La raccolta dello scrittore americano Arthur B Reeve prosegue con la pubblicazione de Il Sibarita, terzo capitolo de Il medico dei sogni, che appare qui in una nuovissima traduzione, curata da Mario Luca Moretti e da me, Franco Giambalvo, il che ci permette di spostare il Copyright italiano all’anno attuale e quindi prevediamo di produrre un nuovo libro in formato editoriale che sarà pubblicato al più presto possibile. A. B. Reeve sceglie di presentare i suoi racconti non all’interno di un unico capitolo, ma su più capitoli e noi così li abbiamo lasciati. Al momento potete leggere i seguenti capitoli:
1. Il medico dei sogni,
2. Analisi dell’anima
Come si vede, l’inizio di questo racconto, Il Sibarita, non è altro che la parte finale del capitolo 2, Analisi dell’anima.
Una carambola di avventure scientifiche: fateci sapere la vostra opinione.

 

Il Novella Beauty Parlour era all’ultimo piano di un edificio per uffici poco distante dalla Fifth Avenue, in una strada laterale non lontana dalla Quarantaduesima Strada. Uno speciale ascensore, elaboratamente attrezzato, ci trasportò in alto a una velocità stratosferica. Aperta la porta vedemmo dei graticci verdi, cancelli con delle rose appese, finestre in legno bianco con incastonati dei vetri a losanghe, stanze con tavolini e sedie per manicure smaltati di bianco, luci ambrate emettevano una morbida incandescenza in profondi salottini ornati di fiori di stoffa ignifuga. L’atmosfera di quel posto era deliziosa, i profumi seducenti e delicati indicavano come quello fosse rifugio dei Sibariti del ventesimo secolo.

O’Connor e Leslie, stranamente fuori luogo nel lussuoso e efficiente salone di bellezza ormai deserto, stavano aspettando Kennedy con cupa determinazione.

“Una cosa molto strana,” sussurrò O’Connor, avvicinandosi a passo veloce nel momento in cui si aprì la porta dell’ascensore. “Purtroppo, non riusciamo a trovare una sola causa per spiegare la sua morte. Le persone qui dicono che è stato un suicidio, ma non mi piace la teoria del suicidio a meno che non ci siano prove certe. In questo caso, finora non ce ne sono. Non c’era motivo perché lo facesse.”

Seduto in una delle grandi poltrone della sala d’attesa, in un angolo con due uomini di O’Connor che lo sorvegliavano attentamente, c’era un uomo che era l’incarnazione del nervosismo stesso. Si stringeva le due mani ora l’una, ora l’altra e si arruffava i capelli. Accanto a lui una signora di media statura e di mezza età, ma di sorprendente aspetto giovanile, che con tutta evidenza presiedeva ai misteri cosmetici vietati alle conoscenze maschili. Era pettinata in modo perfetto e i suoi vestiti parevano uno stampo in cui lei fosse stata letteralmente colata all’interno.

“Professor e Madame Millefleur, tutti la chiamano Miller,” sussurrò O’Connor, notando lo sguardo interrogativo di Kennedy e prendendogli il braccio per accompagnarlo nel lungo corridoio, soffici tappeti ai lati, fiancheggiato da piccole porte. “Sono i gestori del negozio. Hanno riferito che dopo aver aperto la porta di una delle ragazze l’hanno trovata morta.”

A fine corridoio, una delle porte era aperta e il Dr. Leslie, che ci aveva preceduto, si fermò proprio lì. Fece segno di guardare all’interno. Era un piccolo spogliatoio, con un unico letto smaltato di bianco, un comò e uno specchio. Ma non fu quell’arredamento scarno ma elegante che ci fece sobbalzare.

Sotto la tenue luce del corridoio, scorgemmo una donna, con un corpo superbo. Era bruna e la fitta massa di capelli, in attesa del parrucchiere, si era depositata in un groviglio sulle sue forme splendidamente cesellate, sulle spalle e sul collo pieno e rotondo. Un accappatoio scarlatto, allentato alla gola, accentuava piuttosto che coprire le linee voluttuose del corpo, fino alla caviglia snella, da cui era iniziata la sua fortuna come ballerina.

