La giovinezza di Tarzan tra le scimmie” capitolo VII, in cui il giovane Tarzan si fa notare per forza e intelligenza, impara a leggere e difende la madre adottiva dalla furia del gruppo.

La giovinezza di Tarzan tra le scimmie: Capitolo I

Questa strana storia me la raccontò un tale che non aveva alcun interesse…

La giungla di Tarzan: Capitolo II

Mentre Clayton saliva sopra coperta per la quotidiana passeggiata, sentì il cupo rimbombo di un colpo di rivoltella…

Tarzan: una piccola creatura umana: Capitolo III

Erano già da qualche tempo svegli quando l’alba colorava con le sue pallide luci…

Tarzan tra le scimmie; Capitolo IV

Kerciak, il vecchio bertuccione, era preso da un violento…

Tarzan combatte: capitoli V e VI

Quando ella parlava del suo piccino alle femmine anziane, queste si meravigliavano…

Tarzan e un suo simile

“La giovinezza di Tarzan tra le scimmie” capitoli VIII e IX, in cui il giovane Tarzan…

Capitolo VII.

Per lungo tempo, che a Tarzan parve un eternità, rimase immobile all’ombra di un albero. Poi lentamente, ma progredendo di giorno in giorno, riprese a camminare, e da allora la guarigione fu rapida.

Non era ancora trascorso un mese che aveva già riacquistato il suo pieno vigore.

Durante le lunghe pause della convalescenza ripensava sovente a quel meraviglioso oggetto che gli aveva permesso di affrontare la tremenda rabbia del poderoso avversario. Quel piccolo essere trascurabile era riuscito a vincere uno dei più terribili abitatori della jungla. Voleva quindi ritornare in possesso al più presto dell’arma meravigliosa e riprendere le sue esplorazioni nella capanna.

Un mattino per tempo riprese la via della foresta e, giunto sul luogo della lotta ritrovò facilmente lo scheletro del suo nemico e, quasi sepolto dalle foglie secche, il coltello arrugginito.

Con dispiacere constatò che la bella lama non luccicava più tuttavia era sempre un’arma formidabile nelle sue mani, e Tarzan lo adottò come suo mezzo di difesa e di offesa. Non avrebbe più evitato la lotta con Tublat, quando questi lo avesse aggredito. Arrivato alla capanna con relativa facilità fece funzionare il saliscendi e appena entrato riprese l’esplorazione interrotta qualche mese prima. Richiusa la porta dopo aver constatato che si poteva aprire anche all’interno, si compiacque di quell’isolamento in cui poteva con tutta calma frugare fra quegli strani oggetti senza tema di venir disturbato da alcuno.

Nuovamente la sua attenzione ritornò ai libri come per una strana suggestione. Non poteva neanche lontanamente immaginare a che cosa servissero e trascurava tutti gli altri oggetti per sfogliare quei misteriosi volumi.

Fra gli altri c’era un sillabario, alcuni volumi per ragazzi, molti libri illustrati e un grosso dizionario. Esaminò accuratamente ogni libro, ma le figure colpirono maggiormente la sua fantasia. I caratteri della stampa che nella sua rozza ingenuità chiamava formiche lo meravigliavano e lo inducevano a meditare.

Accovacciata sul tavolo la piccola ma graziosa persona abbronzata colla testa china sul libro che teneva fra le mani agili, coi capelli arruffati sulla chiara fronte e che scendevano fin quasi a ricoprire i begli occhi intelligenti e vivaci, Tarzan delle scimmie, quel piccolo uomo primitivo, raffigurava una strana visione preistorica che commuoveva: era la primordiale umanità che brancicava nella tenebra dell’ignoranza, alla ricerca della meravigliosa luce del sapere.

Tarzan era tutto compreso nello studio; vagamente aveva afferrato l’imprecisa e nebulosa idea che doveva guidarlo attraverso quell’esercito di strane formiche a sciogliere il mistero di quell’enigma. Stava compulsando un sillabario e nella pagina su cui leggeva era raffigurato un piccolo scimmiotto bianco come lui ma, tutto ricoperto tranne la faccia e le mani, di strane pelli colorate che erano i pantaloni e la giacca. Sotto la figura erano tre formiche

Boy (ragazzo)

Nello sfogliare il sillabario Tarzan aveva notato che quelle tre formiche si ripetevano sovente anche nella stessa pagina e man mano che sfogliava il piccolo libro illustrato constatò che molte formiche si somigliavano anzi erano quasi sempre le stesse che si ripetevano.

