricevuto istruzioni su come agire nel caso avessero notato una persona sospetta.
A un certo punto, Donnelly si avvicinò piuttosto eccitato. Aveva appena ricevuto da Bentley notizie su una parte di merce rubata, forse le perle del collare per cani preso a Shorham, le quali erano state messe in vendita da un ricettatore noto alla polizia come ex complice di Annie Grayson.
“Ecco, questo è il grosso problema con questa gente”, osservò, mentre il suo sguardo vagava per il negozio alla ricerca di qualcosa di insolito. “Una taccheggiatrice raramente diventa una criminale abituale prima dei venticinque anni. Se supera quell’età senza arrendersi, ci sono poche speranze che fili dritto, come ben vedete. Infatti, a quel punto ha già da tempo cominciato ad associarsi con delinquenti dell’altro sesso.”
Le ore si trascinavano noiose, anche se era una splendida occasione per osservare con calma la psicologia dell’acquirente che guardava molto e comprava poco, il disagio degli uomini che erano stati trascinati al macello dei grandi magazzini per dire “Sì” e aprire il portafoglio, una folla caleidoscopica che avrebbe potuto essere interessante se non fossimo stati così concentrati su un solo argomento.
Kennedy mi afferrò il gomito con una presa simile a una morsa. Istintivamente abbassai lo sguardo sul bancone dove la Queen Kimberley giaceva con tutti i crismi dell’autenticità. La signora Willoughby era tornata, ma eravamo troppo lontani per osservare distintamente ciò che stava facendo, anche se era chiaro come la signora Willoughby stesse osservando la gemma. Un attimo dopo un’altra donna si avvicinò con disinvoltura al bancone. Anche da lontano riconobbi Annie Grayson. Per quanto potevo capire, sembrava che si scambiassero commenti. L’impiegato rispose a una o due domande, poi cominciò a cercare qualcosa da mostrare loro. Tutti intorno erano occupati e, obbedendo alle istruzioni di Donnelly, gli investigatori del negozio si tenevano in disparte.
Kennedy si sporse in avanti osservando con la massima attenzione consentita dalla distanza. Si allungò ancora e premette il pulsante vicino a lui.
Dopo un paio di minuti la seconda donna se ne andò, seguita poco dopo dalla stessa signora Willoughby. Ci affrettammo al bancone e Kennedy afferrò la scatola contenente la Kimberley Queen. La esaminò attentamente. Un difetto nel gioiello falso attirò la sua attenzione.
“C’è stata una sostituzione”, gridò. “Vedete! Il gioiello falso che abbiamo usato era intonso; questo ha una piccola macchia di carbonio su questo lato.”
“Due dei miei uomini sono stati incaricati di seguire ognuno una delle donne”, sussurrò Donnelly. “Devo ordinare loro di portare la signora Willoughby e Annie Grayson all’ufficio del sovrintendente per farle perquisire?»
“No”, quasi gridò Craig. “Ciò rovinerebbe tutto. Non faccia una mossa finché non verrò a capo di questa faccenda.”
Il caso stava diventando più che mai un enigma per me, ma non mi restava altro da fare che aspettare finché Kennedy fosse stato pronto ad accompagnare il dottor Guthrie a casa Willoughby. Tentò più volte di contattare il medico per telefono, ma ci riuscì solo a metà pomeriggio.
“Sarò molto occupato per il resto del pomeriggio, Walter”, mi informò Craig, dopo aver preso appuntamento con il dottor Guthrie. “Se mi incontri dai Willoughby verso le otto, ti sarò molto obbligato.”
Glielo promisi, e cercai di dedicarmi a rimettere in pari i miei appunti, che purtroppo restavano sempre indietro quando Kennedy aveva un caso importante. Non riuscii però a combinare molto.
Il dottor Guthrie in persona mi venne incontro alla porta della sua bella casa in Woodridge Avenue e con una cordiale stretta di mano mi fece entrare nella grande stanza dell’ala destra, fuori dalla quale due sere prima avevamo sistemato il telegrafo. Era la biblioteca.
