La giungla di Tarzan compare nel libro di Edgar Rice Burroughs solo al secondo capitolo, che è quello che riportiamo qui oggi. Abbiamo iniziato questa presentazione originale offerta da Liber Liber, con il primo capitolo: La giovinezza di Tarzan, uscito il 20 Gennaio 2022. Nel tempo, continueremo a presentare questi grandi classici dell’avventura fantastica: sia Tarzan, che L’isola del Dottor Moreau, di cui abbiamo più recentemente (solo la scorsa settimana) iniziato la pubblicazione.

Capitolo II.

Non ebbero molto da attendere. Il mattino seguente, mentre Clayton saliva sopra coperta per la quotidiana passeggiata prima di recarsi a colazione, sentì il cupo rimbombo di un colpo di rivoltella, a cui tenne dietro un secondo e un terzo. La scena che scorsero i suoi occhi confermò le sue previsioni. Minaccioso innanzi agli ufficiali raggruppati era schierato tutto l’equipaggio del «Fuwalda» capeggiato da Michele il moro.

Alle prime rivoltellate degli ufficiali, i marinai si rifugiarono dietro all’alberatura, al gabbiotto del timone e alla cabina di coperta, e così protetti da quei ripari aprirono il fuoco contro i cinque ufficiali che a bordo rappresentavano l’odiata autorità.

Due ribelli giacevano immoti nel breve spazio tra i due gruppi contendenti.

Era da poco incominciata la battaglia, quando il primo ufficiale cadde ferito lanciando un grido: il moro urlò un ordine e quella canaglia sanguinaria balzò sugli ufficiali. I ribelli erano riusciti a impossessarsi di sei rivoltelle, per cui erano quasi tutti armati di ganci, picozze, asce e spranghe di ferro.

Il comandante stava ricaricando la sua rivoltella, mentre il secondo ufficiale si era chinato a raccogliere il fucile che gli era sfuggito di mano, così due sole armi spararono sui ribelli, i quali asserragliarono il piccolo gruppo che cercava di indietreggiare. Si udivano urla e bestemmie orribili che, coi colpi, colle grida, coi rantoli dei feriti, facevano un baccano d’inferno.

Non erano ancor retrocessi di una diecina di passi che la ciurma era sopra gli ufficiali. Un colpo d’ascia destramente inferto da un gigantesco negro aperse la testa del capitano dalla fronte al mento; dopo brevi istanti neppure un ufficiale rimaneva in piedi. Mentre si svolgeva questa rapida e tragica scena, Giovanni Clayton non si era mosso dal suo posto e fumando la pipa osservava la scena pensoso e triste come se assistesse al giuoco del cricket. Quando vide cadere l’ultimo ufficiale ritornò verso la cabina per evitare che qualche marinaio vi trovasse la moglie sola.

Clayton era agitato malgrado la sua calma apparente, temeva per la sicurezza di sua moglie. Quei bruti ignoranti erano capaci di ogni cosa e malediceva il destino crudele che li aveva fatti capitare in mezzo a loro. Stava per scendere la scaletta quando scorse la giovane sposa ritta quasi al suo fianco.

— Sei qui da tanto tempo, Alice?

— Dall’inizio della lotta. Che cosa orribile Giovanni! Cosa possiamo sperare da questa gente?

Affettando indifferenza per incoraggiare la moglie il Lord le disse:

— Speriamo che ci faccian preparare la colazione, andiamo a chiederglielo Alice, bisogna dimostrar loro indifferenza e amicizia.

L’equipaggio buttava a mare gli ufficiali senza preoccuparsi se fossero morti o semplicemente feriti. Anche i loro compagni caduti subirono la stessa sorte.

Un marinaio quando scorse i due passeggeri che si avvicinavano, con un’ascia alzata si lanciò su loro gridando – Eccone altri due per i pesci!

Michele il moro con un colpo di rivoltella nella schiena atterrava il furfante. Poi chiamato l’equipaggio, indicando lord e lady Greystoke gridò:

— Questi signori sono miei amici, e non si deve torcere loro neppure un capello! Avete inteso? – Poi rivolgendosi a Clayton: – Ora il comandante sono io, i miei ordini sono leggi, state tranquilli, nessuno vi toccherà!

