Il libro è un racconto che Ezio Amadini ci concede di pubblicare e devo confessare che ultimamente non ho trovato molti racconti al livello di questo: leggendo i vincitori di concorsi, mi chiedo perché Ezio non sia sempre nelle classifiche, vista la sua abilità di scrittura e le sue idee davvero innovative. Questo racconto si è classificato secondo al Premio Viviani 2018 ed é stato pubblicato su LostTales Andromeda. CI dice Enzo: “Per questo racconto mi sono ispirato a un editore esistente…” Peccato che non ci dica chi?!

 

James Sullivan era un editore. La sua casa editrice, la You-and-your-books, pur non essendo molto grande, rappresentava un importante punto di riferimento per la letteratura di genere fantastico, non solo all’interno della California, dove risiedeva e operava, ma in tutto il continente nord-americano.

La passione di Sullivan per la narrativa era nata più o meno insieme a lui 52 anni prima e si era consolidata nel tempo con autori come Ray Bradbury, Philip K. Dick, Clifford D. Simak, Alfred Elton van Vogt e, naturalmente, la tanto amata Ursula K. Le Guin.

Molti lo consideravano più interessato a orientare la letteratura verso determinati stili e contenuti, piuttosto che a vendere copie, il che lo rendeva un editore molto sui generis e senza dubbio un costruttore di tendenza, o influencer, come si usava dire nel mondo del WEB.

James conosceva bene le critiche che gli venivano mosse più o meno velatamente, ma, perfettamente soddisfatto del proprio lavoro, se ne infischiava allegramente.

Procedendo dritto per la propria strada si permetteva a volte atteggiamenti arroganti, soprattutto nel mondo dei Social Network che, un po’ per lavoro e molto per divertimento, frequentava assiduamente e all’interno dei quali si era formato un folto gruppo di sostenitori, molti dei quali più interessati al suo ruolo di editore che al suo pensiero.

James Sullivan era considerato un uomo intelligente, ma non molto simpatico, seppure il senso dell’umorismo non gli mancasse: il problema della sua scarsa empatia era probabilmente dovuto al fatto che quasi sempre i suoi commenti sconfinavano nel sarcasmo, che tutti sanno essere il lato oscuro dell’ironia.

La sua produzione, distribuita quasi esclusivamente in forma digitale, offriva una panoramica vasta e completa della letteratura di fantascienza e fantasy, con ampio spazio dedicato agli autori esordienti, che spesso selezionava personalmente.

Era soprattutto grazie a lui se il mondo della letteratura di genere fantastico veniva costantemente rivitalizzato, con l’organizzazione di importanti premi letterari e di grandi eventi culturali e commerciali, la cui risonanza si faceva sentire a livello nazionale.

Quella sera, sebbene fosse piuttosto tardi, James era ancora in ufficio, indeciso se controllare le ultime statistiche sulle vendite o tornare a casa.

Proprio quando stava per alzarsi, avendo optato per la casa, sentì bussare.

Molto sorpreso alzò istintivamente lo sguardo verso la porta che, essendo di vetro smerigliato, lasciava intravvedere una sagoma umana in attesa di risposta.

Ma chi è a quest’ora? Pensò, con una punta di preoccupazione. Sapeva di essere rimasto solo da più di un’ora e proprio non capiva chi potesse essere l’individuo in attesa davanti alla porta del suo ufficio: quella sagoma non gli ricordava nessuno dei suoi collaboratori.

«Avanti, prego» disse dopo quasi mezzo minuto, con la voce resa appena incerta dall’inquietudine che lo aveva pervaso.

L’uomo entrò subito, senza ulteriori indugi.

Era molto alto e altrettanto magro, con la testa decisamente sproporzionata e priva di qualsiasi peluria. Vestiva un abito scuro, un po’ trasandato e l’andatura incerta e ondeggiante svelò a James che il suo ospite aveva delle protesi al posto delle gambe.

«Buonasera dottor Sullivan. Mi chiamo John Smith, mi perdoni per l’orario, ma ho visto che la luce del suo ufficio era accesa e allora. . .»

«Buona sera, signor Smith, si accomodi e lasci pure da parte il titolo» rispose gentilmente l’editore, sporgendosi sulla scrivania, senza alzarsi, quel tanto che bastava per una rapida stretta di mano. «Mi perdoni se glielo chiedo, ma come ha fatto a entrare? Tutti i miei collaboratori sono già andati via e non ho sentito suonare il citofono». Il tono di Sullivan era decisamente circospetto, per non dire sospettoso.

John sorrise prima di rispondere, mostrando una fila di denti piuttosto scuri, tra i quali spiccavano i canini particolarmente aguzzi e pronunciati.

«Il portone era socchiuso, dottor Sullivan: appena ho appoggiato la mano sulla maniglia si è aperto, così sono entrato. Spero di non averla spaventata con la mia intrusione».

«Sono un editore, signor Smith: ci vuole ben altro per spaventarmi» scherzò un po’ a fatica James, che poi sfoderò il suo sorriso migliore, cercando di convincersi che lo sconosciuto non rappresentasse una minaccia. «Beh, adesso è qui. Cosa posso fare per lei?»

Lo strano individuo, al quale James proprio non riusciva ad attribuire un’età, estrasse una voluminosa busta da sotto il logoro cappotto e l’appoggiò sul tavolo con fare solenne.

«Le ho portato ciò che attende da sempre, dottore: il libro che farà la differenza e la renderà l’editore più ricco e invidiato di sempre».

Lo sconosciuto aveva parlato senza alcuna particolare inflessione nella voce: non come l’entusiasta venditore che offre una merce miracolosa, ma piuttosto come chi racconta, con semplicità, una verità nota e scontata.

Basito, Sullivan restò zitto per alcuni secondi, indeciso se scoppiare a ridere o semplicemente cacciarlo via. Tuttavia qualcosa lo incuriosiva in quella grottesca e assurda situazione, per cui sorrise e decise di stare al gioco, almeno per un po’.

«Accidenti, signor Smith! Meno male che mi sono attardato in ufficio. E di che libro si tratta? Per caso lo ha scritto lei?»

John ignorò l’evidente sarcasmo del suo interlocutore, limitandosi a estrarre dalla busta un voluminoso manoscritto.

«Sì, dottore, l’ho scritto io. Non ho ancora deciso il titolo, ma lo farò presto. Prego, legga pure l’inizio, io non ho alcuna fretta».

Sempre più sorpreso James guardò il plico che lo sconosciuto stava spingendo verso di lui e che valutò fosse composto da almeno 400 fogli.

«Okay, è stato divertente, ma adesso basta, signor Smith. Le cose non funzionano così. Se vuole proporci un manoscritto lo deve fare usando i nostri canali istituzionali. È molto semplice: si collega al nostro sito, clicca su “contatti” e, seguendo le istruzioni, sottomette la sua opera in formato digitale, perché noi non accettiamo il cartaceo. Le garantisco che entro sei mesi sarà visionata da qualcuno del mio staff. Meglio se aggiunge anche una breve sinossi e la sua biografia. Okay? Ora, se permette. . .»