Tranne per la pallidezza marmorea del viso, era difficile credere che non stesse dormendo. Eppure, lì giaceva la famosa Blanche Blaisdell, morta… morta nel piccolo boudoir del Novella Beauty Parlour, circondata come già nella sua vita dal mistero e dal lusso.

Siamo rimasti senza parole, storditi per diversi minuti. Alla fine, O’Connor estrasse silenziosamente una lettera dalla tasca. Era scritta su della carta profumata la più elegante e delicata.

“Quando siamo arrivati era messa sigillata sul comò,” spiegò O’Connor, tenendola in modo che non potessimo vedere l’indirizzo. “All’inizio ho pensato che si fosse davvero suicidata e che questa fosse una nota in cui lo spiegava. Ma non è così. Ascoltate. Sono solo una o due righe. Dice: ‘Sto meglio adesso, malgrado quella fantastica festa di ieri sera. Ti ringrazio per l’articolo sul giornale che ho appena letto. È stato molto gentile, da parte tua, farlo pubblicare. Ci incontreremo stasera allo stesso posto e alla stessa ora. La tua Blanche.’ La nota non era affrancata e non è mai stata inviata. Forse ha chiamato un corriere, ma, in ogni caso, la donna deve essere morta prima di poterla inviare. Era indirizzata a… Burke Collins.”

“Burke Collins!” esclamammo stupiti Kennedy e io.

Si trattava di uno dei più importanti avvocati di diritto societario del Paese, direttore di una ventina delle più grandi aziende, partecipante a mezza dozzina di opere di beneficenza e organizzazioni sociali, mecenate dell’arte e dell’opera. Sembrava impossibile e, almeno io, non esitavo a pensarlo. In risposta, però, O’Connor ha semplicemente appoggiato lettera e la busta sul comò.

Ci volle un bel po’ perché Kennedy facesse qualcosa. Era lì, scritto nero su bianco da Blanche Blaisdell, di propria mano. Non sapevo cosa stesse cercando Craig, ma alla fine si piegò, annusò, non la lettera profumata, ma il rivestimento del comò. Quando sollevò la testa vidi che non guardava affatto la lettera, ma lì vicino, un punto sul rivestimento.

“Snff, snff,” annusò, chiudendo pensieroso gli occhi come se stesse considerando qualcosa. “Sì… olio di trementina.”

Riaprì gli occhi di colpo e lo sguardo fisso verso il vuoto che aveva mascherato il suo viso, fu attraversato da una splendida comprensione che, sapevo, lo aveva illuminato verso la verità.

“Spegnete la luce nel corridoio,” ordinò in fretta.

Il dottor Leslie trovò l’interruttore e lo girò. Eravamo soli, nel bizzarro piccolo spogliatoio, soli con quella cosa bella in modo orribile, distesa fredda e immobile sul piccolo letto bianco.

Kennedy si mosse nel buio. Con delicatezza, quasi come se Blanche Blaisdell, che aveva incantato migliaia di persone, fosse ancora viva, palpitante e sensibile, le aprì la bocca.

Seguì un grido da parte di O’Connor, che stava davanti a me. “Cosa sono, quei piccoli puntini sulla lingua e sulla gola? Brillano. È la luce cadaverica!”

Infatti, c’erano piccoli puntini luminosi nella bocca. Avevo sentito da qualche parte che può apparire una fosforescenza durante il decadimento delle sostanze organiche, proprio quella che un tempo ha dato origine all’antica superstizione delle ‘luci cadaveriche’ o del fuoco fatuo. Sapevo che l’effetto era dovuto a dei batteri vivi. Ma sicuramente non c’era stato il tempo sufficiente perché si sviluppassero tali microrganismi, anche nel calore quasi tropicale del Novella. Avrebbe potuto essere avvelenata da questi bacilli fosforescenti? Cos’era… una strana nuova malattia della bocca che aveva colpito questa nota avventuriera e signora del lusso?