Trovammo Kennedy che sistemava uno strumento nella sala da musica di fianco alla biblioteca. Per quel poco che so di elettricità dovrei dire che si trattava, almeno in parte, di un galvanometro, uno di quegli strumenti che registrano l’intensità di minuscole correnti elettriche. Per quanto potei capire, in questo caso il galvanometro era disposto in modo che la sua azione oscillasse da una parte o dall’altra di un piccolo specchio concavo che pendeva da una struttura appoggiata sul tavolo. Direttamente davanti ad essa c’era una luce elettrica, il riflesso della luce veniva catturato nello specchio e focalizzato dalla sua concavità su un punto a fianco della luce. Dietro c’era una lunga striscia di vetro smerigliato e una lancetta, alla quale era attaccata una penna che toccava un rotolo di carta.
Al centro del grande tavolo della biblioteca Kennedy aveva posizionato un divisorio trasversale, abbastanza alto che due persone sedute potessero vedersi in volto e conversare dalle due parti, ma non potessero vedersi le mani. Su un lato del tramezzo c’erano due cupole metalliche fissate a un’asse messa sul tavolo. Dall’altro lato, oltre allo spazio per poter scrivere, Kennedy aveva sistemato quello che sembrava uno di quei moderni apparecchi cinematografici, ma in miniatura, azionati dall’elettricità. Almeno, pensai che fosse una cosa del genere, perché proprio di fronte c’era un grande lenzuolo bianco appeso al muro, in bella vista per chiunque fosse seduto sul lato del tavolo con le cupole di metallo.
Il momento dell’esperimento, qualunque fosse la sua natura, era finalmente arrivato e il dottor Guthrie ci presentò al signore e alla signora Willoughby come due specialisti che aveva convinto con grande difficoltà a venire da New York. Il signor Willoughby chiese di restare fuori fino alla fine dei test. Lei sembrava perfettamente calma, mentre ci salutava e guardava con curiosità l’armamentario che Kennedy aveva installato nella sua biblioteca. Kennedy, che stava dando gli ultimi ritocchi, parlava a bassa voce per rassicurarla.
“Signora Willoughby, se per favore volesse sedersi qui e mettere le mani su queste due cupole di ottone… ecco, è tutto. Questo è solo un piccolo accorgimento per verificare la sua condizione nervosa. Il dottor Guthrie, che lo sa usare, prenderà posizione fuori, nella sala da musica, a quell’altro tavolo. Walter, spegni la luce, per favore.
“Signora Willoughby, posso dire che nell’esaminare, per esempio, la memoria, noi psicologi abbiamo recentemente sviluppato due test, quello dell’evento, in cui si fa accadere qualcosa davanti agli occhi della persona e poi le viene chiesto di descriverlo, e il test dell’immagine, dove viene mostrata un’immagine per un certo periodo di tempo, dopodiché al paziente viene anche chiesto di descrivere cosa c’era nell’immagine. Ho cercato di combinare queste due idee utilizzando la macchina cinematografica che vede qui. Proietterò tre bobine di film.”
Da quel che potevo vedere, Kennedy aveva acceso la lampada dal suo lato del tavolo. Mentre lavorava alla macchina, gesto che per il momento serviva a distrarre l’attenzione della signora Willoughby, lui faceva una serie di domande. Dalla mia posizione potevo vedere la luce della macchina che registrava sia le domande che le risposte, nonché il tempo registrato al quinto di secondo da un cronometro. La signora Willoughby non riusciva a vedere cosa stesse facendo lui, che fingeva di dover lavorare al suo piccolo apparecchio cinematografico.
Poi, l’interrogatorio finì e, all’improvviso, senza alcun avviso, cominciò a comparire sullo schermo un film. Devo dire che fui sorpreso anch’io. Si vedeva il bancone della gioielleria di Trimble e la signora Willoughby in animata conversazione con uno degli impiegati. Guardai attentamente, dividendo la mia attenzione tra la scena e la donna. Ma per quanto potei capire, in questo primo film non c’era nulla che potesse incriminare chicchessia.
Kennedy avviò il secondo film senza una sosta. Era praticamente identico al primo, solo ripreso da una diversa angolazione.
Era appena arrivato a metà quando il dottor Guthrie aprì la porta.
“Penso che la signora Willoughby debba togliere le mani dalle cupole di metallo”, osservò. “Non riesco a ricavarne nulla.”