Preso da curiosità, lentamente, pagina per pagina, cercava con attenzione le formiche che assieme combinavano la parola Boy.

Sotto un’illustrazione che raffigurava lo scimmiotto vicino a un cane che per lui era uno strano animale a quattro zampe, le formiche risultavano comporre nuovamente la parola che cercava combinata con altre: a boy and a Dog (Un fanciullo e un cane).

Intanto Tarzan progrediva, ma lentamente ed a fatica.

Aveva iniziato la soluzione di quel rompicapo senza immaginare che sarebbe stata lunga e faticosa. Imparare a leggere ed a scrivere senza conoscere le proprietà fonetiche delle lettere era un’impresa quasi impossibile dato poi che Tarzan non aveva mai visto, nella sua breve vita un libro.

Fu un lavoro paziente e passarono settimane e anni prima che potesse afferrare il significato di tutte quelle strane formiche nere e progrediva lentamente, cosicché a 15 anni era riuscito appena appena a decifrare le poche combinazioni di lettere che si trovavano sotto le illustrazioni del sillabario e di un altro libro colle figure a colori. Della grammatica non aveva che un’idea vaga e imprecisa, ma molto lontana dall’importanza del reale significato di essa.

Un giorno (aveva circa 12 anni) frugando come al solito nella capanna, aprendo un cassetto del tavolo, di cui non conosceva l’esistenza, trovò alcune matite e strofinandone una sulla tavola con sua grande meraviglia vide che la punta tracciava sul legno un lungo segno nero. Preso dalla curiosità, con quella specie di giocattolo tracciava sul legno della tavola un’infinità di disegni e linee regolari finché la punta si era tutta consumata. Ne prese un’altra e si propose di disegnare alcune formiche di quelle che erano sul libro.

Non era cosa tanto facile perché prendeva la matita nel pugno chiuso come se fosse il manico di un coltello e questo non facilitava certamente il suo programma.

Ma Tarzan era costante e per parecchi mesi tutte le volte che si recava nella capanna ripeteva quell’esercizio e provando e riprovando riuscì a tenere la matita in modo tale che gli permettesse di tracciare con una certa facilità tutte le formiche. Senza saperlo aveva imparato le più elementari nozioni della scrittura.

Copiando e ricopiando e confrontando tra loro le formiche finì per concludere che ve ne era solamente un dato numero. Certamente il ragazzo-scimmia non sapeva contare, ma possedeva una vaga idea sulla quantità e la sua era una numerazione non al modo che intendiamo noi, ma primordiale, cioè contando le dita della mano

Confrontò i vari libri e visto che le formiche erano uguali per tutti riuscì, dopo un paziente lavoro, a metterle in ordine come le aveva viste raffigurate nel bel sillabario illustrato. Intanto progrediva sempre più nella sua istruzione trovando nel grosso dizionario illustrato un tesoro di nozioni. Impadronitosi ormai del significato delle formiche, scoperto l’ordine alfabetico delle parole del gran libro, si divertiva immensamente a rintracciar le combinazioni e riusciva a capire e a comprendere. Le spiegazioni che venivano dopo la parola sul testo del vocabolario, gli rivelavano molte cose sconosciute. A diciassette anni aveva appreso a leggere tutto l’alfabeto ed a comprendere il mirabile computo delle piccole formiche nere.

Non desiderava più di vedere il suo corpo rivestito di ispidi peli; la ragione gli suggeriva che era di una razza evidentemente diversa da quella dei suoi compagni. Egli era u-o-m-o; quelli erano s-c-i-m-m-i-o-n-i; e le piccole scimmie che andavano saltando pei rami più alti erano b-e-r-t-u-c-c-e. E sapeva pure che Sabor era una 1-e-o-n-e-s-s-a, Histh un s-e-r-p-e-n-t-e, Tantor un e-l-e-f-a-n-t-e. E così imparò a leggere.

Ormai, in possesso dei primi rudimenti della scrittura, rapidamente progrediva. Con l’ausilio del grosso dizionario illustrato e colla sua mente aperta e attiva di ragazzo perfettamente sano e discendente da una razza d’intelligenza superiore alla normale, egli riusciva a raggruppare le idee cercando di indovinare molte cose che però non riusciva a comprendere, ma sovente ragionando coglieva nel segno.

