Ormai ci siamo: tra un mese, più o meno, verranno assegnati i premi Nebula del 2017, mentre a inizio aprile, sono stati annunciati i finalisti del premio Hugo.
Per ciò che riguarda i premi Nebula, come recita il regolamento, si tratta di “Tutte le opere pubblicate per la prima volta in lingua inglese negli Stati Uniti, durante l’anno precedente, nel genere fantascienza, fantasy, o corrispondente genere fantastico.” Coloro che votano non sono i lettori, ma gli scrittori associati alla Science Fiction and Fantasy Writers of America, una vera e propria associazione commerciale, che nasce nel 1965 come Science Fiction Writers of America (SFWA), fondata da Damon Knight, di cui i più anziani di noi ricorderanno Il lastrico dell’inferno (Hell’s Pavement) e in verità poco altro. Alla sua fondazione l’associazione contava 78 scrittori, oggi ne riunisce più di 1500.
Invece i libri scelti direttamente dai lettori sono quelli dei finalisti del premio Hugo, di cui siamo finalmente in grado di segnalare i titoli selezionati quest’anno nella categoria romanzi:
- All the Birds in the Sky, di Charlie Jane Anders (Tor Books / Titan Books)
- A Closed and Common Orbit, di Becky Chambers (Hodder & Stoughton / Harper Voyager US)
- Death’s End, di Cixin Liu, traduzione di Ken Liu (Tor Books / Head of Zeus)
- Ninefox Gambit, di Yoon Ha Lee (Solaris Books)
- The Obelisk Gate, di N. K. Jemisin (Orbit Books)
- Too Like the Lightning, di Ada Palmer (Tor Books)
Su sei titoli, quattro sono di donne e due di scrittori maschi, di origine orientale.
Come spesso succede, ci sono libri che facevano già parte delle selezioni dei premi Nebula. Ritroviamo qui infatti All the Birds in the Sky, Ninefox Gambit e The Obelisk Gate. Le “novità” sono rappresentate da A Closed and Common Orbit, di Becky Chambers che promette di essere una sorpresa, Death’s End di Cixin Liu che altro non è se non il terzo capitolo di quel poderoso pasticcio che è stato The Three-Body Problem, mai abbastanza vituperato secondo i miei personalissimi parametri e infine Too Like the Lightning, di Ada Palmer che sembrerebbe essere un romanzo di tipo fantascientifico sociologico.
Purtroppo (per me!) il (da me) vituperato libro cinese che però non ho letto, è attualmente in testa alla classifica delle preferenze dei lettori di Amazon e Goodread. Ecco cosa dicono le quarte di copertina:
“Mezzo secolo dopo la Battaglia della Fine del Mondo, l’equilibrio instabile dell’Intesa della Foresta Scura tiene a bada gli invasori trisolariani: la terra gode di un periodo di prosperità mai sperimentato prima dopo l’introduzione della scienza trisolariana. La scienza degli umani fa grandi passi avanti ogni giorno e i trisolariani hanno adottato la cultura terrestre, per cui sembra che le due civiltà possano coesistere pacificamente da uguali, eliminando il terribile pericolo di auto annientamento. Purtroppo la pace ha reso l’umanità pigra. Cheng Xin, una donna ingegnere proveniente dai primi anni del ventunesimo secolo, si sveglia dall’ibernazione in questa nuova era. Le sue conoscenze riportano in auge un programma risalente all’inizio della crisi trisolariana e dimenticato: la presenza di questa donna rischia di sconvolgere il delicato equilibrio tra i due mondi: l’umanità riuscirà a raggiungere le stelle, o invece morirà coi suoi primi tentativi?”
In questo momento sto leggendo The Obelisk Gate, continuazione del libro che ha vinto lo Hugo l’anno scorso, cioè The Fifth Season. Un romanzo molto violento a modo suo. Non mi piace giudicare un romanzo dalla “copertina” per cui non voglio ancora esprimere un giudizio. L’impressione è buona, ma dalla lettura di un mezzo libro direi che non mi pare all’altezza di quello dell’anno scorso.
Ad ogni modo ecco qui le preferenze dei lettori di Amazon e Goodreads per i libri del Premio Hugo:
Ricordo che i valori sono espressi in quinti, poiché 5 è il massimo voto assegnabile nei due siti presi in considerazione.
Come abbiamo già rilevato qui e anche in un precedente articolo, le selezioni di quest’anno appaiono in qualche modo stupefacenti: ricordate le grandi discussioni sul fatto che ci dovesse essere una base scientifica nei racconti di fantascienza? Bene, regola del tutto dimenticata dagli elettori che nel 2017 hanno fatto le loro scelte.
Devo confessare (guadagnandomi magari qualche storcimento di naso) che a me non ha mai interessato il legame scientifico con le storie di fantascienza. Devo però ugualmente confessare che i vecchi romanzi di marziani cattivi, macchine miracolose e avventure spaziali, non mi dispiacevano per niente. Anche questi sembrerebbero in grande crisi.