Quando l’uomo aveva aperto la porta, io mi ero voltato e ora intravidi la signora Willoughby in piedi, con le mani premute forte sulla testa come se le stesse scoppiando e oscillava come se stesse per svenire. Non so cosa stesse mostrando il film a questo punto, perché Kennedy lo interruppe con un rapido movimento e balzò al suo fianco.
“Ecco, basta così, signora Willoughby. Vedo che non sta bene”, concesse lui. “Dottore, qualcosa per calmarle i nervi. Penso che possiamo completare il nostro lavoro semplicemente confrontando gli appunti. Chiama il signor Willoughby, Walter. Ecco, signore, se si prenderà cura di sua moglie e magari la porterà a fare in giro all’aria aperta, penso che potremo dirle in pochi istanti se le sue condizioni sono gravi o no.”
La signora Willoughby era sull’orlo di una crisi isterica mentre il marito la aiutava a uscire dalla stanza. Appena la porta fu chiusa, Kennedy spalancò una finestra e sembrò fare dei gesti nell’oscurità. Donnelly e Bentley sbucarono fuori come dal nulla e si accomodarono.
Il dottor Guthrie era tornato dalla sala da musica, portando un foglio di carta su cui era tracciata in vari punti una lunga curva irregolare accanto a cui erano state scritte frettolosamente delle note.
Kennedy prese in mano la situazione con il suo tipico zelo. “Ricordate”, cominciò, “che nessuno sembrava sapere chi avesse preso i gioielli in entrambi i casi che avete segnalato la prima volta? Vedere per credere, è un vecchio detto, che però rischia di perdere la sua forza di fronte a resoconti come quelli raccolti da voi investigatori. E non è colpa vostra, perché la moderna psicologia sta dimostrando con esperimenti che le persone non vedono nemmeno una frazione delle cose che sono invece sicure di aver visto.
“Ad esempio, un mio amico, un professore di un’università del Weat, ha condotto esperimenti con decine di persone e non ne ha trovata una che sapesse dare una descrizione davvero accurata di ciò che aveva visto, neanche quand’era testimone diretto; anzi, sotto l’influenza delle domande, specie se ben mirate, tutti i testimoni hanno mostrato ampie imprecisioni su uno o più particolari e questo anche se erano in una posizione più vantaggiosa per riferire di quel che fossero stati i vostri impiegati, i quali non erano preparati. In effetti, spesso mi stupisco che siano tanto accurati certi testimoni che, dopo un considerevole lasso di tempo, sono chiamati in tribunale a raccontare eventi ordinari a cui hanno assistito, considerando la natura delle domande che giungono loro dalle parti interessate: i vicini e gli amici e la costante e spesso difettosa ripetizione dell’evento. La corte chiede al testimone di dire la verità, tutta la verità, e nient’altro che la verità. Ma come può farlo? In effetti, sono spesso sorpreso che ci sia una somiglianza tra la testimonianza e i fatti reali del caso!
“Ma ecco qui un piccolo testimone che non mente mai, e, memore della fallibilità dei testimoni ordinari, l’ho convocato. Si tratta di una nuova, compatta, piccola macchina da presa che è appena stata perfezionata per fare da sola ciò che fanno le grandi cineprese.”
Toccò una delle piccole scatole nere come quelle che lo avevamo visto installare nel reparto gioielli di Trimble.
“Ognuna di queste contiene,” aggiunse, “centosessanta piedi di pellicola, circa cinquanta metri, sufficienti per tre minuti di film a circa cinquanta immagini per metro e la pellicola scorre alla velocità di un metro ogni tre secondi circa. Sapete che facendo scorrere meno di dieci o undici immagini al secondo si imprimono sulla retina come fotografie separate. Invece, questa piccola cinepresa compatta mi è stata suggerita da una ingegnosa invenzione da poco offerta alla polizia di Parigi, molto più ingombrante in verità, consistente in apparecchi cinematografici comandati a distanza e installati in varie strade sulle torri degli orologi. La cinepresa usata come detective e ha ora dimostrato il suo valore. Ho qui tre film ripresi da Trimble da angolazioni diverse, che mostrano con indubbia esattezza cosa è successo mentre Mrs. Willoughby e Annie Grayson guardavano la Kimberley Queen.”