Per la consuetudine che aveva la tribù di emigrare ogni tanto, Tarzan doveva interrompere per lunghi periodi i suoi studi; ma anche senza libri la sua mente attiva rimuginava tutto quello che aveva appreso e si esercitava nel suo passatempo preferito. Scriveva per terra sulle cortecce degli alberi e sulle foglie liscie incidendo le lettere colla punta accuminata del coltello.

Ma i libri e lo studio non assorbivano tutto il suo tempo egli alternava le lunghe ore di paziente consultazione del vocabolario coll’esercizio della caccia adoperando il laccio o il coltello che aveva imparato ad affilare sulle pietre dure e liscie.

Al comando dli Kerciak la tribù era riuscita a sbaragliare e a scacciare da quel vasto territorio le altre tribù che vi abitavano e, dato che il nutrimento era abbondante e le perdite relativamente scarse, la tribù aumentava. I maschi raggiunta una certa età si accoppiavano colle femmine della tribù e se qualche volta ne rapivano qualcuna alle altre tribù preferivano vivere in amicizia con Kerciak e coi suoi sudditi piuttosto che allontanarsi e costituire la loro famiglia isolatamente.

Qualche volta scimmioni fieri e indisciplinati avevano tentato di rifiutarsi alla supremazia del terribile Kerciak, ma avevano scontato con la vita la ribellione. Tarzan nella tribù era appena tollerato.

Gli anziani lo trascuravano come se non fosse esistito, i giovani lo odiavano con accanimento e, se non fosse stato per Kala che vigilava su di lui e per la sua intelligenza e agilità, lo avrebbero ucciso fin da quando era bambino. Il nemico più aperto e dichiarato era Tublat, ma Tarzan a tredici anni si sapeva giù imporre e le persecuzioni cessarono perchè sapeva difendersi. Solo qualche volta, ma ben raramente, aveva da lottare con qualche membro della tribù colto da un eccesso di furore che toglieva ad essi ogni controllo, ed allora l’ossesso assaliva senza alcuna distinzione tutti i maschi della jungla. In quel caso non c’era via di scampo, o lottare o fuggire.

Il giorno in cui Tarzan riuscì a imporre la sua evidente superiorità a tutti i componenti della tribù, questa era radunata in un piccolo anfiteatro naturale, senza alberi e liane in un piccolo avvallamento circondato da colline poco elevate.

La radura era di forma quasi circolare ed era come coronata da una folta vegetazione così intricata e aggrovigliata che si poteva giungere nella piccola valle solamente attraverso i rami degli alberi. In quell’angolo tranquillo dove quasi nessuno veniva a disturbarle si riunivano le scimmie della tribù di Kerciak. Nel centro dell’anfiteatro vi era una specie di tamburo di cui si servivano le scimmie nelle loro incomprensibili cerimonie. Molti viaggiatori nelle notti della jungla hanno udito lontano il cupo rimbombo, ma nessuno è mai riuscito ad assistere a quelle strane cerimonie.

Molti bianchi li hanno visti effettivamente questi tamburi, ma Tarzan ossia Lord Greystoke, è stato certamente il primo essere umano che abbia partecipato all’orgia feroce e diabolica del dum-dum.

Nella notte rischiarata dall’argentea luce della luna tropicale migliaia e migliaia di secoli fa, i villosi progenitori della nostra razza, i nostri antenati feroci danzavano il rituale dum-dum al cupo suono dei tamburi di terra. Da quella rozza e primordiale cerimonia. hanno avuto origine le attuali cerimonie dello Stato. Oggi è la stessa luna che diffonde la sua luce sulle città moderne.

In quel giorno si radunavano dunque i membri della tribù e si calavano silenziosi dai rami degli alberi nell’anfiteatro per raggiungere pigramente il centro della radura e assidersi attorno al grosso tamburo di terra. I riti del dum-dum si svolgevano solamente in occasione di fatti importanti nella vita della tribù: come una vittoria, la cattura di un prigioniero, l’uccisione di una belva feroce, la morte, o l’elezione di un capo: il rito era sempre quello.

Molte volte si trattava dell’uccisione di un gigantesco scimmione che faceva parte di un’altra tribù.

Mentre i sudditi di Kerciak entravano nell’anfiteatro, due robusti maschi trasportarono nel centro della valletta il corpo del nemico vinto. Lo posarono a terra davanti al tamburo e si accovacciarono uno per lato come per impedirgli la fuga. Gli altri componenti della tribù si erano coricati dove l’erba era più folta nell’attesa che sorgesse la luna per iniziare le loro orgie.