Leslie riaccese la luce prima che Craig dicesse altro. Eravamo tutti lì a guardarlo con attenzione.

“Fosforo, acido fosforico o pomata fosforica,” disse Craig lentamente, guardando ansiosamente tutta la stanza come se stesse cercando qualcosa che potesse spiegarlo. Intravide la busta ancora lì sul comò. La prese, ci giocherellò, guardò nella parte superiore dove O’Connor l’aveva aperta; quindi, strappò deliberatamente la linguetta sul retro dove era stata incollata quando avevano sigillato la lettera.

“Spegnete ancora la luce,” chiese.

Nell’oscurità, sul retro della linguetta dove c’era la sottile linea di colla, era evidente lo stesso tipo di luminosità che avevamo visto in forma di piccole macchie sulle labbra e nella bocca di Blanche Blaisdell. La verità mi balenò all’occhio. Qualcuno aveva messo la sostanza, chissà quale, sulla linguetta della busta, sapendo che la donna avrebbe dovuto passarci sopra le labbra per sigillarla. E infatti, il veleno mortale le era entrato in bocca.

La luce venne di nuovo accesa e Kennedy aggiunse: “L’olio di trementina rimuove tracce di fosforo, acido fosforico o pomata fosforica, che sono insolubili in qualsiasi altra cosa tranne che in etere e alcool puro. Qualcuno che lo sapeva ha cercato di eliminarli, ma non ci è riuscito del tutto. O’Connor, veda se da qualche parte riesce a trovare in negozio che vende fosforo, olio, o linimento.”

O’Connor e Leslie si allontanarono di corsa e lui disse: “Un’altra di quelle strane coincidenze, Walter. Ricordi cosa disse la ragazza all’ospedale? ‘Ecco, non vedi? È in fiamme! Gli brillano le labbra – brillano, brillano!’”

Kennedy non aveva smesso di esaminare attentamente la stanza. In un piccolo cesto di vimini c’era un giornale aperto alla pagina delle notizie teatrali. Lo guardai un attimo e vidi un articolo su di lei, molto positivo.

Sotto il giornale c’erano pezzi di lettera strappati. Kennedy li raccolse e li ricompose. “Cara Blanche,” dicevano. “Spero tu stia meglio dopo la cena di ieri sera. Ci possiamo incontrare stasera? Scrivimi immediatamente. Collie.”

Mise con cura i pezzi nel portafoglio. Apparentemente qui non c’era più nient’altro da fare. Passando per il corridoio sentimmo un uomo che sembrava molto sconvolto. Parlava un buon inglese e un cattivo francese. Si rivelò essere Millefleur… o Miller… e la sua furia era esagerata come quella di un attore di terza categoria. Madame cercava di placarlo.

“Henri, Henri, basta così,” diceva lei.

“Un suicidio… nel Novella. Sarà su tutti i giornali. Saremo rovinati. Oh… oh!”

“E la smetta con questo piagnisteo,” intervenne uno dei poliziotti di O’Connor. “Lo sa, potrà raccontare tutto quando il capo la porterà al quartier generale!”

Certamente con quel comportamento l’uomo non faceva una buona impressione. La sensazione era che ci fosse molto di artificiale, molto più incriminante di quanto sarebbe stato un silenzio impassibile.

Nonostante ciò, Monsieur e Madame riuscirono a ripetere a Kennedy la loro versione dell’accaduto. Pareva che qualcuno avesse lasciato una nota indirizzata alla signorina Blaisdell sulla scrivania nella sala d’attesa. Nessuno sapeva chi fosse stato, ma una delle ragazze l’aveva presa e consegnata alla signorina nel suo camerino. Un momento dopo la signorina Blaisdell aveva suonato il campanello e chiamato la ragazza di nome Agnes, che doveva pettinarla. Agnes era al momento occupata, ma l’attrice le chiese di prendere carta, penna e inchiostro. Almeno così sembrava, perché Agnes glieli procurò. Pochi minuti dopo la Blaisdell suonò di nuovo il campanello e Agnes questa volta arrivò è pare fosse disponibile per pettinarla.

