Davide Del Popolo Riolo, avvocato, più di cinquanta, meno di sessant’anni, tra gli autori italiani che scrivono fantascienza è uno con la mano tra le più felici.

Il romanzo con cui ha vinto il Premio Urania, Per le ceneri dei Padri, viaggia però sempre sulle note di un pessimismo non tanto di Davide, quanto tipico della fantascienza italiana, che così è stata fin dai suoi primissimi autori.

Devo dire che noi italiani non ci siamo mai ispirati a Jules Verne e H. G. Wells, ma piuttosto a George Orwell.

Nel romanzo di Davide troviamo una giovane donna dall’improbabile nome di Sussurro di Giada, che vive su un pianeta artificiale in cui non esiste delinquenza, né violenza. E già questo è molto fantascientifico, perché non si capisce bene come tutto ciò possa essere.

Comunque, le viene comunicato che padre e fratello sono stati uccisi sul pianeta di origine della donna, là conosciuta come Olympias Antigones. Il pianeta è un mondo del tutto diverso, (Abisso) in cui violenza e ricatto, assassinio e guerra sono invece valori del tutto positivi e la l’uccisione dei due parenti è un normale, valido motivo di conquista economica da parte del loro più acerrimo rivale, che non sarà affatto perseguito dalla legge, perché è nel suo diritto comportarsi a quel modo.

Questa semplice (e un po’ assurda) premessa dà il via a un romanzo in un certo senso molto triste, ma ricchissimo di avvenimenti spettacolari, rincorse, fughe, battaglie e, insomma, decisamente molto vivace.

Manca un po’, come spesso succede agli scrittori italiani, una bella descrizione degli ambienti durante le varie peripezie. Davide, immagino che tu non sia della stessa idea su questo argomento:

Non so come sia per gli altri ma per me la risposta è molto semplice: da lettore non sopporto le parti descrittive, tendo a saltarle perché mi annoiano. Quando scrivo, quindi, le accorcio più che posso.

No, aspetta… questo è interessante. Capisco che non tutti possano essere Jack Vance, ma in Italia abbiamo potuto contare su autori come Emilio Salgari, re delle descrizioni e dei paesaggi. In fantascienza, gli autori che hanno evocato grandi paesaggi sono quelli dai cui romanzi hanno ricavato dei film. Spiegami meglio, ti prego.

Quello che mi interessa davvero delle storie, sia quando le leggo che quando le scrivo, sono i loro protagonisti. Aspiro a che escano dalle pagine, siano tridimensionali, lascino l’impressione di persone che potremmo anche conoscere (poi che riesca a soddisfare questa aspirazione è un altro discorso, naturalmente). In quest’ottica, descrivere i luoghi in cui si muovono mi interessa poco, mi limito a quel minimo che consente ai lettori di farsi un’idea.

Ok, ovviamente. Ma in questa storia (per fortuna) c’è moltissima azione, anche se abbonda il classico pessimismo dell’Autore italiano di fantascienza. Tale atteggiamento, in modo moderno, viene definito distopico. Sarebbe a dire il contrario di utopico.

Davide come stanno veramente le cose, ti piace sviluppare storie usando questo pessimismo distopico, o piuttosto quando scrivi non senti di poter sottolineare altro in questi tempi certamente bui?

In realtà credo che Per le ceneri dei padri sia davvero il mio romanzo più pessimista (tendo a evitare l’aggettivo distopico che ormai si applica a qualsiasi storia in cui il protagonista ha dei problemi o vive in un ambiente che gli è nemico). I miei romanzi precedenti, obiettivamente, dopo mille peripezie nella conclusione si aprivano molto più alla speranza. Tra i miei racconti poi spesso emerge una vena un po’ grottesca se non addirittura umoristica. Anch’io mi sono chiesto il motivo di questa scelta, di questo umore negativo che mi ha preso. Mi rispondo che probabilmente l’ho scritto in un momento in cui il mondo mi sembrava particolarmente cupo (e non è che ci voglia molta fantasia, a vederlo cupo…).

Come è successo a Bob Dylan quando ha scritto It’s a hard rain… Ha detto che aveva paura che il mondo sarebbe finito in breve tempo e ha voluto mettere tutto quello che in quel momento aveva in mente, in una sola canzone…

Eh, può essere. Ma se la domanda poi è se sono programmaticamente pessimista rispondo di no, anzi, preferisco di sicuro i finali positivi e credo li preferiscano anche i lettori. Qui però un finale positivo non ci stava proprio, secondo me.

Il buon Franco Forte, in una manifestazione dove ha parlato del tuo romanzo, ha detto di essere rimasto colpito dall’originalità dell’idea. Ma evidentemente Franco non deve aver mai visto nessun film western! Non ha mai sentito parlare de La legge del Signore, per esempio… Ma nemmeno di Mezzogiorno di fuoco.

A dire il vero anch’io sono poco appassionato di western! Quanto all’originalità dell’idea, credo che il giudizio se lo sia o no spetti ai lettori, non a me. Posto, comunque, che oggi inventare una trama del tutto diversa da qualsiasi altra che sia stata scritta o filmata negli ultimi secoli, che non abbia punti di contatto con altre storie, è secondo me praticamente impossibile.

Certo che sì, non hai copiato nulla! Per carità. Volevo solo sottolineare che l’argomento ha molto in comune con cose tipo Per un pugno di dollari, ma anche l’Abate Faria potrebbe entrare in gioco qui. E mi fermo per non fare spoiler…

Certo, il personaggio perbene e pacifico costretto dagli eventi a usare la violenza per difendere la propria famiglia lo abbiamo visto e letto molte volte. Olympias però fa qualcosa di più e di diverso, mi pare (e non dico di più per non rovinare la sorpresa a chi non l’avesse ancora letto).

