A Master of Djinn è un romanzo di Phenderson Djèlí Clark. L’autore era già stato notato dai lettori più attenti perché nel 2019 aveva vinto Nebula e Locus con The Secret Lives of the Nine Negro Teeth of George Washington, un racconto breve davvero originale e toccante. Tra l’altro mi pareva fosse stato pubblicato in Italia da Delos su Robot, ma al momento non ne trovo traccia… Se qualcuno ne avesse notizia è pregato di segnalarlo.

P. Djèlí Clark è uno storico e scrittore di narrativa speculativa. Termine usato per indicare chi scrive di periodi storici di fantasia. Come ben spiega questo articolo su Libri che passione, in cui tra l’altro si dice:

il termine narrativa speculativa è circondato dalla persistente confusione che lo circonda [perché] il suo significato preciso si è evoluto nel corso degli anni.

In questo caso il romanzo parla appunto di un periodo mai esistito nella nostra storia, eppure con riferimenti importanti alle idee imperiali degli inglesi a inizio ventesimo secolo.

A Master of Djinn è un libro davvero molto originale, tanto è vero che ha già vinto sia il Premio Nebula, sia il Locus, quest’ultimo nella categoria Opera Prima.

L’azione si svolge al Cairo, nell’anno 1912. L’Egitto fa parte del grande Impero Britannico Coloniale, ma nulla ha a che fare con quel che sappiamo oggi di quel periodo. A un certo punto apprenderemo in un veloce passaggio, che al Cairo è insediata la monarchia d’Egitto, mentre, sappiamo che in realtà Il Regno d’Egitto nacque solo nel 1922.

Questo bellissimo lavoro è in quota anche per vincere il Premio Hugo, che però sarà consegnato solo il 4 settembre. Si sarà certo capito che, per i miei gusti personali, si tratta del miglior romanzo letto da molti anni a questa parte. Una scrittura elegante, raffinatissima, con trovate a ogni pagina e una trama ricca e colorata. Il linguaggio è piacevolmente antico e godibilmente esotico.

In tutta l’opera, l’autore non risparmia l’ironia sugli inglesi. Ecco come la pensa Archibald Portendorf, un  inglese del tempo, con le opportune fisime di quell’epoca:

Egitto. Il misterioso gioiello d’Oriente, terra di faraoni, leggendari Mamelucchi e innumerevoli meraviglie. Per dieci lunghi anni, Archibald aveva trascorso tre, quattro, anche sei mesi alla volta in quel paese. E una cosa era certa: aveva fatto il pieno.

Era stanco di questo posto miseramente caldo e troppo secco. Da trent’anni i tempi erano perfettamente maturi perché l’Egitto diventasse una delle tante conquiste dell’Impero di Sua Maestà. Ma oggi era una delle grandi potenze, e il Cairo stava rapidamente superando Londra, ma anche Parigi. La gente per le strade, derideva spavaldamente l’Inghilterra definita come “la piccola isola triste”.

I loro cibi turbavano lo stomaco di Archibald. La loro preghiera aleggiava forte a tutte le ore del giorno e della notte. E si divertivano a far finta di non capire l’inglese quando lui sapeva che lo capivano benissimo!

Apprendiamo subito, sempre da Archibald che “Poi c’erano anche gli djinn, i genî. Creature disumate!” Quindi questi esseri magici vivevano normalmente in mezzo agli umani. Il che non era facilmente sopportabile da parte di un lord vecchia maniera.

L’azione inizia nel momento in cui un intero e variopinto gruppo di inglesi si ritrova in una ricca dimora, perché tutti fanno parte della misteriosa e Occulta Confraternita di Al-Jahiz:

La stanza […] presentava una parete rotonda decorata d’oro, fulvo, verde e terra d’ombra su una base di blu imperiale. La superficie liscia brillava alla luce di un lampadario in ottone intagliato con piccole stelle alla maniera araba, sospeso con catene. Ai lati file di colonne, coi loro archi curvi dipinti a strisce d’ocra. Uno spettacolo di decadenza orientale che era pur via adatto alla Occulta Confraternita di Al-Jahiz.

Si fecero avanti un paio di eunuchi di metallo, volti vuoti e disumani fatti di illeggibili lastre di ottone. Ogni automa teneva tra le metalliche dita tattili dei guanti bianchi, un abito nero e un fez nero con fiocco d’oro. Archibald prese le sue cose, infilando quegli indumenti sopra i vestiti e indossò con cura il cappello, assicurandosi che la scimitarra d’oro ricamata e la mezzaluna rivolta in basso fossero sul davanti.