Si fermò come se analizzasse i passaggi nella propria mente. “Il telegrafo mi diede il primo indizio della verità”, disse. “La cinepresa mi ha portato a un passo più vicino, ma senza questo terzo strumento non avrei ottenuto tutta la verità, anche se pareva dovessi avere successo.”
Armeggiò con l’apparecchio sul tavolo della biblioteca collegato con quello nella stanza di musica. “Questo è uno psicometro e serve a evidenziare le aberrazioni mentali”, spiegò. “Gli scienziati che lo usano oggi lavorano non per aiutare la giustizia penale, ma con la speranza di fare scoperte tali da migliorare la salute mentale della popolazione. Tuttavia, credo che nello studio delle malattie mentali questi uomini stiano fornendo le conoscenze su cui i futuri criminologi poggeranno le basi per rendere l’individuazione del criminale una certezza assoluta. Un giorno non ci saranno più giuria, investigatori, testimoni, avvocati. Lo stato si limiterà a sottoporre tutti i sospetti a test di strumenti scientifici come questi e poiché tali strumenti non possono commettere errori o dire bugie, i loro risultati forniranno le prove definitive di colpevolezza o innocenza.
“Lo psicometro è già una realtà operante. Nessuna persona può nascondere le sue emozioni a questo magico strumento. Uno può mettere in gioco il più gigantesco sforzo di volontà per nascondere i sentimenti interiori e lo psicometro registrerà il lavorio stesso che fa fare questo sforzo di volontà.
“La macchina si basa su degli esperimenti che hanno dimostrato come la resistenza del corpo umano alla corrente elettrica, aumenti con l’aumento delle emozioni. Il dottor Jung, di Zurigo, pensò che sarebbe stato molto semplice registrare le diverse emozioni e lo psicometro ne è il risultato, oggi semplice e rozzo rispetto a quello che dovremo aspettarci nel futuro.
“Un galvanometro è organizzato in modo tale che la sua azione fa oscillare uno specchio da una parte all’altra, riflettendo un raggio di luce. La luce cade su un misuratore in vetro smerigliato segnato in centimetri e la lancetta segue il raggio di luce. Una penna preme contro un tamburo metallico con su un lungo rotolo di carta mosso da congegni e registra le variazioni. Il dottor Guthrie, che aveva la responsabilità della registrazione, si è semplicemente seduto davanti al vetro smerigliato e con la freccia ha seguito il riflesso della luce mentre si muoveva lungo il misuratore, riportando così una registrazione sulla carta avvolta attorno al tamburo e vedo che ora la tiene in mano.
“La signora Willoughby, il soggetto, e io, l’esaminatore, sedevamo qui a questo tavolo, uno di fronte all’altra. Attraverso queste cupole metalliche, su cui teneva le mani, la signora ha ricevuto una corrente elettrica, tanto debole da non poterla sentire, nemmeno se avesse avuto nervi più sensibili. Dunque, con ogni aumento delle sue emozioni, sia mentre le ponevo domande, sia quando le mostravo le immagini, aumentava la resistenza del suo corpo alla corrente che veniva trasmessa attraverso le sue mani, sia che lei mostrasse emozioni esteriormente o meno. L’aumento è stato avvertito dal galvanometro collegato con dei cavi nella stanza di musica, lo specchio ha oscillato, la luce ha viaggiato sul misuratore, la lancetta è stata mossa dal dottor Guthrie e i cambiamenti delle sue emozioni sono stati registrati indelebilmente sul foglio di carta che si srotolava, in modo tale da mostrare la loro intensità e rivelare a uno scienziato preparato molte cose sulla condizione mentale del soggetto.”
Kennedy e il dottor Guthrie conversarono poi a bassa voce. Di tanto in tanto potevo cogliere un briciolo di conversazione: “non un epilettico,” “nessuna conformazione anormale della testa,” “certi difetti mentali,” “spesso il risultato di malattia o incidente.”
“Ogni volta che quella donna appariva c’era un disturbo molto particolare”, osservò il dottor Guthrie mentre Kennedy gli prendeva il rotolo di carta per studiarlo meglio.
Alla fine, il suo viso s’illuminò.