I Clayton non fecero che seguire le istruzioni del nuovo comandante e nei giorni seguenti non videro nessuno né poterono aver notizie sulle intenzioni dell’equipaggio. Udivano soltanto di tratto in tratto delle urla: erano i marinai che litigavano fra di loro. Due colpi d’arma da fuoco fecero sussultare i due passeggeri. Ma Michele il moro era il comandante adatto per quei delinquenti e sapeva dominarli.

Erano ormai trascorsi cinque giorni dalla ribellione, quando la vedetta avvistò in lontananza la terra. Michele il moro non poteva sapere se fosse un’isola o un continente e comunicò a Clayton che, se quella fosse appena in grado di essere abitata, egli e sua moglie sarebbero stati sbarcati coi loro bagagli.

— Starete comodamente per qualche mese, – spiegò il comandante – così noi potremo disperderci su qualche costa abitata.

Clayton rimase interdetto, ma il moro proseguì

— Cercherò ogni mezzo per avvertire il vostro governo del luogo dove siete, dimodoché potete star certi che un giorno o l’altro una nave da guerra verrà a riprendervi. Potete avere tutte le ragioni per protestare, ma per noi è un grave impiccio sbarcarvi in un paese civile. Dovremmo render conto alla giustizia dei nostri misfatti.

Clayton tentò appena di persuadere il capitano che non era né corretto né umano abbandonarli su di una terra sconosciuta, in balìa dei selvaggi e delle belve feroci. Ma furono parole vane. Clayton non volle insistere a lungo perché non avrebbe ottenuto altro che di far arrabbiare Michele il moro.

Alle tre del pomeriggio la nave era di fronte a una costa ricoperta di lussureggianti foreste dinnanzi a un canale naturale che sembrava l’ingresso di un piccolo golfo. Prima che il sole calasse il brigantino aveva gettato l’ancora nell’interno di uno specchio d’acqua al riparo dalle tempeste, fra le rive letteralmente coperte da una fitta vegetazione. In lontananza si ergevano colline e montagne ugualmente ricoperte di foreste. Nessun indizio di abitazioni umane; ma vi erano uccelli e altri animali che potevano fornire un abbondante nutrimento. Anche l’acqua potabile non era scarsa ed era fornita da un piccolo fiume che sfociava nella baia.

Mentre scendeva la sera, Clayton e lady Alice appoggiati alle murate del brigantino osservavano silenziosi e mesti quella terra che li avrebbe ospitati. Dalle ombre nere della misteriosa foresta si levavano minacciosi gli urli delle belve.

La giovane donna si stringeva al marito terrificata al solo pensiero degli orrori a cui andavano incontro nella loro nuova vita e alle dolorose notti di solitudine in quella selvaggia terra sconosciuta. Più tardi il moro li chiamò per comunicare loro che il mattino seguente li avrebbe sbarcati. Cercarono ogni mezzo per persuaderlo a condurli su una costa più conosciuta e meno lontana dai paesi civili, ma non valsero a smuoverlo né ragionamenti né minacce né promesse di ricompense.

— Sono io l’unico a bordo che non ha alcun desiderio che rimaniate perché non posso garantire la vostra vita. Michele il Moro non è uomo che dimentica un beneficio ricevuto, voi una volta mi avete salvata la vita ed ora io salvo la vostra. Non posso far altro, vi sbarcherò con tutti i vostri bagagli, con qualche vecchia vela per costruirvi delle tende, delle armi e viveri per parecchi giorni. Il mio equipaggio non mi permetterebbe di fare di più e, se non vi sbarco più che in fretta, potrebbe anche rendere impossibile il mio disegno. Coi fucili che vi darò potrete tirare innanzi uccidendo della selvaggina, finché il vostro governo, informato approssimativamente del luogo deve vi trovate, perché il punto esatto non riesco a precisarlo, manderà a riprendervi; certamente vi ritroveranno.

I due passeggeri discesero sottocoperta senza ribattere, meditabondi e tristi.