Per nulla impressionato dalla brusca risposta, John Smith spinse il malloppo fin sotto gli occhi dell’esterrefatto editore.

«Le fornirò il formato digitale solo quando dovrà avviare la pubblicazione. La prego, legga l’incipit. Le ci vorrà solo qualche minuto. Ormai siamo qui. . .»

James era completamente frastornato da quell’uomo che dimostrava un’arroganza senza precedenti, seppure nascosta da una impeccabile gentilezza.  Avrebbe voluto buttarlo fuori a calci, ma la violenza non era mai stata nelle sue corde e poi quell’uomo era un disabile. Questo pensiero accese in lui un breve momento di compassione.

Poveretto, pensò con una certa amarezza, magari quest’opera è tutto ciò che gli resta, tutto ciò che gli dà la forza per andare avanti. Cinque minuti glieli posso dedicare, tutto sommato.

Con questi pensieri Sullivan iniziò a leggere la prima pagina dell’ingombrante quanto inatteso manoscritto.

Lesse per cinque minuti, che poi diventarono dieci e dopo ancora quindici, fino a quando fu interrotto dalla suoneria del suo cellulare.

A fatica distolse lo sguardo e, quando vide che a chiamarlo era Maggy, rispose subito.

«Sì amore, hai ragione, è molto tardi. Ho avuto un piccolo imprevisto, ma ora chiudo tutto e vengo subito a casa».

Per tutto quel tempo John Smith era rimasto a osservarlo, con uno sguardo indecifrabile: non esprimeva trepidazione o ansia e nemmeno curiosità. Lo guardava e basta.

«Come avrà certamente capito ora devo andare, signor Smith» spiegò Sullivan, mentre rimetteva a posto le pagine del manoscritto e si alzava. «Così a occhio e croce mi sembra abbastanza avvincente come inizio, anche se devo dire che non è il genere di storia che mi entusiasma e che lo stile narrativo è decisamente lontano dai nostri canoni».

«Lo legga tutto, dottor Sullivan. Poi mi saprà dire» rispose pacato John Smith, alzandosi anche lui. «La ringrazio per la sua cortesia e per la sua disponibilità. Ora vado».

«Nel caso volessi contattarla? Qui non vedo alcun recapito e. . .»

«La contatterò io, dottor Sullivan. Buona serata».

Così dicendo lo sconosciuto se ne andò, lasciando l’editore ancor più sconcertato di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.

Arrivato alla porta del suo ufficio Sullivan si fermò, tornò indietro, prese il manoscritto, lo ficcò in una borsa e poi, accompagnato da un’inquietudine che non sapeva spiegare, si avviò verso casa, desideroso di stare un po’ con la sua famiglia.

2.

Ralph era un adolescente affetto dalla Sindrome di Asperger, comunemente nota come autismo ad alto funzionamento. Le sue capacità intellettive e cognitive erano sostanzialmente normali, ma la sua interazione sociale era notevolmente limitata, pur senza aver raggiunto il livello di una vera e propria fobia.

Semi sdraiato sul divano, teneva il capo appoggiato sulle gambe del padre, mentre con le mani reggeva il fumetto che stava avidamente leggendo.

In casa Sullivan non si faceva molto uso della televisione, se non per seguire i notiziari e poche selezionate serie TV. Molto spesso si leggeva, come in quel particolare momento.

James stava letteralmente divorando il manoscritto del misterioso autore che lo aveva trattenuto in ufficio, mentre Maggy si era tuffata nelle “Memorie di Adriano”, opera somma della Yourcenar che stava lentamente gustando in lingua originale, centellinandola da oltre un mese con il costante timore che potesse finire da un momento all’altro.

«Cosa leggi, papà, cosa leggi?» chiese Ralph di punto in bianco, dopo che aveva finito di guardare il fumetto.

Preso dalla lettura James non rispose, dando segno di non averlo nemmeno sentito.

«Papà, papà, papà, cosa leggi? Cosa leggi?» riprese a voce più alta il ragazzo, deciso a ottenere l’attenzione del genitore.

«James!» lo rimproverò la moglie, «rispondi a Ralph, non senti che ti sta parlando?»

L’editore si scosse, come svegliato di soprassalto, scusandosi con Maggy prima di rivolgersi al figlio.

«Sto leggendo un romanzo inedito che mi hanno portato in ufficio questa sera, Ralph caro»

«Com’è? È bello? Di che parla? Lo voglio leggere anch’io!»

«È avvincente, anche se lo stile narrativo andrebbe un po’ sistemato. Prima lo finisco di leggere io, poi magari te lo faccio leggere anche a te, così mi aiuti a capire se merita di essere pubblicato. Diventerai un bravissimo talent scout letterario!» rispose il padre, che con gli occhi stava già tornando verso il manoscritto.

«Sì, ma non stasera» intervenne Maggy, rientrata rapidamente nel ruolo di mamma. «Adesso è ora di andare a letto, Ralph, domani non è festa, devi andare a scuola. Avanti vai a lavarti e poi subito a letto».

«Ma io voglio leggere il libro che legge papà! Devo diventare un bravissimo talent scout letterario, hai sentito anche tu cos’ha detto!» protestò il ragazzo, che a letto proprio non ci voleva andare.

Maggy si alzò e sorridendo prese una mano del figlio, tirandolo a sé con dolcezza.

«Ormai sei troppo grande per fare questi capricci, Ralph. Saluta papà e vieni con me, è ora di andare a dormire» disse, mentre il figlio si alzava lentamente e contro voglia.

«E va bene, uffa! Ciao papà, buona notte!»  capitolò infine l’adolescente, dando un rapido bacio sulla fronte del genitore, per poi allontanarsi con la madre.

Ma James non se ne accorse nemmeno, come non si accorse del tempo che passava e delle pagine già lette che si stavano rapidamente accumulando sul basso tavolino di fronte al divano.

3.

La mattina seguente Maggy trovò il marito esattamente dove lo aveva lasciato. Dormiva sul divano, mentre il tavolino era completamente ingombro di fogli di carta dattiloscritti. Ne prese uno e notò che i caratteri erano piuttosto grandi e l’interlinea era doppia, dal che dedusse che nonostante la notevole quantità di carta utilizzata, quel romanzo dovesse essere abbastanza breve. Era evidente che suo marito lo aveva letto tutto prima di cadere addormentato. Strano, pensò, non gli era mai successo prima, almeno che io ricordi.

Lo svegliò delicatamente offrendogli una tazza di caffè caldo e fragrante.

«Ehi, buongiorno! Sei crollato sul divano invece di venire a letto: o non ti piaccio più oppure quel libro non deve essere poi così male!» gli sussurrò mentre lo baciava sorridendo.