“Tra i vari tipi di follia”, disse, misurando lentamente le parole, “ce n’è una che si manifesta come un irresistibile impulso a rubare. Termini come neuropatico e cleptomane sono spesso considerati come eleganti e spregevoli scuse inventate dai medici per mascherare il furto. La gente è incline a dire cinicamente, ‘i peccati dell’uomo povero; le malattie dell’uomo ricco.’ Tuttavia, la cleptomania esiste ed è facile farla sembrare come crimine quando è una spinta a rubare reale, persistente, incorreggibile ed irrazionale. Spesso è così forte da essere incurabile. Sono stati registrati casi di ecclesiastici cleptomani e in un caso una vittima morente ha rubato la tabacchiera del suo confessore.
“È il piacere e l’eccitazione di rubare, non il desiderio per l’oggetto rubato, che distingue il cleptomane dal ladro comune. Molto spesso il cleptomane è donna, con un folle desiderio di rubare per il solo gusto di rubare. Il morboso desiderio di eccitazione che è alla base di tanti crimini immotivati e inutili, ha spinto ancora e ancora uomini e donne all’apparenza razionali alla rovina e persino al suicidio. È una forma di follia emotiva, non la perdita di controllo della volontà, ma una perversione della volontà. Alcuni sono cittadini modelli nei loro intervalli di lucidità, ma quando la mania si impossessa di loro non possono resistere. Il piacere è l’atto stesso di rubare, non il possesso. Bisogna considerare molte cose, perché malattie come la cleptomania appartengono esclusivamente alla civiltà; sono il prodotto di un’epoca di sensazionalismo. Naturalmente le donne, con il delicato equilibrio della loro struttura nervosa, sono le più propense a queste pulsioni.”
Kennedy si sedette al tavolo e scrisse in fretta. Quando ebbe finito, tenne i fogli in mano per asciugarli.
Passò un foglio a Bentley e uno a Donnelly. Ci avvicinammo a loro. Kennedy aveva semplicemente scritto due fatture per la collana e il collare di perle.
“Mandatele al signor Willoughby,” aggiunse. “Penso che sarà felice di pagarle pur di mettere a tacere lo scandalo.”
Ci guardavamo stupiti dalla rivelazione.
“E Annie Grayson?” insistette Donnelly.
“Mi sono preso cura di lei”, rispose laconico Kennedy. “È già in arresto. Vuol sapere perché?”
Un momento dopo eravamo tutti ammucchiati nell’auto del dottor Guthrie, che stava in piedi davanti alla portiera.
Nell’accogliente, piccola villa dei Grayson trovammo due detective con gli occhi spalancati e una donna molto arrabbiata che aspettava con impazienza. Ammucchiato su un tavolo nel soggiorno c’era un bottino che subito attirò l’attenzione dei detective.
La roba che era sul tavolo consisteva in una magnifica collezione di diamanti, zaffiri, collane di perle, smeraldi, statuette e antichità in bronzo e avorio, libri in rilegature preziose e altre quisquiglie che solo la ricchezza può comprare. Quel mucchio abbagliava i nostri occhi mentre ne facevamo un inventario a mente. Eppure, era una collezione vastissima. Accanto a un colletto di perle con chiusura a diamante, c’erano un paio di pantofole in pelle liscia e un paio di calze di seta. Cose di valore e cose di nessun valore mescolate come da un folle. Una splendida collana di corallo intagliato giaceva vicino a una mezza dozzina di comuni fazzoletti di lino. Una striscia di seta nascondeva una preziosa collezione di gioielli antichi. Oltre a diamanti e pietre preziose c’erano ornamenti d’oro e d’argento, sete, pizzi, tendaggi, articoli di pregio, pennacchi, persino posate e cianfrusaglie. Tutto questo doveva essere il risultato di innumerevoli escursioni ai negozi di New York e di incalcolabili, astuti furti.
Potevamo solo guardarci l’un l’altro con stupore e meraviglia per l’espressione di sfida sul volto di Annie Grayson.