Ok, vediamo di stare nei canoni.

Il tuo modo di scrivere ha un andamento che mi è sembrato tipico in tutti i tuoi lavori: una serie di episodi (soprattutto all’inizio) apparentemente indipendenti, che però poi confluiscono in una storia molto organica. Lo stesso mi pare di aver visto nell’altro tuo Premio Urania, Il pugno dell’Uomo. Ti ispiri a qualcuno per questa tecnica del raccontare?

Sinceramente non saprei dire se ho “rubato” questo modo di raccontare a qualcuno. Uso questa tecnica perché mi pare quella più naturale per il tipo di storie che ho in mente. Temo di non essere molto preparato sulle questioni di tecnica narrativa, non ho una preparazione in questo campo, quel poco di tecnica che conosco l’ho imparata leggendo e provando a scrivere, più che studiando manuali.

Anche qui, non volevo parlare di copiare qualcuno! Intendevo piuttosto se esistono altri autori che utilizzano questa tecnica. A te che autori piacciono, insomma? Qualche nome?

Lasciando perdere i mostri sacri degli Anni ’40-’50-’60 con cui sono cresciuto e limitandomi alla fantascienza cito per primi Simmons del ciclo di Hyperion e Lois Bujold di quello dei Vor. Tra i contemporanei: Mieville, Gaiman, Reynolds, Nancy Kress, Ted Chiang, per esempio. Per quanto riguarda i fantascientisti italiani ho una predilezione per Alessandro Vietti e Clelia Farris (e per Tullio Avoledo, fantascientista in incognito).

Senza (sperabilmente) fare sello spoiler, vorrei inserire qui una mia curiosità. In questo tuo stile (come dire?) un po’ a puntate, come si diceva nella precedente domanda, tu parti con un raccontare in seconda persona, poi quasi tutto è in terza persona, ci sono capitoli in prima persona e quasi solo in questi ultimi ci sono dei più o meno lunghi finali scritti in carattere corsivo. Non mi è chiarissimo il senso di queste quattro varianti. Quelli in terza persona sono la storia della protagonista. Quelli in prima persona sono ciò che capita a chi cerca la protagonista. Che significano quelli in seconda persona e il corsivo?

Mi piace cambiare tra prima, seconda (amo molto scrivere in seconda persona, anche se so che è pericolosissimo!) e terza persona per vivacizzare il racconto. Quanto alla questione specifica: chi non ha letto il romanzo e non ama gli spoiler può evitare di leggere la risposta di qui in poi, se ritiene. Nelle parti in seconda persona e in corsivo a parlare è l’AED di Olympias, il suo Alter Ego Digitale, che si rivolge a lei. A volte è soltanto una specie di mormorio in sottofondo in cui sembra rimuginare su ciò che lei sta facendo e a volte la interpella direttamente.

Grazie Davide e augurissimi per il successo del tuo libro.

Ma veniamo ad alcune note dolenti!

Molto spesso sono stato piuttosto critico con le scelte di Urania e il suo Premio, ma il romanzo di Davide è certamente vivace e divertente.

Ciò che non è per niente divertente è la scelta dei tre racconti vincitori del Premio Urania Short che concludono il numero 1719 di Urania.

La parete bianca di Giuliano Cannoletta è il migliore, secondo il mio giudizio, ma l’argomento non è nuovo e soprattutto non desta alcun tipo di sorpresa nel lettore, che già dall’inizio capisce benissimo come andrà a finire. Tuttavia, è bella l’idea di questa strana ditta e di quel che fa. Raccontata con una curiosità ben distribuita.

Testimone vivente di Lorenzo Davia è stupefacentemente la medesima storia di Cannoletta, quasi senza differenze. Stesso finale, anche se la scrittura è decisamente meno efficace, più secca, arrabbiata come si usa oggi in fantascienza italiana e in definitiva meno piacevole.

La cavalcata di una Valchiria di Paola Viezzi è un racconto molto femminile. Come se fosse nelle vesti della protagonista agli ultimi giorni di gestazione, l’autrice ci fa sapere per diverse pagine che in un prossimo futuro non ci saranno più nascite naturali, come quella che invece vorrebbe avere la protagonista. La scena del suo parto occupa un posto di rilievo nel racconto ed è, in definitiva, la parte significativa, ma il finale a sorpresa è più o meno uguale a quello di Cannoletta e Davia!

Qui mi domando davvero chi decida i vincitori di questa sezione.

Per quanto riguarda i tre finali a sorpresa, ricordo che io stesso, molto giovane al tempo, avevo proposto a Vittorio Curtoni un racconto per Robot con questo tipo di finale che, allora (cinquant’anni fa), mi era parso molto originale.

Rimasi di ghiaccio a sentire il suo giudizio divertito, ma molto negativo, “Uno che tira fuori un’idea così scontata per il finale non merita di essere chiamato scrittore di fantascienza.”

Eppure, a cinquant’anni di distanza, siamo ancora a dare premi a queste idee che, almeno secondo Vittorio, sarebbero vecchie e stantie.

E non a uno, ma a tre autori!

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.

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Nato ad Asti nel 1968, si è laureato in giurisprudenza all’Università di Torino nel 1992. Avvocato, vive e lavora a Cuneo. Come scrittore ha esordito nel 2014 con De Bello Alieno, vincitore del premio Odissea e del premio Vegetti. Più volte finalista al Premio Italia.