«Azz. . .» bofonchiò James, assonnato e dolorante per la scomoda posizione nella quale si era addormentato. «Tu mi piaci sempre da impazzire e quel romanzo è avvincente, ma va praticamente riscritto. Grazie del caffè, amore mio. Accompagni tu Ralph a scuola oggi? Ti va?» Il suo tono era rapidamente passato dallo speranzoso al supplichevole e Maggy capì che suo marito aveva disperatamente bisogno di una lunga e corroborante doccia per rimettersi nelle condizioni di affrontare il mondo per un altro lunghissimo giorno.

«Okay, ci penso io. Ci vediamo stasera tesoro».

Dopo la doccia e la colazione James si sentì di nuovo appartenente al genere umano e, preso il manoscritto, si avviò rapidamente verso la sede della sua casa editrice.

***

«C’è un certo John Smith che ti vuole incontrare, Jim» disse la segretaria che lo aveva chiamato al telefono interno. «Non ha un appuntamento, ma insiste nel dire che lo stai aspettando. Che devo fare?».

«Lascialo entrare, Jane, grazie» rispose l’editore, provando uno strano senso di sollievo.

John Smith era vestito esattamente come la sera prima, si sedette senza aspettare di essere invitato a farlo e piantò lo sguardo dritto negli occhi di Sullivan.

«Ho preparato il contratto editoriale, dottor Sullivan» esordì, senza alcun preambolo e senza neanche chiedergli se avesse letto il libro e se gli fosse piaciuto.

Decisamente quell’uomo riusciva a sorprenderlo in continuazione, ammise James in cuor suo, mentre sentiva una certa irritazione crescergli dentro.

«Guardi che non funziona così, signor Smith. Forse è meglio se mi ascolta per un minuto. Il suo romanzo è molto avvincente, ma lo stile narrativo non va bene per niente. Non dico che sia da riscrivere, ma è necessario un intervento dei nostri editor molto consistente. Per quanto riguarda il contratto, se mai ci arriveremo, sarà redatto da noi e sulla base dei nostri standard. L’opera mi interessa abbastanza, per cui se vuole ne possiamo parlare, ma non dia per scontata la sua pubblicazione con la You-and-your-books. L’editoria ha regole piuttosto rigide, signor Smith, che tutti gli autori devono essere disposti a seguire».

John non mutò minimamente l’espressione del viso, quasi che non avesse sentito le parole del suo interlocutore.

Con grande calma estrasse una nuova busta da sotto il cappotto e la posò sul tavolo.

«Qui dentro ci sono il contratto e una chiavetta con la versione digitale del libro in inglese e in altre ventisei lingue. Ci sono anche le copertine e la sinossi. C’è tutto, dottor Sullivan: lei deve solo procedere alla pubblicazione e dovrà farlo senza cambiare una sola virgola e mantenendo la formattazione impostata. Oltre alla pubblicazione digitale dovrà anche procedere a quella cartacea e distribuire il volume in tutte le librerie della nazione. Dal momento che so che questo libro sarà un best seller mi farò carico io delle spese iniziali di stampa, distribuzione e promozione. Il mio compenso sarà del 5% del prezzo di copertina per il cartaceo e del 10% per gli e-book: è molto meno di quanto offrite normalmente, ma io non sono avido. Tutti i diritti di sfruttamento dell’opera restano in capo a me. Lei venderà centinaia di milioni di copie di questo libro, ma lo farà alle mie condizioni, dottor Sullivan».

Prima ancora che Smith avesse terminato il suo breve monologo la colorazione del viso di James era passata dal roseo al paonazzo, mentre le vene del collo si erano gonfiate e pulsavano paurosamente.

Con entrambe le mani appoggiate sul tavolo Sullivan fece per alzarsi, con l’intenzione di gridare in faccia a quell’individuo tutta la sua rabbia e di chiamare gli addetti alla sicurezza per farlo prendere di peso buttare in mezzo alla strada.

Ma prima che potesse aprir bocca l’inquietante autore riprese pacatamente la parola.

«Non è obbligato ad accettare le mie condizioni, che peraltro sono molto vantaggiose per lei. Le do cinque minuti per decidere, poi mi riprenderò il manoscritto e mi rivolgerò alla concorrenza: sono certo che ci sono molti editori che aspettano da anni un’occasione come questa».

Folgorato dall’improvvisa consapevolezza che quel pazzo aveva ragione, James si accasciò sulla sedia, mentre la colorazione del suo viso cambiava nuovamente, passando dal rosso acceso al bianco. Con mani tremanti e mosso da un’incomprensibile volontà di non perdere quel libro aprì la busta e firmò il contratto senza nemmeno leggerlo.

4.

Il libro di John Smith fu un successo editoriale senza precedenti. Nel giro di appena sei mesi aveva già venduto trenta milioni di copie digitali, mentre le stamperie e i distributori della versione cartacea faticavano a star dietro agli ordinativi che arrivavano da tutte le librerie del continente nord-americano come un autentico diluvio universale.

Come promesso, John Smith si era fatto carico delle iniziali spese di stampa, distribuzione e promozione, fino al momento in cui la You-and-your-books, letteralmente sommersa dalla pioggia di soldi provenienti dalle vendite, era diventata autosufficiente.

La promozione messa in piedi da Smith era stata tanto semplice, quanto capillare: un attore professionista leggeva le prime pagine del romanzo e lo faceva senza alcuna presentazione o sigla di apertura. Quel semplicissimo messaggio pubblicitario aveva invaso tutti i media televisivi e radiofonici, al punto che era quasi impossibile sintonizzare un canale radio o televisivo senza imbattersi in quello spot.

Inoltre, il passaparola sembrava avere un ruolo molto importante nella sorprendente diffusione dell’opera.

***

James era nel proprio ufficio, tormentato da un fastidioso mal di testa che durava ormai da mesi. Con lo stomaco quasi distrutto dagli analgesici che assumeva in continuazione, non riusciva a smettere di pensare al libro, che aveva già letto otto volte. Eppure, ogni volta che lo rileggeva, trovava nuove emozioni, nuovi dettagli, sfumature che illuminavano la sua mente come un faro squarcia le tenebre.

Incapace di concentrarsi sul lavoro chiamò sua moglie.

«Ciao amore. Allora, lo hai letto?» chiese quasi bruscamente appena lei rispose.

«No tesoro, non ancora. Lo sai che non è il genere di narrativa che mi appassiona» rispose Maggy, che iniziava a essere piuttosto stufa dall’ossessione del marito per quel maledetto libro, anche se li aveva fatti diventare vergognosamente ricchi in pochi mesi.

«Ma questo è diverso, vedrai! Lo devi assolutamente leggere, così poi possiamo parlarne insieme!»

«Uffa, Jim. . . non mi va e poi Ralph, che lo ha iniziato un paio di volte, dice che è semplicemente orribile!»

«Ralph? Ma lui è solo un bambino e in più ha dei limiti che purtroppo conosciamo molto bene, Maggy. Non puoi preferire il suo giudizio al mio! Quel libro è una cosa che dobbiamo assolutamente condividere!»