“In tutto questo strano groviglio di eventi”, osservò Kennedy, esaminando il mucchio con evidente soddisfazione, “trovo che i precisi strumenti della scienza mi hanno insegnato ancora qualcosa. Qualcun altro scoprì la debolezza della signora Willoughby, la guidò, le suggerì delle opportunità, la sfruttò più e più volte, traendo profitto dalla sua malattia, probabilmente per migliaia di dollari. Le registrazioni sul mio telegrafo lo lasciavano intendere. In qualche modo Annie Grayson si è assicurata la fiducia della signora Willoughby. La quale prendeva per il gusto di prendere; l’altra era spinta dal denaro. La signora Willoughby fu facilmente persuasa dalla sua nuova amica a lasciare qui ciò che aveva rubato. Infatti, dopo averlo rubato, non ne aveva più alcun interesse.
“Lo stato di diritto dice che è responsabile chiunque conosca la natura e le conseguenze del suo atto. Abbiamo la prova assoluta che fu Annie Grayson, anche se in realtà non ha commesso nessuno dei furti, ma ha ingannato la signora Willoughby e ne ha tratto profitto. Il dottor Guthrie si occuperà del caso della signora Willoughby. Ma la legge deve occuparsi di lei per aver giocato con la malattia di una cleptomane: il piano più astuto mai realizzato dalla regina delle taccheggiatrici.”
Mentre si voltava con nonchalance dagli investigatori che avevano arrestato Annie Grayson, Kennedy estrasse dalla tasca un dépliant rosso.
“Vedi, Walter”, sorrise, “quanto presto ci si abitua? Sono quasi un pendolare, ormai. Sai, loro tirano fuori sempre questi dépliant rossi proprio quando le cose diventano interessanti.”
Lanciai un’occhiata alle sue spalle. Stava studiando l’orario ferroviario locale.
“Possiamo prendere l’ultimo treno da Glenclair, se ci sbrighiamo”, annunciò, rimettendosi in tasca il dépliant. “La porteranno a Newark in cellulare, suppongo. Andiamo.”
Ci salutammo frettolosamente e sfuggimmo alla meno peggio alla pioggia di congratulazioni.
“Ora riposiamoci”, disse, sistemandosi nel morbido sedile coperto per il lungo viaggio in città, con il cappello abbassato sugli occhi e le gambe piegate contro lo schienale del sedile davanti. Uscimmo dalla metropolitana e raggiungemmo i quartieri alti in un taxi notturno e alla fine fummo a casa per una bella dormita.
“Questa promette di essere una brutta giornata”, osservò Craig, la mattina successiva, al tavolo della colazione. “Incontriamoci in mattinata e facciamo una lunga passeggiata. Sento il bisogno di esercizio fisico.”
“Un segno di ritorno alla sanità mentale!” esclamai.
Ormai ero così abituato a essere chiamato in causa in caso di imprevisto, che avevo quasi la sensazione che qualcuno potesse fermarci durante il nostro vagabondare. Ma non successe nulla del genere fino al nostro ritorno.
Lì un uomo di mezza età e una ragazza, pesantemente velata, stavano aspettando Kennedy, mentre, lungo il viale, ci riparavamo dal vento vivace che veniva dal fiume.
“Il mio nome è Winslow, signore”, iniziò l’uomo, alzandosi nervosamente quando entrammo nella stanza, “e questa è la mia unica figlia, Ruth.”
Kennedy si inchinò e aspettammo che l’uomo continuasse. Si passò la mano sulla fronte madida di sudore nonostante la stagione. Ruth Winslow era una giovane donna attraente, lo potevo capire a prima vista, anche se il suo viso era quasi completamente nascosto dallo spesso velo.
“Forse, Ruth, farei meglio… ah… a vedere questi signori da solo?” suggerì il padre gentilmente.
“No, papà”, rispose lei in tono di forzato coraggio, “non credo. Posso sopportarlo. Devo sopportarlo. Forse posso aiutarti a raccontare il… il caso.”
Il signor Winslow si schiarì la gola.
“Siamo di Goodyear, una piccola cittadina operaia”, proseguì lentamente, “e come senza dubbio potete vedere siamo appena arrivati dopo aver viaggiato tutto il giorno.”
“Goodyear”, ripeté lentamente Kennedy mentre l’uomo faceva una pausa. “L’industria principale, ovviamente, è quella della gomma, suppongo.”