Subito dopo ci fu un urlo straziante da parte della ragazza che si mise a correre urlando lungo tutto il corridoio fino nella sala d’attesa, dove si precipitò nell’ascensore, che in quel momento si trovava al piano. Fu l’ultima volta che la videro. Le altre ragazze trovarono però la signorina Blaisdell morta e ne seguì il panico. I clienti si vestirono rapidamente e fuggirono, terrorizzati. Ci fu una grande confusione. A quel punto arrivò un poliziotto, e poco dopo anche O’Connor e il medico legale.

Non c’era da ricavare molto dall’interrogatorio della coppia. Avevano evidentemente avuto il tempo di mettersi d’accordo su cosa dire; cioè, tutto poteva non essere la verità. Solo un terzo grado scientifico avrebbe potuto scuoterli e una cosa del genere era proprio impossibile in quel momento.

Dalle domande che fece Kennedy potevo capire che credeva che ci fosse qualcosa di non detto in qualche parte nella loro semplice storia, almeno su un punto, quando qualcuno di loro doveva aveva provato a cancellare i segni del veleno.

“Eccolo. L’abbiamo trovato,” interruppe O’Connor eccitato, tenendo in alto una bottiglia coperta da un panno nero per proteggerla dalla luce. “Era nel retro di un armadio della sala operativa ed è contrassegnato come ‘Ether fosforato’. Un’altra bottiglia di olio di trementina era su uno scaffale in un altro armadio. Sembrerebbe che le due bottiglie siano state usate poco fa, dato che i fondi dei tappi di vetro risultano bagnati.”

“Ether fosforato, cioè etere fosfato,” commentò Kennedy, leggendo l’etichetta. “Un rimedio dal Codice francese, composto, se ricordo bene, da una parte di fosforo e cinquanta parti di etere solforico. Il fosforo è spesso somministrato come rimedio per la perdita di potere nervoso, nevralgia, isteria e melanconia. In quantità da un cinquantesimo a un decimo di grano, o giù di lì, il fosforo libero è un rigeneratore del tessuto nervoso e della forza nervosa, un farmaco per l’ansia intensa e prolungata ed eccitazione emotiva prolungata… in breve, un rimedio per una vita frenetica.”

Stappò la bottiglia e assaggiammo la sostanza. Era sgradevole e nauseante. “Non capisco perché non sia stata usata in forma di pillole. La forma liquida su qualche goccia su gomma arabica è irrimediabilmente antiquata.”

La porta dell’ascensore si aprì con clangore e ne uscì un uomo di mezza età, ben piazzato, dall’aspetto atletico, con aria giovanile sottolineata dagli abiti eleganti e dal viso rasato. Il volto era pallido, e la mano gli tremava per l’emozione e dimostrava che qualcosa gli aveva scosso i nervi per solito ben saldi. Riconobbi subito Burke Collins.

Nonostante il nervosismo, avanzò con l’aria di un uomo abituato a essere obbedito, uno per cui tutti fanno tutto, semplicemente perché Burke Collins poteva permetterselo ed era suo diritto. Sembrava sapere cosa stesse cercando, perché immediatamente individuò O’Connor.

“È terribile, terribile,” sussurrò rauco. “No, no, no, non voglio vederla. Non posso, non adesso. Sapete che io tenevo tantissimo a quella povera bambina. Solo,” e qui manifestò il suo naturale egoismo, “volevo chiederle di non rivelare il mio legame con lei. Capisce? Fate qualsiasi cosa per giungere alla verità. Impieghi i migliori uomini che ha. Chieda un aiuto esterno se serve. Pago io tutto, qualsiasi cosa. Forse, un giorno, potrò usare un po’ della mia influenza per lei. Ma, mi capisca, lo scandalo, sa bene. Non una parola ai giornali.”

In altra situazione, sono sicuro che O’Connor avrebbe ceduto. Collins aveva un grande influsso politico e anche un vicesceriffo può essere ‘messo al tappeto’ da un uomo influente. Ma qui c’era Kennedy e O’Connor voleva apparire sotto la miglior luce possibile.