Clayton sapeva benissimo che il Moro non si sarebbe mai incaricato di avvertire il governo inglese e non poteva neanche essere certo di quello che sarebbe successo l’indomani. I marinai stessi che li avrebbero condotti a terra, una volta che non erano più sotto il controllo di Michele potevano accopparli. Sfuggito questo pericolo come potevano cavarsela dai peggiori? Se Clayton fosse stato solo non avrebbe avuto alcuna preoccupazione per se stesso perché era forte e robusto, ma la giovane moglie e il piccolo essere che sarebbe venuto tra poco alla luce come se la sarebbero cavata fra i disagi di quella vita primordiale?

La situazione non era certamente favorevole a loro. Al solo pensiero Clayton rabbrividì. Egli prevedeva l’orribile sorte che li attendeva nella misteriosa foresta.

Il mattino seguente per tempo furono tratti dalla stiva i loro bagagli e caricati sulle lance. Poiché gli sposi inglesi prevedevano una lunga permanenza, avevano portato con loro molta roba di ogni genere e anche di lusso. Michele il Moro non volle trattenere nulla per sé, e non possiamo dedurre se lo avesse fatto per pietà o per calcolo. La sola presenza a bordo di qualche oggetto di un funzionario britannico scomparso sarebbe stato molto compromettente per l’equipaggio e in ogni modo non potevano giustificare all’autorità la loro provenienza. Il Moro fece restituire anche le due rivoltelle. Aggiunse inoltre carne salata, biscotto e un po’ di patate e fagiuoli, fiammiferi, oggetti di cucina e altre cianfrusaglie. Accompagnò lui stesso i due passeggeri a terra e, dopo aver riempiti i barili di acqua dolce, fu l’ultimo a risalire sull’imbarcazione.

Clayton e sua moglie seguirono con lo sguardo, in silenzio, le lance che si allontanavano lentamente sullo specchio d’acqua immoto. Sul loro cuore gravava un presentimento di sventura.

Su una piccola altura altri due occhi guardavano fissamente scintillando maligni sotto una bassa fronte dall’orbita sporgente ricoperta di fittissimi peli. Il «Fuwalda» imboccata la piccola stretta della baia scomparve dietro un promontorio.

Presa da un impeto di disperazione lady Greystoke cinse con le braccia la testa del marito e proruppe in singhiozzi. Ella aveva saputo affrontare la rivolta a bordo. Si era arrischiata in quella terribile avventura ed ora si trovavano in quella solitudine desolata: improvvisamente i nervi subirono come un collasso.

Passarono alcuni minuti prima che la povera piccola donna ritrovasse la forza di dominarsi e Clayton la lasciò sfogare.

— Che cosa orribile Giovanni! – esclamò alfine dopo un lungo sospiro. – Che cosa faremo? Cosa possiamo fare?

Clayton perfettamente calmo come se fosse affondato nella comoda poltrona di un salotto della loro casa rispose:

— Non c’è da fare che una cosa sola, mettersi al lavoro. Col lavoro occuperemo il nostro tempo evitando di pensare, altrimenti è il caso d’impazzire. Indubbiamente un giorno o l’altro qualcuno ci salverà. Lavoriamo quindi e attendiamo con fiducia e anche se Michele il moro non mantiene la parola, quando si crederà il «Fuwalda» naufragato verranno certamente in nostro soccorso.

— Ah Giovanni! se fossimo noi due soli potremmo resistere, ma tu comprendi bene, tu conosci il mio stato!

Lord Clayton rispose con dolcezza:

— Si, cara, ho già pensato anche a questo e attendiamo con la massima fiducia. In ogni evento ce la sapremo cavare come i nostri progenitori migliaia di secoli fa seppero affrontare e uscire vittoriosi da ogni avversità, da ogni pericolo. Possiamo benissimo seguire le loro orme. Quello che essi compirono con armi di pietra e strumenti d’osso, potremo farlo anche noi con la nostra esperienza di secoli.