Col tempo ho scoperto una fantascienza che oserei dire più “sofisticata,” in cui si ignora tutto ciò che può essere stato lo sviluppo tecnologico, dandolo semplicemente per acquisito e ci si concentra di più sulla storia e sui personaggi.
Con le selezioni del 2017 al Nebula, direi che si è andato ben oltre. Le selezioni Hugo sono un po’ meno rivoluzionarie, ma anche qui ci sono molte novità.
Oggi parleremo in dettaglio di due romanzi tra i selezionati Nebula: uno dei due è stato anche scelto per i premi Hugo. Si tratta dei due libri che ho letto dal principio alla fine e che quindi mi sento perfettamente autorizzato a giudicare.
Sono All the Birds in the Sky, di Charlie Jane Anders e di Everfair, di Nisi Shawl.
Ho scelto di iniziare a leggere questi due romanzi perché rappresentano (sulla carta) due dei generi che preferisco: il primo una sorta di fantasy alla Harry Potter, il secondo il mio amato steampunk.
Devo dire subito che entrambi i libri mi hanno piuttosto deluso.
A mio avviso, il migliore dei due è All the Birds in the Sky: diviso in due parti; nella prima assistiamo all’adolescenza difficile di un ragazzo e una ragazza ed è la migliore di sicuro. Dato che siamo in vena di confessioni, voglio dire che questa parte di libro mi ha fatto inizialmente gridare al “capolavoro.”
Lui, Laurence, è una specie di nerd che ha inventato un orologio da polso capace di trasportarlo due secondi nel futuro: stupisce i compagni del liceo che lo bulleggiano, attivando l’orologio quando vede partire il pugno e ridendo di nascosto di loro quando si accorgono di non poterlo colpire mai.
Lei, Patricia, è una ragazzina decisamente fuori dal contesto in cui studia: tra le altre cose si accorge di poter parlare con gli uccelli e con gli alberi e questo la sconvolge oltre ogni dire, non trovando il coraggio di confessarlo a nessuno.
Esiste poi fin quasi dall’inizio, un terzo personaggio, introdotto a pagina 45: “Si chiamava Theodolphus Rose ed era un membro dell’Ordine Assassini Anonimi che aveva imparato 873 modi per uccidere la gente senza lasciare la sia pur minima traccia: aveva dovuto ammazzare 419 persone per raggiungere il numero nove nella gerarchia dell’O.A.A.”
Permettetemi di dire che esistono tutti i prodromi per una bella storia: il nerd abilissimo nelle scienze di qualsiasi tipo, la disadattata che ha certamente la capacità di capire la magia e un misterioso, anche se un po’ ridicolo, assassino che li vuole far fuori perché pagato da qualche misterioso nemico dei due.
La prima parte termina anche molto bene: la ragazzina Patricia viene finalmente contattata da un insospettato osservatore dell’istituto “Eltisley Maze, un’università segreta che accoglie chi possiede il dono della magia e lavorerà con una piccola schiera di maghi per aggiustare i mali del mondo.”
A questo punto (purtroppo) arriva la seconda parte.
L’Autrice si dimentica quasi del tutto dell’assassino: non dirò cosa succede per non fare dello spoileraggio, ma dirò tuttavia che la conclusione della storia di questo buffo assassino è del tutto deludente e completamente fuori trama.
I due ragazzi cresciuti, sono diventati quanto meno degli imbecilli: si fanno del male l’uno con l’altro, si amano, ma non se ne accorgeranno mai, pronti a creare solo disordine e ben poca avventura. Charlie Jane Anders (l’Autrice) ha perso completamente le fila del racconto in questa seconda parte e cercherà di riscattarsi con un finale tratto da certi classici: qualcosa che nell’afflato ricorda sia i finali di Ulisse di Joice, che Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Mi direte, come è possibile, due opere così diverse? Eppure se avete presenti i due finali presentano interventi inaspettati di streghe e diavoli, proprio come qui, dove, malgrado l’argomento abbastanza magico, anche questo sabba finale è abbastanza inatteso.
Il secondo libro di cui voglio parlare è, Everfair, di Nisi Shawl.
Questo, semplicemente, non è un romanzo! In 381 pagine non riesce mai, se non per brevi momenti, a sviluppare una vera storia, ma presenta una sequenza di racconti, per lo più auto conclusivi, che tendono a essere, in qualche modo, collegati blandamente tra di loro.
Anche questo libro è suddiviso in parti e in questo caso mi sento di poter dire, senza nessuna ragione.