«Ralph dice che la storia non ha senso e che i personaggi sono del tutto idioti, improbabili e che hanno comportamenti assurdi. Dice che l’impaginazione fa schifo, che le maiuscole sembrano messe a caso e che la punteggiatura è tutta sbagliata! Mi sembrano valutazioni piuttosto oggettive, Jim» protestò Maggy, che non tollerava alcun tipo di critica nei confronti del figlio.

«E allora fai come ti pare, ma poi non lamentarti se la nostra comunicazione diventa difficile!», concluse Sullivan esasperato, troncando la telefonata in malo modo.

Vinto dalla rabbia aprì il libro a caso e iniziò a leggere, tanto per provare a calmarsi un po’. Nel giro di pochi minuti le sue pulsazioni rallentarono, la pressione del sangue tornò ai giusti livelli e un senso di benessere lo pervase, facendogli persino dimenticare il mal di testa che sembrava non volerlo abbandonare mai più.

5.

Che tutta la vicenda legata al libro di John Smith fosse molto inquietante, James lo aveva percepito fin dall’inizio, ma la paura lo assalì solo verso la fine dell’ottavo mese dalla pubblicazione.

Le vendite avevano superato le cinquanta milioni di copie nel solo continente nord-americano, ma al tempo stesso il numero di incidenti aerei, ferroviari e stradali aveva subìto un’impennata mai vista prima nella storia della nazione.

Ovunque l’inefficienza sembrava prendere il sopravvento, con drammatiche conseguenze nel mondo del lavoro e nell’erogazione dei servizi pubblici: la gente appariva sempre più assente e distratta, al punto da mettere a repentaglio la stessa vita.

I medici e gli psichiatri, interpellati dai media, parlavano di una strana forma di isteria collettiva che stava colpendo una fetta sempre più grande della popolazione, ma, inspiegabilmente, la maggior parte di loro minimizzava la situazione con toni rassicuranti, sostenendo che tutto si sarebbe esaurito nel giro di poche settimane e nessuno associava il fenomeno alla lettura del libro.

Lo stesso Sullivan si era trovato a dover sedare un principio di rissa tra due suoi collaboratori, che erano arrivati alle mani nel confrontarsi sulle possibili e innumerevoli chiavi di lettura del maledetto romanzo.

Ma la paura vera lo assalì quando, tornato a casa una sera, trovò Ralph piangente in cucina, impegnato in un disperato tentativo di preparasi la cena.

Per un adolescente autistico, seppure in forma non grave, organizzare la complessa sequenza di attività e scelte operative necessarie alla preparazione di un pasto rappresentava un’impresa ardua, specialmente se, come nel suo caso, nessuno glielo aveva mai insegnato.

«Santo cielo, Ralph, che stai facendo? Dov’è la mamma?» domandò, mentre un orribile presentimento iniziava a straziargli lo stomaco.

«Ho fame, papà, ho fame. La mamma è in bagno col libro e io mi sono scottato la mano! Mi fa male, papà!».

James passò diversi secondi come paralizzato, osservando prima l’incredibile disordine che regnava nella cucina e poi il polso che il figlio gli mostrava, in cui si vedeva l’arrossamento di una piccola ustione.

Senza esitare prese Ralph per un braccio e lo guidò verso il bagno, che trovò chiuso dall’interno.

Tempestando la porta di pugni Jim iniziò a urlare per farsi aprire.

Pochi secondi dopo, la porta si aprì e l’esterrefatto editore si trovò di fronte una Maggy del tutto irriconoscibile: indossava ancora il pigiama, aveva occhiaie profonde, era spettinata e sul suo viso non c’era la minima traccia di trucco, proprio lei che aveva sempre tenuto moltissimo al suo aspetto e alla cura del proprio corpo. Il suo sguardo sembrava perso nel vuoto e in una mano stringeva una copia del libro di John Smith.

«Che c’è, Jim? Perché urli in questo modo?» domandò con la voce impastata.

«Cosa c’è?! Ma che ti è preso, per l’amore del cielo! Ralph si è scottato tentando di cucinarsi qualcosa perché ha fame! Ma ti sei vista? Perché ti sei chiusa nel bagno e hai lasciato tuo figlio da solo?»

Maggy fissò il marito dando l’impressione di non aver capito una sola parola.

«Ralph non mi lasciava leggere in pace» disse poi. «Mi mancano solo poche pagine, poi ci penso io a mettere tutto a posto. Davvero, solo poche pagine, Jim! Lo sai anche tu com’è questo libro. Ci tenevi tanto che lo leggessi e adesso che l’ho fatto ti arrabbi con me? Perché Jim?»

Senza dire altro Sullivan medicò la scottatura di Ralph, per poi dedicarsi alla sistemazione della cucina e alla preparazione della cena, lottando strenuamente con il mal di testa che era puntualmente tornato ad assalirlo.

Dopo cena James si intrattenne con Ralph, un po’ per calmarlo e un po’ perché voleva fare un esperimento.

«Il tuo papà ha bisogno del tuo aiuto, amico» iniziò, come se stesse per coinvolgerlo in un nuovo gioco. «So che a te il libro di John Smith proprio non piace, ma vorrei tanto che tu provassi a riscrivere le prime cinque o sei pagine. Lo faresti per me?»

Il ragazzo scoppio a ridere.

«Come sarebbe che lo devo riscrivere, papà? A me fa schifo e lo odio quel libro!»

«Lo so, tesoro, ma è solo un gioco. Cambia le parole mettendoci quelle che per te sono più giuste, sistema la punteggiatura, modifica la formattazione. Così, tanto per fare una prova. È importante per me, ma da solo non lo posso fare, Ralph. Allora?»

Il mal di testa lo stava quasi uccidendo e più si concentrava sul test che voleva fare, più la testa sembrava volersi staccare dal resto del corpo.

Alla fine, Ralph accettò e dopo meno di un’ora consegnò al padre sette pagine fittamente stampate.

«Va bene così, papà?» chiese, in attesa di una gratificazione.

«È perfetto Ralph, sei stato bravissimo! Grazie! Adesso andiamo a nanna, coraggio».

Maggy terminò di leggere il libro mentre lui metteva a letto il ragazzo e quando la raggiunse in camera da letto la trovò profondamente addormentata in quello che sembrava uno stato catatonico.

Provò a scuoterla per svegliarla, ma non riuscendoci decise di lasciarla dormire e di assumere un sonnifero lui stesso, consapevole del fatto che in quelle condizioni non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi.

Ma che diavolo sta succedendo? Cos’è veramente quel maledetto libro? Pensò disperato, mentre scivolava lentamente nel sonno.

6.

La mattina seguente Sullivan si svegliò di buonora, preparò la colazione per tutti e poi accompagnò il figlio a scuola. Maggy non si mosse dal letto e lui decise di lasciarla dormire.

Ralph frequentava un esclusivo istituto sperimentale, nel quale la metà degli iscritti erano bambini o ragazzi soggetti a disturbi dello spettro autistico più o meno gravi.