— Oh Giovanni, vorrei poter ragionare come te, con tanto buon senso. Io non sono che una povera donna, e non posso ragionare che col cuore. Voglio sperare che il tempo favorisca le tue previsioni, io cercherò di esserti sempre vicina come una brava moglie dell’età della pietra, la compagna ideale per l’uomo paleolitico….

Clayton si diede d’attorno per preparare un primitivo ricovero per la notte, che li proteggesse dalle fiere. Prese dai bauli i fucili e le munizioni per una eventuale difesa e si misero alla ricerca di un ricovero. Poco lontano dalla spiaggia, in una piccola spianata, stabilirono di costruire dopo pochi giorni una capanna, ma per le necessità attuali decisero di costruire su degli alti alberi una specie di piattaforma per impedire di essere assaliti dalle fiere. Clayton scoperse quattro alberi che racchiudevano un quadrato che misurava circa otto metri di lato; con un’accetta tagliò i rami più bassi e intrecciandoli fece una specie di grossa stuoia che appese ai quattro tronchi a circa dieci piedi d’altezza dal suolo. Ricoprì di rami e di foglie quella primitiva stuoia e vi distese sopra delle foglie larghissime dette «orecchie d’elefante» che abbondavano nei dintorni; con una tela ripiegata ricoperse le foglie e i rami.

Più in alto costruì un’altra piattaforma che avrebbe servito per ripararli dalla pioggia appendendo ai lati delle vele in modo da richiudere sommariamente quella casa aerea.

Clayton portò nel suo rifugio le coperte e i bagagli meno ingombranti e le ultime ore del giorno le impiegò a costruire una scala a piuoli per permettere ad Alice di raggiungere facilmente la nuova dimora.

Malgrado che i due inglesi avessero attentamente scrutato dintorno, mentre lavoravano, non erano mai riusciti a scoprire dei grossi animali, tranne qualche bertuccia che, alla loro vista, si era data a precipitosa fuga strillando e brontolando e volgendosi a guardare ogni tanto verso la collina sovrastante dove si nascondeva il pericolo che la terrorizzava. Alla sera dopo aver riempito un catino di acqua salirono a ricoverarsi nella loro nuova dimora.

— Guarda Giovanni, cosa c’è sul margine della spianata? Un uomo?…

Clayton osservò attentamente seguendo la direzione indicatale e scorse la vaga forma di un grosso uomo che si rizzava sulla collina e che quasi subito disparve nelle tenebre della jungla.

— Hai visto Giovanni?

— Sì, ma non so cosa sia, Alice; da lontano nell’oscurità non si può distinguere e può darsi che non sia altro che un’ombra causata dalla luna che sta sorgendo.

— No, Giovanni, se quell’ombra non era un uomo, era certamente un’alterazione dei lineamenti umani… Ho paura Giovanni…

Clayton la strinse affettuosamente fra le sue braccia sussurrandole dolci parole d’incoraggiamento. Egli temeva per lei, sebbene non si lasciasse intimorire da nessun pericolo, tuttavia sapeva comprendere la paura degli altri.

Per impedire che la terrificante visione comparisse ancora, abbassò la tenda e la legò strettamente ai tronchi, tranne che una piccola apertura da cui poteva scorgere la spiaggia. Si sdraiarono nel letto con accanto un fucile e alcune rivoltelle.

Avevano appena chiusi gli occhi, quando il silenzio fu lacerato dall’urlo di una pantera. La belva si avvicinò lentamente alla loro dimora e quando fu proprio sotto di loro si mise a graffiare rabbiosamente i tronchi degli alberi che sostenevano la piattaforma, e dopo circa un’ora, si allontanò verso la spiaggia.

Clayton la individuò nettamente nella chiarità lunare: era un grosso animale e di bellissimo aspetto, certamente il più grosso che fino allora aveva visto.

Nelle interminabili ore di una notte che non finiva mai, il loro sonno era spesso interrotto dai rumori della grande jungla, in cui innumeri vite che si agitavano non lasciavano i loro nervi distendersi in un benefico riposo. Molte volte furono svegliati da urla acute o da caute mosse di qualche grossa belva che si aggirava sotto al loro rifugio.

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(Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.