Indicò quindi Craig. “Mi permetta di presentarle il Professor Kennedy,” disse.

“L’ho chiamato io.”

“Molto felice di fare la sua conoscenza,” disse Collins, stringendo la mano di Kennedy calorosamente. “Spero che mi accetterà come cliente per questo caso. Pago bene. Ho sempre avuto grande ammirazione per il suo lavoro di cui ho molto sentito parlare.”

Se possibile Kennedy è impermeabile alle lusinghe quanto un sasso, come la famosa Pietra di Blarney, che secondo gli stolti, dovrebbe invece produrre eloquenza.

“Con una condizione,” rispose lentamente il mio amico, “e cioè che io proceda a scoprire la verità esattamente come se fossi assunto dal Comune.”

Collins si morse il labbro. Era evidente che non era abituato a essere affrontato con tale spirito indipendente. “Va bene,” disse alla fine. È stato chiamato da O’Connor. Lavorerà per lui e… be’, dunque, se le servirà qualcosa, me lo potrà chiedere. Ma, se le sarà possibile, mi tenga fuori. Dirò tutto ciò che posso per aiutarla… ma non dirò nulla ai giornali.”

Fece cenno di spostarci. “Quelle persone là dentro,” annuì in direzione dei Millefleurs, “sospetta di loro? Che dice, non credo siano messi bene! Be’, senta, sono sincero e le ho confessato i miei rapporti con Blan… ehm… Miss Blaisdell. Ieri sera ero con lei a una grande cena con un gruppo di amici. Immagino che sia venuta qui per rinfrescarsi il trucco. Quando oggi non sono più riuscito a contattarla ho chiamato il teatro e mi hanno detto cosa era successo. E allora sono venuto subito qui. Ora la prego, si ricordi di far tutto, ma proprio tutto per non creare scandalo. Capisce cosa significherebbe per me?”

Kennedy non parlò. Si limitò a mettere sulla scrivania, pezzo dopo pezzo, la lettera strappata che aveva raccolto nel cestino e accanto a essa distese la risposta scritta da Blanche.

“Cos’è?” esclamò Collins leggendo la lettera strappata. “Crede che l’abbia scritta io? Ma è pazzo? Ho appena detto che non ho avuto notizie da lei fino a che non ho chiamato il teatro poco fa?”

Non riuscivo a capire se, affermando di non aver inviato il biglietto, stesse mentendo. Kennedy prese una penna. “Per favore scriva qui le stesse parole che ha letto su questo foglio su carta di Novella. Tranquillo. Ha qui tantissimi testimoni.”

A Collins doveva dare fastidio che fosse messa in dubbio la sua parola, ma Kennedy non era tipo da far favoritismi e alla fine prese la penna e scrisse.

“Cercherò di tenere il suo nome il più possibile fuori da tutto,” osservò Kennedy, guardando intensamente la scrittura mentre tamponava il foglio.

“Grazie,” disse semplicemente Collins, per una volta tanto senza parole. Sussurrò poi qualcosa a O’Connor e si scusò. A mio avviso, quell’uomo sembrava molto sincero, a parte i suoi limiti egoistici e sensuali e non avrei biasimato Kennedy per averlo trattato così come aveva fatto.

Kennedy però, non aveva ancora finito e quindi si rivolse di nuovo agli esperti tecnici cosmetici così rudemente sconvolti dalla tragedia.

“Chi è questa ragazza Agnes che ha trovato la signorina Blaisdell?” buttò lì rivolto ai Millefleurs.

L’esperto di bellezza ora era davvero addolorato nella sua eccitazione. Come la sua azienda, anche i suoi sentimenti erano artificiali.

“Agnes?” ripeté. “Ma’, è una delle migliori parrucchiere della signora. Vediamo — cara — mostra ai signori l’elenco degli impegni.”