Se non avessi letto i riassunti editoriali della storia, avrei forse avuto qualche problema a ricostruire l’ambiente in cui tutto si svolge. L’epoca è fine ottocento, primi del novecento. Il mondo è un ambiente fantastico e vittoriano che non è mai esistito, con alcune scoperte che non sono mai apparse in quell’epoca, o che sono state portate avanti in maniera del tutto diversa nel nostro futuro.
I personaggi: sono troppi. Ci si perde quasi subito, perché il racconto non è svolto come ci si aspetterebbe. Il primo capitolo di intitola Borgogna, Francia, luglio 1889. In realtà è un racconto auto concluso. Il capitolo successivo si intitola Boma, Congo, dicembre 1889. Qui si parla di personaggi diversi, situazioni diverse e vabbè… magari più avanti riprenderà la storia!
Per niente: continua così. Storie a distanza di qualche mese tra di loro. Un po’ in Europa, qualche volta in America, molto più spesso in Congo che in realtà è un territoro acquistato da un gruppo di Fabianisti che hanno ribattezzato la regione Everfair (Sempre Onesto).
In questo libro dà abbastanza fastidio il caso (frequente) in cui assistiamo a un episodio pieno di suspense, magari una intensa e avvincente battaglia e improvvisamente il capitolo termina lì. Nel capitolo successivo non se ne riparla mai: più tardi probabilmente tornerà quel personaggio, o uno di quelli che erano là e bisognerà cercare di capire cosa diavolo è successo in quella battaglia, o in quel particolare momento sentendo ciò che viene sussurrato e mai chiaramente detto.
Il libro è più un affresco di persone, che non di fatti. Ogni tanto ci sono episodi, guerre che si svolgono tra i “cattivi” belgi che possedevano il Congo e i nuovi abitanti di Everfair. Gustosa la descrizione di alcune delle nuove macchine create da Tink, un geniale inventore di origine orientale. Ecco ad esempio quando viene presentata alla gente l’invenzione che farà la differenza nel resto del racconto: il dirigibile, qui chiamato aerocanoa (aircanoe, invece di usare la parola inglese airship aeronave, che noi traduciamo solitamente con “dirigibile”).
L’ampia e altissima caverna era piena di gente e di attrezzature: barili pieni di idrogeno che venivano svuotati. Le manichette che uscivano dalle botti andavano verso la piattaforma costruita in fretta fuori dalla caverna, avvolgevano la navicella che diventava più pesante man mano che la caricavano. L’involucro dispiegato occupava quasi tutta la piattaforma e la sporgenza di pietra tra quella e l’ingresso della caverna. Stava quasi tutto fuori, ma un po’ anche dentro. Il grande pallone si dimenava e si sollevava e ogni sua cellula riceveva la giusta quantità di gas: quando sarebbe stato completamente gonfiato avrebbe misurato 12 metri d’altezza e trenta di lunghezza.
Lo stesso genio ha costruito anche diverse mani e braccia meccaniche, ma questi episodi sono sempre piuttosto secondari alla narrazione.
Di gustoso in questo libro ci sono piccoli appunti come quello riportato, per il resto è un abbastanza noioso racconto di politiche immaginarie, per non dire inventate, anche se dobbiamo registrare una egregia cronaca di sentimenti. Bello il modo in cui la scrittrice utilizza la lingua inglese rigorosamente ottocentesca, che in certi passaggi ricorda addirittura lo stile dell’epoca, per esempio di Jane Austen di poco precedente a questa collocazione temporale.
In definitiva è un libro che non mi ha affatto convinto, anche se riconosco che è una grande prova di innovazione nella scrittura della fantascienza.
Qui di seguito riporto, alla maniera di Chaos Horizon le preferenze espresse dai lettori sul libri del Nebula. Come del resto abbiamo fatto per i titoli dell’Hugo.
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Quelle più a sinistra sono le preferenze del mese di marzo e vediamo che in aprile non sono cambiate molto: solo Ninefox Gambit (dello scrittore di origine coreana Yoon Ha Lee) ha subito un paio di centesimi di ribasso nelle preferenze dei lettori Goodreads, come pure The Obelisk Gate.
Torneremo in un prossimo articolo sui premi Hugo che quest’anno saranno assegnati a Helsinki, di cui ecco una bella veduta. Se qualche lettore, o callaboratore avesse delle idee per una presentazione, si faccia avanti. Ospiterei molto volentieri un parere critico da parte di chi volesse farlo.
Faccio infine notare che di solito le convention avvengono negli Stati Uniti e questa presentazione fatta in Europa potrebbe essere l’occasione per partecipare una volta di persona.
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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.
Spero che il romanzo della Jane Anders non introduca letteralmente il personaggio del ninja a quel modo, perchè significherebbe inserire un infodump pesantissimo – senza contare la trama di “teenager speciali” che è banale dai tempi di Harry Potter a fine anni ’90.
Purtroppo sembra effettivamente che a prevalere ormai siano, più che i personaggi o la scienza, una fanta-sociologia spicciola.