La cosa più importante era che anche molti degli insegnanti erano o erano stati affetti da forme di autismo o della sindrome di Asperger.

James accompagnò il figlio fino in aula e poi si diresse deciso verso gli uffici del preside.

«Buongiorno, Ruth» disse rivolgendosi alla segretaria. «Posso incontrare il professor Stevenson, per cortesia?»

Leonard K. Stevenson, oltre a essere il direttore di quell’istituto scolastico, era anche uno dei maggiori esperti di autismo della nazione, noto e stimato in tutto il mondo. Psichiatra e ricercatore, da bambino era stato lui stesso affetto da seri disturbi del neuro sviluppo.

«Le confesso che lei è l’ultima persona che mi aspettavo di incontrare, signor Sullivan» esordì il preside dopo una rapida stretta di mano.

«Immagino per via del libro di John Smith» rispose l’editore, con un mesto sorriso.

«Ci vuole un notevole coraggio per chiamarlo “libro”. Io lo considero semplicemente un mistero. È incredibile che una simile accozzaglia di parole possa essere diventata un successo editoriale di tale portata, ma immagino che lei abbia un’opinione del tutto diversa. Okay, come posso aiutarla, signor Sullivan?»

«È proprio per il libro che sono qui, professore. Ieri sera ho chiesto a Ralph di riscrivere per me alcune pagine. . .».

Stevenson non si fece scuro in volto semplicemente perché era nero, ma si incupì vistosamente e interruppe il suo ospite senza troppi complimenti.

«Pessima idea, signore. So che quasi tutti coloro che hanno letto quel libro si fanno in quattro per farlo leggere agli altri, ma questi ragazzi, i ragazzi come suo figlio, dovrebbero essere lasciati in pace. Non so cosa sia quel libro, ma so per certo che non è niente di buono. Se fossi credente direi che è l’opera del Diavolo».

«La prego, non mi fraintenda. Non è mia intenzione costringere Ralph a leggere il libro, ma vede, per me fare ciò che lui ha fatto sarebbe stato impossibile». James continuò raccontando quanto era accaduto la sera prima a casa e poi ancora come quel libro era arrivato nelle sue mani.

«Leggendo la versione di Ralph, se così la possiamo chiamare, mi sono reso conto che forse il libro di John Smith è davvero l’opera del Diavolo» riprese l’editore, palesemente agitato. «Vede, ciò che ho letto nelle pagine scritte da mio figlio sembra non aver nulla a che vedere con quanto ho letto nell’originale e soprattutto con le percezioni che da esso provengono: la versione di Ralph appare come una scrittura priva di qualsivoglia valore, roba che non dice niente. Conosco bene mio figlio e sono sicuro che la sua trascrizione sia stata fedele, seppure con le correzioni che gli ho chiesto di introdurre».

Stevenson fissò il suo interlocutore con uno sguardo indagatore, corrucciando la fronte.

«Dove vuole arrivare, signor Sullivan?» chiese infine, palesando tutta la sua diffidenza.

James respirò profondamente prima di rispondere. Il mal di testa lo stava attaccando con largo anticipo e faticava a mantenere le idee in ordine e a esprimerle in modo compiuto.

«So che lei da bambino ha avuto lo stesso tipo di patologia di Ralph e, anche considerando come lei si è espresso a proposito del libro, sono quasi convinto che lei e forse anche tutti voi altri siete in grado di leggere quell’opera per ciò che realmente è, cosa che noi normali non riusciamo a fare».

«Voi altri? Noi normali?» ora Stevenson lo stava guardando davvero molto male.

«Sì, santo cielo! Voi che avete o avete avuto disturbi dello spettro autistico! Non è il momento badare al linguaggio politicamente corretto, per l’amor di Dio! So che lei fa parte di un’associazione che raggruppa persone che hanno avuto disturbi del neuro sviluppo. La prego, ci pensi bene: le risulta che qualcuno di voi abbia letto e apprezzato il libro?»

Il professore intuì dove il suo ospite voleva arrivare e si calmò, rilassandosi e appoggiandosi contro l’alto schienale della poltrona.

«No, nessuno. Posso dirle che il suo libro e l’effetto che sembra avere sui lettori è al momento argomento di studio e discussione in molti ambiti, e anche noi altri ce ne stiamo occupando. Quello che sappiamo con una certa sicurezza è che l’effetto che genera non è lo stesso per tutti. Alcuni soggetti sono più recettivi e altri lo sono molto meno. Per esempio, sappiamo che coloro che fruiscono del testo in audio lettura mostrano un livello di assimilazione molto inferiore rispetto a coloro che lo leggono con i propri occhi. Lei cosa sa dirmi dell’autore?»

James emise un profondo sospiro, quasi felice per ciò che aveva appena ascoltato.

«Niente, professore. Di John Smith non so nulla. Ho solo un codice di conto bancario sul quale gli bonifico i diritti d’autore, ma in verità non sarei in grado di contattarlo nemmeno se ne avessi bisogno. Tempo fa ho incaricato un detective privato di trovarlo, ma senza successo, almeno finora. Forse è davvero il Diavolo» concluse Sullivan, prima di svenire per l’insopportabile dolore alla testa.

7.

Quando riaprì gli occhi Sullivan si rese conto di essere in un letto di ospedale. Il professor Stevenson era accanto a lui, insieme Ralph e a una delle insegnanti della scuola.

«Papà, papà, come stai? Come stai?» chiese il ragazzo appena si accorse che il padre si era svegliato.

«Sto bene, tesoro, va tutto bene» rispose abbracciandolo e lanciando un’occhiata interrogativa verso il preside.

«Te lo avevo detto che non era niente, Ralph. Perché adesso non vai a prendere un bel gelato con la signora Spencer? Resto io con il tuo papà, vai tranquillo» disse il professore, indirizzando un eloquente sguardo alla donna, che prese Ralph per mano e si allontanò rapidamente.

«Lei è svenuto mentre stavamo parlando, signor Sullivan. Qui però nessuno ha capito cosa le sia successo. Le hanno fatto una TAC insieme a diversi altri esami e sembra che sia tutto a posto. Lei ricorda di essere venuto da me e anche di cosa abbiamo parlato?» domando Stevenson, una volta rimasti soli.

«Sì, ricordo tutto, professore. È il mal di testa che a volte diventa intollerabile. L’unica cosa che me lo fa passare è leggere il libro».

Lo psichiatra annuì pensoso prima di rispondere.

«Lo avevo immaginato. Abbiamo già riscontrato il fenomeno del mal di testa in altri soggetti. Ora lei dovrebbe firmare la liberatoria per uscire da qui e venire con me. Farò accompagnare Ralph a casa dalla signora Spencer, se per lei va bene, signor Sullivan»

Sorpreso, James chiese dove lo volesse portare.