“Sì”, confermò il signor Winslow, “la città si fonda sulla gomma. Le nostre fabbriche non sono le più grandi, ma sono comunque molto grandi e sono tutto ciò che fa andare avanti la città. È anche sulla gomma, temo, che pende la tragedia che sto per raccontare. Immagino che i giornali di New York non abbiano detto niente sulla strana morte di Bradley Cushing, un giovane chimico di Goodyear che in passato era impiegato nelle fabbriche ma che di recente aveva aperto un piccolo laboratorio in proprio.”
Kennedy si rivolse a me. “Niente, a meno che non ne parlino le ultime edizioni dei giornali della sera”, risposi.
“Forse è meglio così”, continuò il signor Winslow. “Non avrebbero capito bene. In effetti, nessuno ha ancora capito bene. Ecco perché siamo venuti da voi. Sa, a mio modo di vedere Bradley Cushing era sulla buona strada per cambiare il nome della città da Goodyear a Cushing. Non era l’inventore della gomma sintetica di cui si sente parlare oggi, ma aveva migliorato così tanto il processo che non c’è dubbio che presto la gomma sintetica sul mercato sarebbe stata più economica e migliore della gomma naturale ricavata dalla para.
“Goodyear non è una grande città, ma è famosa per la gomma e utilizza moltissima materia prima. Abbiamo inviato alcuni dei migliori uomini del settore, alla ricerca di nuove fonti in Sud America, in Messico, a Ceylon, in Malesia e in Congo. Ci fosse qualcosa che la nostra gente non sa sulla gomma difficilmente varrà la pena di saperlo: dalla gomma grezza alle migliaia di forme di prodotti finiti. Goodyear è anche una cittadina ricca, per le sue dimensioni. Naturalmente tutti gli investimenti sono nella gomma, non solo nei nostri stabilimenti ma in aziende di tutto il mondo. L’anno scorso molti dei nostri cittadini più importanti si sono interessati a una nuova concessione nel Congo, opzionata a un gruppo di capitalisti americani, tra i quali c’era Lewis Borland, che è senz’altro il magnate locale della nostra città. Quando questo gruppo organizzò una spedizione per esplorare la regione in vista dell’acquisizione della concessione, molte delle persone più note di Goodyear accompagnarono il gruppo e in seguito sottoscrissero grossi pacchetti azionari.
“Dico tutto questo perché voi due possiate capire fin dall’inizio quale ruolo gioca la gomma nella vita della nostra piccola comunità. Potete facilmente capire che, stando così le cose, il vantaggio che potrebbe ottenere, il mondo in generale, dalla gomma sintetica a basso costo, difficilmente andrebbe a beneficio di coloro che hanno speso denaro e lavoro col presupposto che la gomma sarebbe in breve diventata scarsa e cara. È ovvio, quindi, che Bradley Cushing non fosse popolare presso un certo gruppo di Goodyear. Per quanto mi riguarda, devo ammettere francamente che avrei potuto condividere l’opinione su di lui di molti, perché anch’io ho un piccolo investimento su una impresa del Congo. Ma il fatto è che Cushing, arrivato nella nostra città fresco di borsa di studio in chimica industriale, conobbe mia figlia.”
Senza distogliere lo sguardo da Kennedy, si allungò e accarezzò la mano guantata che stringeva il bracciolo della poltrona accanto alla sua. “Erano fidanzati e spesso discutevano su cosa avrebbero fatto quando l’invenzione di Bradley per un nuovo modo di polimerizzare l’isoprene, come viene chiamato il processo, avrebbe risolto la questione della gomma e lo avesse reso ricco. Anch’io sono fermamente convinto che i loro sogni non fossero campati in aria. La cosa era seria. Ho visto i suoi prodotti e io ne capisco di gomma. Nella sua gomma non c’erano impurità.”
Il signor Winslow fece una pausa. Ruth singhiozzava piano.
“Stamattina”, riprese in fretta, “Bradley Cushing è stato trovato morto nel suo laboratorio in circostanze molto strane. Non so se il suo segreto sia morto con lui o se qualcuno lo abbia rubato. Dagli indizi ho concluso che è stato assassinato.”
Questa era la vicenda, come la sentimmo io e Kennedy quel giorno.
Ruth lo guardò con occhi pieni di lacrime e carichi di dolore: “Il signor Kennedy vorrà occuparsene?” La risposta era una sola.
L’immagine di copertina è stata generate da AI Microsoft Designer.
nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"