Era un grande libro pieno di nomi di ragazze, ognuna esperta in ricci, ciuffi, ‘rinforzi,’ bigodini, trasformazioni e numerosi altri elementi che rendevano i capelli delle donne dell’epoca così terribilmente stupendi. Gli impegni di Agnes per il giorno successivo erano completi.

Kennedy passò gli occhi sulla lista delle clienti. “Signora Burke Collins, 15:30,” lesse. “Anche lei è una cliente?”

“Be’, sì,” disse Madame. “Veniva qui tre volte alla settimana. Non era per vanità. Tutti la conoscevamo, e piaceva a tutti.”

Subito mi è stato chiaro che ero stato troppo caritatevole nei confronti di Burke Collins. Ecco qui la moglie che si affannava nel tentativo di ottenere quella bellezza che forse le avrebbe riportato l’uomo che aveva molto amato prima che di trasferirsi a New York e prima del suo attuale successo. Anche l’altra donna veniva qui, ma per motivi del tutto diversi.

Niente sembrava impressionare Millefleur se non gli affari. “Oh, sì,” si offrì volontariamente, “abbiamo una clientela di qualità. Tra i miei pazienti c’è Hugh Dayton, l’attore, quello… il protagonista nella compagnia di Blanche Blaisdell. Si sta facendo rimettere i capelli. Sì, gli ho fatto un trattamento questo stesso pomeriggio. Se mai c’è un pazzo, quello è lui. Credo che ucciderebbe il signor Collins per via di Blanche Blaisdell. Erano fidanzati… ma, eh, be’,” fece un’ottima imitazione di una pernacchietta alla francese, “è tutto finito ora. Nessuno dei due la avrà più e io… sono rovinato. Chi verrà più al Novella?”

Vicino alla stanza dei Millefleur c’era la stanza di scrittura, quella da cui era stata presa la busta avvelenata per la signorina Blaisdell. Sopra il piccolo scrittoio c’era un cartello “Nessuna donna sarà mai ordinaria qui al Novella,” evidentemente il motto del posto. La stanza delle parrucchiere era accanto alla piccola stanza di scrittura. C’erano cabine per la manicure, per i bagni di vapore, i massaggi, cabine di ogni tipo, a testimonianza silenziosa dell’istinto fondamentale, il desiderio femminile della bellezza.

Anche se quando Kennedy ebbe finito la sua indagine era già tardi, insistette nel recarsi direttamente al suo laboratorio. Lì estrasse da un angolo una specie di piccolo tavolo quadrato su cui era fissata una potente lampada come quella che si potrebbe usare in uno stereoscopio.

“Questo è un piccolo e semplice macchinario,” spiegò, mentre incollava insieme i pezzi strappati della lettera che aveva pescato dal cestino dei rifiuti, “che i detective usano per studiare le contraffazioni. Non so se ha un nome, anche se potrebbe essere chiamato ‘altografo.’ Vedi, è sufficiente appoggiare ciò che si desidera studiare qui in basso e il sistema di specchi e di lenti lo riflette e lo ingrandisce su uno schermo.”

Aveva steso un lenzuolo bianco all’estremità opposta della stanza e lì risaltava chiaramente la scrittura della nota in enormi caratteri.

“Questa lettera,” riprese, studiando con attenzione l’ingrandimento, “è probabile che si riveli cruciale. È molto strana. Collins dice che non l’ha scritta lui e se l’avesse fatto è sicuramente un genio nel mascherare la sua grafia. Dubito che qualcuno possa mascherare ciò che evidenzia un altografo. Per esempio, ecco qui. Li vedi quei tratti delle lettere alte sono… insomma, sono traballanti? Nell’originale non lo puoi vedere, ma quando si ingrandisce tutto, i tremori della mano non ti sembrano evidenti? Per quanto uno ci provi, non è possibile nasconderli. Ciò dimostra che il redattore di questo biglietto soffre di una forma di malattia cardiaca. Ora osserviamo la copia che Collins ha fatto quando eravamo al Novella.”