«Andiamo a casa mia, James. Voglio farle incontrare un membro dell’associazione, un agente speciale dell’FBI. Abbiamo qualche domanda da farle, come può immaginare. Ma non c’è niente di ufficiale: nessuno di voi normali si sta seriamente occupando di quanto sta accadendo. Diavolo o no, temo che dovremo cavarcela da soli».

«Va bene, professore. In questa vostra associazione avete anche esperti di informatica, magari dei matematici? Potrebbero servirci anche loro» rispose l’editore mentre si alzava dal letto e iniziava a rivestirsi.

***

James incontrò tre persone in casa del professore. L’uomo più alto e corpulento gli fu presentato come l’agente speciale dell’FBI Roger Townsand, insieme al quale conobbe anche Teresa Kane e Vladi Bogdanov, entrambi matematici, specialisti di informatica e di analisi dei dati.

Erano tutti e cinque seduti nello studio dello psichiatra, che aveva preparato del tè e del caffè per i suoi ospiti.

James sentiva che la testa gli stava per esplodere, tanto gli doleva e la cosa non sfuggì a Stevenson.

«Vedo che sta di nuovo molto male, signor Sullivan. Se vuole posso darle un analgesico piuttosto forte» si offrì il preside.

«Ormai gli analgesici non mi fanno alcun effetto. L’unica cosa che funziona è leggere qualche pagina del libro» spiegò Sullivan tra una smorfia di dolore e l’altra.

Per sua fortuna il professore disponeva di una copia del romanzo, che porse immediatamente al povero editore.

Sullivan si immerse nella lettura, traendone immediato beneficio, fino a quando fu scosso vigorosamente da Townsand.

«Ci racconti com’è nata questa storia e ci dica quello che sa di questo John Smith» lo invitò, dopo averlo riportato nel mondo reale.

James sapeva di avere un’autonomia di circa dieci minuti, prima di essere costretto a rituffarsi nella lettura del maledetto libro.

Raccontò rapidamente tutta la storia, ribadendo il fatto che del misterioso autore non sapeva niente, per poi dar forma all’idea che si era fatto negli ultimi giorni sulla reale natura di quel romanzo.

«Io credo che il libro sia uno strumento di condizionamento psicologico estremamente potente. Sono convinto che il condizionamento sia così profondo da scatenare reazioni psico-somatiche, come il mal di testa, ogni volta che si inizia a considerare il libro con ostilità. Tuttavia, non so cosa fare per fermare questa follia, anche se sono pronto a fare qualsiasi cosa, credetemi».

«La situazione sta diventando molto seria» disse l’agente speciale, «e purtroppo la rapida diffusione del libro sta iniziando a minare anche le nostre istituzioni. In FBI sono pochissimi quelli che si stanno rendendo conto di cosa sta accadendo, che sono anche coloro che, per un motivo o per l’altro, il libro non lo hanno ancora letto. Tuttavia, la correlazione tra lettura del libro e comportamenti anomali delle persone non è ancora stata ufficialmente riconosciuta. A titolo del tutto personale le chiederei di sospendere le vendite, signor Sullivan, almeno per tentare di arginare questa specie di epidemia».

Un dolore acutissimo penetrò il cervello dell’editore che, lacrime agli occhi, fu costretto a rituffarsi immediatamente nella lettura.

Dopo alcuni minuti, Townsand lo riportò tra di loro, scuotendolo ancora più energicamente di quanto avesse fatto la prima volta.

«Sì, lo farò, anche se non credo che funzionerà: primo, perché ormai la rete è piena di copie più o meno illegali dell’opera e secondo perché l’autore si attiverà immediatamente sul piano legale».

«Bene, almeno così riusciremo a stanarlo» commentò l’agente speciale.

«Okay, vi avvertirò appena si farà vivo».

«Posso chiederle perché ha richiesto la nostra presenza, signor Sullivan?» si intromise Teresa Kane che, come il suo collega, non capiva bene il motivo della loro presenza.

«Ho chiesto al professore se nell’associazione vi sono specialisti con le vostre competenze perché vorrei che analizzaste il libro non come testo, ma come insieme di dati. Escludendo magia e stregoneria, l’effetto che il maledetto libro fa sulla gente deve essere di tipo ipnotico, agendo sugli strati più profondi della coscienza. John Smith è stato categorico nella pretesa che nulla dovesse essere modificato rispetto alla versione da lui fornita e questo mi fa credere che ci debba essere uno schema racchiuso nel libro: lettere e parole, spazi vuoti, formattazione, scelta dei caratteri e ogni altra cosa contenuta nel testo potrebbero formare un qualche tipo di messaggio subliminale. Se riusciamo a trovarlo forse potremo capire come fermarlo». Sullivan non riuscì ad andare oltre con le spiegazioni, perché svenne subito dopo aver consegnato ai due analisti la chiavetta che gli aveva dato John Smith.

Prima di riaccompagnare James a casa, il professore volle tentare un trattamento ipnotico, con l’obiettivo di provare a scoprire qualcosa di più su come il libro agisse sulle persone e, soprattutto, per tentare di contrastare il terribile mal di testa che ormai paralizzava il povero editore quasi completamente.

Sul mistero del libro non scoprirono niente, ma qualcosa funzionò per il mal di testa che, se pur non sconfitto, risultò decisamente più tollerabile.

8.

Sorprendendo piacevolmente i suoi dipendenti, James decretò una settimana di festa, con conseguente chiusura degli uffici della You-and-your-books. La verità era che essendo ormai i collaboratori completamente presi dal libro, la loro presenza, oltre a essere inutile, rischiava di diventare anche dannosa.

Chiuso nel suo ufficio, aspettava che John Smith si facesse vivo, tormentato da un mal di testa che, seppure non più atroce, lo stava lentamente indebolendo e mettendo in stato confusionale.

Nei giorni precedenti, con l’aiuto di Ralph, in quanto lui proprio non riusciva a maneggiare quel materiale, aveva riassemblato il file contenente il libro, modificando la formattazione e sostituendo le prime pagine con quelle riscritte dal figlio, per poi sostituirlo a quello messo a disposizione dei vari canali di vendita online. Per la versione cartacea si era limitato a ordinare alle tipografie e ai distributori un temporaneo blocco delle attività.

Il grosso delle vendite riguardava l’e-book, sul quale era più facile agire tempestivamente, e alla fine aveva ritenuto che sarebbe stato meglio modificare il libro facendogli perdere la sua efficacia, generando così un senso di rifiuto in coloro che lo iniziavano a leggere, piuttosto che renderlo semplicemente indisponibile.

Lo stato confusionale aumentava insieme al mal di testa, ma resisteva abbastanza bene.

La porta dell’ufficio si spalancò di colpo e davanti a lui comparve John Smith, o almeno così gli sembrò. L’uomo, con fare molto deciso, posò un plico sul tavolo e iniziò a parlare.