L’uomo notò che in quella sala c’erano ventidue persone, compreso Dalton e se stesso. Moustafa era rimasto rispettosamente fuori. Tutti vestivano le insegne della Confraternita, alcuni vestivano anche dei grembiuli o fasce colorate per indicarne il rango. Rimasero a conversare in gruppi di due o tre, serviti da eunuchi di metallo che portavano i rinfreschi.

Ma già alla fine del primo capitolo, dovremo fare a meno per sempre di Archibald Portendorf, almeno come persona fisica, perché qui succede qualcosa di davvero spaventoso.

Il padrone di casa, un certo Lord Worthington, produce un sinistro incantesimo, dopo di che, si sentono due colpi alla porta che viene violentemente scardinata…

Archibald sforzando gli occhi notò una figura che passava sotto l’arco. Era un uomo, completamente vestito di nero con pantaloni lunghi neri e fluttuanti infilati negli stivali. Indossava una camicia aderente […]

La strana figura […] tirò indietro il cappuccio. Archibald restò senza fiato. Il volto di quell’uomo era nascosto da una maschera che seguiva esattamente la forma del volto, adornata con una indecifrabile scritta che sembrava muoversi sulla superficie dorata. Gli occhi dietro quelle fessure ovali erano gelidi abissi di fuoco nero.

Ed è qui che l’intera Confraternita viene distrutta da questo incredibile demonio, o pseudo demonio, per il momento non si sa. Costui brucia e incenerisce tutte le persone presenti.

Dimentichiamo dunque Archibald e soci e seguiamo la storia di una agente, Fatma el-Sha’arawi, la più giovane impiegata del Ministero dell’Alchimia, degli Incantesimi e delle Entità Soprannaturali che viene incaricata delle indagini. Sotto i nostri occhi si svela poco per volta questo mondo un po’ soprannaturale, in po’ steampunk che certamente piacerà a molti lettori.

I personaggi sono ben dipinti e si scolpiscono nella mente degli appassionati di questo genere. Gli ambienti sono vividi e le macchine volanti, le armi esotiche e i tram sospesi che attraversano la città ci fanno vivere in un ambiente di cui negli ultimi tempi non abbiamo goduto troppo spesso.

Il viaggio verso Giza con un carro automatizzato a ruote era durato quasi quarantacinque minuti e solo perché era notte. Ma Fatma sarebbe stata ben contenta quando fosse entrato in funzione l’allungamento della rete di tram sospesi. Secondo il Ministero dei Trasporti si poteva fare il percorso in un quarto di quel tempo.

Il mondo in cui si muovono i personaggi non è mai descritto in maniera specifica: esattamente come farebbe un cronachista attuale descrivendo un’azione nel nostro mondo, rivolgendosi a un pubblico che ben conosce ciò che lo circonda. Non si può dire che una cosa sia meravigliosa, se è cosa consueta.

Però P. Djèlí Clark sa comunque stupire i suoi ascoltatori,  mentre parla a lettori che in teoria dovrebbero sapere benissimo cosa sia un carro automatizzato a ruote, o un tram sospeso!

Questo tipo di sorprese sono frequentissime lungo tutto il romanzo ed è questa la vera bellezza di una cronaca un po’ magica e un po’ poliziesca.

Ecco come ci appare il Cairo con le parole di Djèlí:

Fatma seguì lo sguardo della donna che osservava Il Cairo illuminato dal sole mattutino: un insieme di imponenti edifici moderni e di fabbriche. Le strutture più recenti diventavano più alte giorno per giorno. Le travi d’acciaio erano come ossa in attesa di una pelle, circondate da strade piene di carrozze, carrelli automatici, auto a vapore e altro ancora. Il profilo cittadino non era meno confuso, percorso da tram veloci che lasciavano sulla loro scia scoppiettanti fulmini elettrici. Più in alto, una aeronave blu si librava come una balena volante, mentre sei eliche la spingevano verso l’orizzonte.

Non voglio rivelare assolutamente nulla della trama, oltre a quanto già detto.

Ciò che posso dire, per concludere, è che un romanzo come questo è una pietra preziosa e nessun lettore dovrebbe perderselo.

Vedremo cosa ne penseranno i lettori degli Hugo!

 

In copertina un’immagine di Kevin Hong per il Capitolo 14, tratta dal sito dell’Autore.

 

 | Website

nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.