Per alcune ore non si udì che la voce arrochita di qualche pappagallo dalle penne policrome, o il cinguettio e gli strilli dei molti uccelli della jungla che volavano di ramo in ramo sugli alberi secolari.

Quando le tenebre occultarono ogni cosa, le grandi scimmie, lentamente, in silenzio si radunarono in un gran cerchio attorno al tamburo, le femmine coi piccoli si erano accovacciate poco discosto. Appoggiati al tamburo vi erano tre vecchie femmine che impugnavano tre grossi randelli lunghi quindici pollici ciascuno.

Coi bastoni, lentamente, delicatamente dapprima cominciarono a batter sul tamburo in un ritmo preciso, quando, oltre la linea scura delle alte piante, si intravide il chiarore lattiginoso della luna che stava sorgendo. Man mano che la luce si diffondeva nell’anfiteatro disperdendo le ombre, le femmine acceleravano e battevano sempre più forte. Nella jungla in un raggio di parecchie miglia si udiva lento, grave e cadenzato il cupo rumore del tamburo di terra. Le belve a quel suono si arrestavano improvvisamente, alzavano la grossa testa fiutando l’aria per ascoltare, ma oramai sapevano che quel suono indicava la riunione abituale delle scimmie per la cerimonia del dum-dum.

Ogni tanto qualche urlo o ruggito tonante si elevava nel silenzio come una risposta al continuo tambureggiare; ma nessuno osava avvicinarsi perchè, quando le scimmie erano riunite non erano un facile avversario. Il rimbombo era diventato cupo e addirittura assordante quando Kerciak balzato in mezzo al cerchio delle altre scimmie rovesciò il capo all’indietro fissando i suoi occhietti nella jungla e battendosi con la mano villosa l’ampio torace emise un terribile urlo più potente del ruggito del leone, più lamentoso del lamento di una belva ferita a morte. Più volte si udì nel profondo silenzio il terribile grido.

Dopo di aver lanciato i suoi urli, Kerciak si mise quasi carponi e girò attorno al tamburo ma sempre tenendo fissi i suoi occhi sul corpo disteso e inanimato della vittima.

Un altro scimmione balzò nel mezzo del cerchio, lanciò a sua volta due o tre poderosi urli, poi seguì passo passo il suo capo. Ad uno ad uno i maschi entrarono nella lenta danza ripetendo prima gli spasmodici urli.

Questa cerimonia inaugurale rappresentava la sfida e la caccia.

Quando tutti i maschi si disposero danzando attorno al corpo del nemico morto, Kerciak afferrata una poderosa clava da un mucchio, preparato appositamente, si lanciò con evidente collera sul cadavere e gli diede un gran colpo mentre ripeteva l’urlo selvaggio di poco prima.

Il tamburo risuonò più cupo sotto i colpi più fitti: tutti i guerrieri ad uno ad uno presero una clava e bastonarono quell’inerme e inoffensivo scimmione. In una ridda sfrenata danzavano urlando la danza della morte.

Tarzan si era lasciato trascinare dal vortice di quell’orgia e il suo corpo agile e abbronzato che luccicava al chiarore della luna per il sudore che gli scendeva a rigagnoli sulla pelle morbida, contrastava con le bizzarre e goffe figure che lo circondavano. Nessuno riusciva ad imitare meglio di lui le caute mosse del cacciatore od a colpire deciso e sicuro la vittima.

I colpi di tamburo si fecero ancora più fitti e più forti; i danzatori sembravano ebbri di suoni e di grida; balzavano scomposti mentre dalle loro tumide labbra colava viscida una bava grigiastra. A un certo punto dopo mezz’ora che continuava quell’orgia Kerciak diede un segnale al quale i tamburi tacquero e le femmine abbandonarono i randelli per andarsi ad accovacciare con gli altri cacciatori. I maschi si lanciarono su la vittima già ridotta a un ammasso informe di carne e ossa sanguinolenti.

Raramente potevano saziarsi di carne e la ridda selvaggia terminò in un banchetto. Le zanne enormi si affondavano nella carne fresca del nemico ucciso strappandone grossi brani. I più forti naturalmente avevano i pezzi più grossi mentre i più deboli gironzolavano attorno al gruppo ringhiando e attendendo il momento opportuno per addentare qualche buon boccone o almeno un osso da rosicchiare.