«Buongiorno dottor Sullivan. Mi chiamo Gerald Smith e sono un avvocato. Ho qui un’ingiunzione firmata dal giudice Palmer che le intima di ripristinare il file originale che le aveva consegnato mio fratello John entro ventiquattro ore. Se non lo farà il giudice è pronto a destituirla dalla sua carica di amministratore unico della You-and-your-books e nominare un commissario straordinario di sua fiducia, che provvederà senza indugi a far rispettare il disposto dell’ingiunzione e a gestire l’ordinaria amministrazione della sua azienda. Ha capito, dottor Sullivan?»

James osservava stordito quell’individuo come attraverso una specie di nebbia, che gli aveva fatto sentire la sua dichiarazione con un suono ovattato, come provenisse da molto lontano.

Questo avvocato era perfettamente identico a John: aveva perfino le protesi al posto delle gambe.

«Ma siete gemelli lei e John? Avete perso le gambe insieme o cosa?» biascicò con notevole fatica, sorridendo quasi divertito.

«Siamo nati gemelli siamesi, uniti per le gambe, che abbiamo perso quando ci hanno separati, dottor Sullivan. Ha capito quanto le ho detto? Vedo che lei sta male: dovrebbe farsi visitare da un medico» spiegò e suggerì Gerald.

«Sto benissimo e ho capito tutto, faccia di merda. . . ops, mi scusi: ventiquattro ore e poi io non conterò più niente qui dentro. Chiarissimo, avvocato. Però mi dica una cosa: ma voi chi diavolo siete? Cosa volete fare con quel maledetto libro?» le parole biascicavano fuori dalla bocca di Jim come quelle di un ubriaco, a malapena comprensibili.

Gerald Smith si concesse un sorriso, mostrando gli stessi orribili denti del fratello prima di rispondere.

«Mio fratello è uno scrittore e io sono un avvocato: con quel libro vogliamo entrambi diventare ricchi e famosi».

Soddisfatta la curiosità dell’editore, Gerald Smith sparì dalla vista con la stessa rapidità con la quale era apparso.

9.

«Temo che abbiamo solo ventiquattro ore per riuscire a fermarli», comunicò James che, lontano dalla casa editrice, sembrava stare un po’ meglio.

Si trovavano tutti e cinque nuovamente nello studio del professore e Sullivan li aveva aggiornati sul suo incontro con l’avvocato Smith.

«Hai ragione, ma Teresa e Vladi hanno buone notizie. Prego, aggiornateci» rispose Stevenson con un gran sorriso.

«Abbiamo analizzato il libro come se si trattasse di un vasto insieme di dati: a partire dai pixel della copertina fino all’ultimo carattere contenuto nel testo» iniziò a spiegare Teresa, «e abbiamo trovato uno schema» concluse trionfalmente.

«Che schema?» domandò Sullivan, mentre una nuova luce gli illuminava gli occhi.

«Non ne abbiamo la più pallida idea» continuò Vladi. «Ma sicuramente è uno schema non casuale e lo abbiamo rappresentato graficamente: eccolo» terminò, ruotando il suo computer portatile verso gli altri.

Sotto gli occhi sorpresi di Stevenson, Townsand e Sullivan sullo schermo del notebook iniziarono a scorrere strane forme dall’apparenza semi solida e dai colori cangianti.

«Ma cosa diavolo rappresenta quel. . . quella specie di caleidoscopio?» sbraitò in modo quasi villano l’editore.

«Non lo sappiamo, Jim: ma è lo schema di qualcosa. Di questo siamo certi» confermò Teresa, un po’ risentita. «Ci hai chiesto di analizzare i dati per vedere se sono il risultato di uno schema e lo abbiamo fatto. Avevi detto che se lo avessimo trovato forse avremmo capito come funziona e come fermarlo. Bene, eccolo qua».

James tentò disperatamente di riflettere, cosa molto difficile nelle sue condizioni e soprattutto nelle condizioni della sua testa.

Si rese conto che gli altri quattro lo stavano osservando, aspettando che lui dicesse qualcosa, che svelasse il segreto e trovasse la soluzione, ma lui in quel momento sentiva solo il disperato desiderio di piangere e di addormentarsi per sempre.

Poi gli tornarono in mente l’immagine di Maggy, ridotta ormai alla stregua di uno zombie, sempre immobile sul letto e le risate di Ralph quando lo aveva aiutato a sabotare il libro.

Quelle immagini funzionarono meglio di un’iniezione di adrenalina.

«Vediamo se ho capito bene» riprese, con voce più calma e più lucida. «Voi avete scritto un programma che, se ci mettete dentro il file originale di John Smith, vi tira fuori quelle immagini?»

«Sì, qualcosa del genere» ammise Teresa, sempre imbronciata.

«Okay. Quindi se nello stesso software ci mettete dentro quelle immagini, vi esce fuori il libro?»

«Non è così semplice» spiegò Vladi, «Quelle immagini possono essere considerate l’essenza emozionale contenuta nel libro, che si attiva nella mente umana tramite un processo ipnotico che ci è del tutto oscuro. Tuttavia, dando in pasto al programma quell’essenza e l’intero vocabolario della lingua inglese con le relative regole grammaticali e lessicali, abbiamo ottenuto un testo quasi identico all’originale» concluse, con un ampio sorriso.

Sullivan accolse quella notizia con grande emozione, che manifestò regalando ai presenti un sorriso così luminoso da contagiarli tutti. Erano mesi che non sorrideva più.

«Possiamo dire allora che se prendete le immagini del caleidoscopio e le mettete nel vostro software al contrario, otterremo l’esatto contrario del libro? Diciamo la sua nemesi?» chiese infine.

I due matematici lo guardarono sorpresi e poi iniziarono a confabulare tra loro, andando avanti per quasi mezz’ora, prima di rispondere.

«Forse sì, in effetti lo schema che abbiamo estratto dal libro si sviluppa secondo una direzione e un verso. Ci spossiamo provare. Ma cosa vorresti fare con questo nuovo libro-nemesi?»

«Il sequel del libro di John Smith, ovviamente. Sono pur sempre un editore e devo pensare alle vendite» rispose Sullivan, quasi ridendo.

10.

Per evitare il commissariamento e quindi la perdita del controllo della casa editrice, Sullivan si affrettò a eseguire quanto disposto nell’ordinanza del giudice Palmer, mentre Teresa e Vladi lavorarono senza tregua al nuovo programma.

Dopo un paio di giorni si dichiararono finalmente pronti per il collaudo, del quale si incaricò lo stesso Sullivan.

Il libro-nemesi funzionò alla perfezione.

Mentre per Ralph, Stevenson, Townsand e i due analisti la nuova opera era altrettanto illeggibile quanto il maledetto libro di John Smith, James lo trovò avvincente fin dalle prime righe e ci si buttò a corpo morto, terminandolo in sole sette ore.

«Bellissimo!» dichiarò alla fine. «E c’è di più: sto benissimo! Il mal di testa è scomparso del tutto!»

Si trovavano nello studio di Stevenson, come al solito: cinque improbabili carbonari del lessico più un adolescente autistico, decisi a salvare il mondo.