Mise la copia sul piano dell’altografo. Era evidente che le due scritte fossero state prodotte da persone del tutto diverse. “A mio avviso quell’uomo diceva la verità e bastava osservare il suo sguardo sorpreso quando gli ho detto del biglietto inviato a Miss Blaisdell,,” commentò Craig, “Ora sono certo che così fosse. Qui non c’è evidenza di problemi cardiaci come nell’altra scrittura. Naturalmente tutto questo l’avrebbe potuto rivelare anche uno studio grafologico. Le due scritture non sono per nulla simili. Ma qui abbiamo una pista importante. Troviamo il redattore della nota che ha problemi cardiaci e avremo l’assassino o qualcuno molto vicino all’assassino.”

Pensai alla trepidazione del piccolo tecnico della bellezza, di come aveva recitato il suo finto terrore per la reputazione del Novella e devo confessare che concordavo con O’Connor e Collins che l’uomo sembrava in qualche modo coinvolto. In un primo momento avevo sospettato di Collins, ma ora capivo bene perché avesse chiaramente manifestato la sua ansia di non voler apparire nel caso, anche se il suo istinto da avvocato e direi, anche, di amante gli imponeva al tempo stesso che fosse fatta giustizia. Capii dunque, come abituato a valutare le prove, Collins avesse immediatamente visto delle ragioni perché O’Connor procedesse all’arresto dei Millefleurs.

“Oltre a ciò,” aggiunse Kennedy, dopo aver esaminato le fibre della carta al microscopio, “tutti i biglietti sono scritti sullo stesso tipo di carta. Quella su un foglio a metà per la signorina Blaisdell è stata scritta direttamente al Novella e posizionata in modo che si pensasse fosse inviata da fuori.”

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La mattina seguente, sul presto, Kennedy mi svegliò dicendo: “Penso che andrò all’ospedale. Vuoi venire? Sulla strada faremo una sosta da Barron. C’è un piccolo esperimento che voglio praticare su quella ragazza.”

Quando arrivammo, l’infermiera responsabile del reparto ci disse che la sua paziente aveva trascorso una notte abbastanza buona, ma adesso, che l’attività del farmaco era svanita, era nuovamente inquieta e continuava a ripetere le stesse cose. Né era riuscita a dare alcun resoconto più chiaro di ciò che le era accaduto. Apparentemente era sola in città, perché, anche se sui giornali del mattino era stato pubblicato un articolo su di lei, finora nessun parente o amico era venuto a cercarla.

Kennedy si pose direttamente davanti alla ragazza, ascoltando con attenzione i suoi deliri. Improvvisamente riuscì a fissarla negli occhi, quasi con una forza ipnotica.

“Agnes!” chiamò con voce decisa.

Il nome sembrò bloccare la sua sfuggente attenzione. Prima che potesse di nuovo allontanarsi dalla presa mentale, Kennedy aggiunse: “Il suo carnet sei suoi appuntamenti è completo. Questa mattina non pensa di tornare al Novella?”

Il cambiamento in lei fu qualcosa di meraviglioso a vedersi. Era come se fosse uscita da una trance. Si sedette sul letto e si guardò intorno in modo vacuo.

“Sì, sì, devo andare,” urlò come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi si rese conto del luogo e dei volti sconosciuti. “Dov’è il mio cappello… d-dove sono? Che cosa è successo?”

“Sta bene,” la tranquillizzò gentilmente Kennedy. “Ora si riposi. Per un po’ cerchi di dimenticare tutto e starà bene. Adesso è tra amici.”

Mentre Kennedy ci guidava fuori, la ragazza cadde sul cuscino, fisicamente esausta.

“Ah, mio caro Barron,” sussurrò Craig, “lo sapevo che nel tuo caso c’era più di quanto si potesse immaginare. Mi hai dato, senza volerlo, un contributo molto importante per il caso di cui sono pieni i giornali stamattina: quello dell’attrice Blanche Blaisdell assassinata.”

Traduzione
© 2024 by Mario Luca Moretti
© 2024 by Franco Giambalvo
La copertina del racconto è stata generata con AI Adobe Firefly

 

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nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"