Discendente da una razza di carnivori Tarzan sentiva ancor più delle scimmie il bisogno di saziarsi coi brani sanguinolenti della vittima e agilmente s’introduceva nel gruppo dei contendenti per cercare di conquistare con l’astuzia ciò che non poteva avere con la forza. Appeso al fianco portava sempre il coltello da caccia del padre che non aveva mai conosciuto, inguainato in un fodero che si era costruito simile a quello che aveva visto su di una illustrazione dei libri trovati nella capanna.

Finalmente colla lama affilata riuscì a staccare un grosso pezzo di carne: era un braccio anteriore che sporgeva dalle gambe di Kerciak e questi tutto intento a mangiare non si accorse dell’atto di Tarzan. Il ragazzo-scimmia si allontanò dalla mischia stringendo al petto la sua preda.

Tra coloro che gironzolavano attorno al gruppo dei contendenti vi era il vecchio Tublat che, trangugiato un brano di carne, che era riuscito ad asportare, ritornava alla carica per averne dell’altra.

Tarzan quando scorse Tublat cercò di evitarlo, ma gli occhi del patrigno ebbero un lampo feroce che denotava l’odio per Tarzan e l’avidità per il prelibato boccone. Intuite le intenzioni del vecchio scimmione si diede a precipitosa fuga verso gli alberi, ma Tublat gli si mise alle calcagna. Tarzan afferratosi ai bassi rami di un grosso tronco strinse la sua preda coi denti e salì arrampicandosi sulla ondeggiante vetta, dove Tublat per il suo peso eccessivo non poteva certamente arrivare. Dall’alto ingiuriava il bestione furioso che si era dovuto arrestare una cinquantina di piedi più in basso.

Tublat, pazzo di furore e di rabbia, si lasciò scivolare dall’albero e, piombato fra le femmine e i piccoli azzannò una diecina di scimmie strappando brani di carne dalle spalle e dai fianchi delle femmine.

Tarzan appollaiato sull’alto ramo dell’albero osservava le femmine e i piccoli che scappavano in ogni direzione per sfuggire la furia bestiale di Tubat che ora si precipitava sui maschi che consumavano i resti della povera vittima. Disturbati dallo scimmione inferocito, i maschi invece di reagire si rifugiarono anche loro sugli alberi e nell’anfiteatro non rimase che una sola scimmia che fuggì verso l’albero di Tarzan inseguita dall’infuriato Tublat.

Era Kala, e quando Tarzan vide che il patrigno stava per raggiungerla, di ramo in ramo velocemente fu a terra per correre incontro alla sua madre d’adozione.

Ormai essa era arrivata sotto un albero, mentre Tarzan accovacciato sul ramo più basso attendeva il momento di intervenire.

Kala con un salto si afferrò al ramo sa cui stava Tarzan. Oramai era in salvo, quando si udì uno scricchiolio: il ramo si spezzò e la femmina cadde sulla testa dello scimmione e tutte e due rotolarono per terra.

Si rialzarono prontamente, ma Tarzan era già in piedi, dimodoché il grosso maschio infuriato si trovò dinanzi il bianco fanciullo. Non poteva più sfuggirgli il piccolo Greystoke, i suoi occhi mandavano lampi di odio feroce e con un ruggito di trionfo si scagliò sull’odiato ragazzo. Ma le sue zanne non riuscirono neanche a sfiorare le morbide carni dell’avversario, perché Tarzan con una rapidità prodigiosa gli piantava nel petto villoso dieci o dodici volte l’acuminato coltello.

Poi si ritrasse quando sentì che il nemico cadeva irrigidito dalla morte. Tarzan delle scimmie, in segno di trionfo, posò il piede sul poderoso collo del nemico vinto, rialzò il capo fissando gli occhi nella luna e mandò un poderoso urlo selvaggio l’urlo della tribù di Kerciak. Ad uno ad uno discesero dai rami gli scimmioni e circondarono Tarzan e Tublat già cadavere.

Quando tutta la tribù fu riunita, Tarzan gridò:

— Io sono Tarzan il grande guerriero. Tutti dovranno rispettare Tarzan delle scimmie e Kala sua madre. Nessuno di voi mi supera in potenza, quindi tutti i miei nemici sono avvisati e stiano bene in guardia.

Fissò lungamente lo sguardo negli occhi venati di sangue e maligni di Kerciak, poi il giovane lord Greystoke col pugno chiuso si batté il petto ed emise nuovamente il suo potente urlo di sfida.

TITOLO: La giovinezza di Tarzan tra le scimmie
AUTORE: Burroughs, Edgar Rice
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE:
CODICE ISBN E-BOOK: n. d.
DIRITTI D’AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

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(Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.