«Fantastico. E adesso?» chiese Ralph, felice come una pasqua.

«Adesso tu torni a casa con il professore e dai subito il nuovo libro alla mamma, dicendole che è l’anteprima del sequel del libro di John Smith, mentre io e gli altri andiamo in ufficio e iniziamo a distribuirlo sul mercato digitale. A 99 centesimi, tanto per essere sicuri che lo comprino tutti. Okay?»

Un coro di entusiasti assensi seguì le sue parole e precedette l’inizio delle nuove attività.

***

Mentre Maggy, sotto lo sguardo felice di Ralph, iniziava a divorare avidamente il nuovo libro prodotto da James, il resto della squadra si stava rapidamente recando verso la sede della casa editrice.

Fu Townsand, che guidando il SUV di servizio dell’FBI, il primo ad accorgersi della loro presenza.

«Guai in vista, a ore tredici» bisbigliò, mentre rallentava e accostava verso il marciapiede.

Sullivan e gli altri guardarono nella direzione indicata e videro due figure piuttosto alte e magre che stazionavano di fronte al portone d’ingresso degli uffici della You-and-your-books.

«I fratelli Smith! Che cavolo vogliono adesso?» imprecò James.

«Insieme ai loro cugini, direi!» intervenne Teresa, indicando altri individui del tutto simili ai primi che sbucavano dalle vie laterali.

«Ma quanti sono?» chiese ancora Sullivan, incredulo.

«Io invece mi chiedo cosa sono, perché di umano hanno davvero poco» intervenne Roger mentre fermava del tutto il veicolo. «Hanno circondato l’edificio: è chiaro che non ci vogliono lasciar entrare».

Sullivan avvertì un brivido di paura corrergli lungo la schiena.

«Devono aver subodorato qualcosa, merda!» osservò poi, rivolto agli altri.

«Forse controllavano i nostri accessi alla rete» ipotizzò Teresa. «Per realizzare il nuovo libro ci siamo serviti di potenti sistemi remoti di elaborazione e di un cloud dell’FBI: magari hanno capito cosa abbiamo fatto».

«Questo adesso importa poco» tagliò corto l’agente speciale, mentre estraeva la pistola da sotto la giacca. «Non so cosa sono, ma sto per scoprire se sono vulnerabili. James, c’è un fucile nel baule, lo prenda e mi copra le spalle» disse infine, uscendo dalla vettura e iniziando a correre verso l’edificio.

«Agenti federali, FBI!» gridò mentre avanzava, mostrando bene l’arma che impugnava. «State ostacolando un’azione di polizia! Toglietevi di mezzo immediatamente!».

Nel frattempo, Sullivan aveva aperto il bagagliaio e aveva preso il grosso fucile a pompa, come richiestogli da Townsand.

«Lo sai usare?» gli domandò Vladi, anche lui sceso dal SUV insieme a Teresa.

«Veramente no. Lo vuoi tu?»

Vladi prese il fucile e lo armò velocemente, puntandolo poi contro uno degli strani esseri che, ondeggiando, aveva quasi raggiunto Roger.

Mirò e fece fuoco, colpendo il bersaglio che fu scaraventato a diversi metri di distanza e che parve smontarsi in pezzi toccando il suolo.

Il colpo fece fermare gli altri individui, dando così un piccolo vantaggio al gruppetto che, ricompattato, riprese a correre verso l’ingresso dell’edificio.

Giunti a pochi metri videro i fratelli Smith infilare le mani dentro il cappotto, ma Roger fu più veloce e sparò per primo, colpendoli in pieno petto.

I due caddero al suolo e quando i loro corpi toccarono terra il busto si staccò dalle gambe, esattamente come era successo a quello colpito da Vladi, che continuava a tenere sotto controllo gli altri Smith che si avvicinavano minacciosi.

«Ma cosa diavolo sono. . .» iniziò l’agente, avvicinandosi ai cadaveri per esaminarli.

«Non adesso, lascia perdere Roger. Entriamo, facciamo presto!» lo esortò Sullivan, strattonandolo quasi con violenza.

Una volta dentro, James si precipitò al computer usato per gestire le pubblicazioni, Townsand restò di guardia alla porta, mentre Vladi e Teresa si appostarono alla finestra per guardare cosa stessero facendo i loro nemici.

«Che mi venga un colpo!» esclamò l’analista, esterrefatto. «Questo lo dovete vedere anche voi!».

Prima Sullivan e poi Roger raggiunsero la finestra e osservarono increduli quanto stava accadendo sotto i loro occhi.

Decine di Smith si stavano radunando al centro della via, alcuni di loro con i resti dei caduti tra le braccia.

«Secondo voi che stanno facendo? Si preparano ad attaccarci?» chiese l’editore molto preoccupato.

Ma prima che qualcuno potesse rispondere una forte luce proveniente dal cielo illuminò il gruppo degli Smith che, in pochi secondi, sparì.

Poi ci furono solo il buio e il silenzio.

«Che mi venga un colpo!» ripeté Vladi, sconvolto come gli altri.

«Bravi, andate via, brutti alieni del cazzo! Ci avete provato con il pianeta sbagliato!» sbraitò Roger, agitando la pistola che stringeva ancora in pugno.

«Alieni o diavoli che siano, abbiamo ancora un lavoro da fare!» ricordò James agli altri. «Aiutatemi, così facciamo prima: non siamo ancora fuori pericolo».

***

A partire dal giorno seguente, il nuovo grande libro della You-and-your-books fu disponibile su tutte le piattaforme online del mondo, a soli 99 centesimi di dollaro. Quasi contemporaneamente, i media iniziarono a trasmettere insistenti spot che pubblicizzavano la tanto attesa uscita del sequel del famoso libro di John Smith, che chiudeva definitivamente la saga.

© 15/05/2018 Ezio Amadini

Pubblicazioni di Ezio Amadini

  • 2016: Roma anno zero (racconto) – Andromeda Rivista di Fantascienza – Editore Ailus
  • 2017: Dies Irae (romanzo, finalista Premio Vegetti 2018) – Watson Edizioni
  • 2017: Aspettando gli alieni (racconto) – Andromeda Rivista di Fantascienza – Editore Ailus
  • 2018: Jordy (racconto) – Lost Tales – Editore Letterelettriche
  • 2018. Brivido Felino (racconto) – Lost Tales / Andromeda – Editore Letterelettriche
  • 2018: I costruttori di ponti (romanzo) – Watson Edizioni
  • In pubblicazione: Sha Sha Sha (racconto) – Editore Letterelettriche

 

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Nato a Roma nel 1956, ha una laurea in Economia e Commercio. Figlio di un giornalista parlamentare e di una colta casalinga, entrambi divoratori di libri, ha avuto la straordinaria fortuna di crescere in un ambiente intellettualmente stimolante. Ha lavorato in Medio Oriente, per poi dedicarsi alla consulenza aziendale nel controllo di gestione e dei sistemi informativi.