La raccolta dello scrittore americano Arthur B Reeve prosegue con la pubblicazione de Il salone di bellezza, quarto capitolo de Il medico dei sogni, che appare qui in una nuovissima traduzione, curata da Mario Luca Moretti e da me, Franco Giambalvo, Prevediamo di produrre un nuovo libro in formato editoriale che sarà pubblicato al più presto. A. B. Reeve sceglie di presentare i suoi racconti non all’interno di un unico capitolo, ma su più capitoli e noi così li abbiamo lasciati.
Al momento potete leggere i seguenti capitoli:
1. Il medico dei sogni,
2. Analisi dell’anima
3. Il Sibarita
Il salone di bellezza, altro non è che la conclusione del capitolo 3, Il Sibarita. E la parte terminale di questo, introdurrà a Il circuito fantasma, di cui vi daremo lettura nelle prossime uscite!

 

Kennedy ritenne prudente interrogare la povera ragazza in ospedale solo dopo qualche ora. La sua storia si rivelò abbastanza semplice, ma sicuramente complicava notevolmente le cose senza gettare molta luce sul caso. Era stata molto impegnata perché la sua giornata era piena e doveva ancora pettinare Miss Blaisdell per la recita serale. Più volte era stata interrotta da messaggi impazienti dall’attrice nel suo piccolo boudoir e una delle ragazze le aveva già disfatto la vecchia pettinatura per risparmiare tempo. Agnes era scesa una volta per pochi secondi per rassicurarla che sarebbe stata pronta tra non molto.

In quell’occasione aveva trovato l’attrice intenta a leggere un giornale e, quando Kennedy l’aveva interrogata, disse di aver visto un biglietto appoggiato sul comò. ‘Agnes,’ le aveva detto Miss Blaisdell, ‘puoi andare nella sala di scrittura a prendermi carta, penna e inchiostro? Io non posso andare lì in questo stato. Sei una cara ragazza.’ Sicché Agnes era andata, anche se quello non era il suo compito, essendo lei una delle impiegate più pagate del Novella. Ma tutte invidiavano la popolare attrice ed erano pronte a fare qualsiasi cosa per lei. Poi ricordava di aver finito la pettinatura su cui stava lavorando e di essere andata da Miss Blaisdell per farle i capelli. Ma lì giaceva la bellissima attrice. La luce nel corridoio non era ancora accesa ed era buio. Le labbra e la bocca sembravano letteralmente brillare. Agnes l’aveva chiamata, ma la donna non si era mossa; l’aveva toccata, ma era fredda. Agnes allora, aveva urlato ed era fuggita. E quella era l’ultima cosa che ricordava.

“La piccola sala di scrittura,” ragionò Kennedy mentre lasciavamo la povera parrucchiera completamente esausta dopo la sua narrazione, “era accanto al santuario di Millefleur, dove hanno trovato la bottiglia di etere fosforato e l’olio di trementina. Chi sapeva del biglietto, forse anche il suo autore, deve aver ragionato che certo sarebbe stata immediatamente preparata una risposta. Quella persona ha pensato che, poiché la risposta sarebbe stata subito scritta, avrebbero usato la busta che si trovava più in alto nella pila. La persona conosceva le qualità letali dell’etere fosforato in quantità e ha pennellato la linguetta gommata della busta con diversi granelli di veleno. Il ragionamento è valido, e infatti Agnes ha preso la busta più in alto con la sua linguetta avvelenata e l’ha portata a Miss Blaisdell. No, non c’era possibilità di sfuggire a questa trappola. Era stato un ragionamento intelligente e rapido.”

“Ma,” obiettai, “cosa c’entra l’olio di trementina?”

“Solo per rimuovere le tracce del veleno. Penso che ne capirai meglio il motivo quando ti spiegherò tutto.”

Kennedy non disse altro, ma ero soddisfatto perché capivo che il mio amico era pronto a sottoporre al test finale le sue teorie, quali che fossero. Passò il resto del giorno all’ospedale con il dottor Barron, regolando un’apparecchiatura molto delicata in una speciale stanza del seminterrato. Avevo visto quell’affare, ma non avevo idea di cosa fosse o quale potesse esserne l’utilizzo.

Vicino al muro c’era una sorta di stereoscopio che proiettava un raggio di luce attraverso un tubo a circa un metro di distanza e ho sentito che lo chiamavano galvanometro. Davanti a questo raggio girava una ruota con cinque sfere, controllata da un cronometro che poteva sbagliare al massimo di un secondo al giorno. Tra i poli del galvanometro era teso un sottile filo di quarzo rivestito d’argento, largo solo un millesimo di millimetro, così tenue da non poter essere visto se non con una luce intensa. Era talmente sottile da sembrare l’opera di un ragno microscopico.

Un metro più in là c’era una macchina fotografica dotata di pellicola movibile ricoperta da materiale sensibile, con passo regolato da un piccolo volano. Il raggio di luce puntato sul filo del galvanometro si imprimeva sulla pellicola fotografica, intercettato dalle cinque sfere che compivano un giro esattamente in un secondo, segnando così un’immagine in precisissimi quinti di secondo. Le vibrazioni del microscopico filo di quarzo venivano poi ingrandite sulla pellicola sensibile da una lente e producevano una lunga linea a zig-zag. Il tutto era schermato da un coperchio di legno che non permetteva alla luce di uscire, se non per il raggio sottile. La pellicola ruotava lentamente attraverso il campo, la sua velocità regolata dal volano e il tutto mosso da un motore elettrico.

Fui piuttosto sorpreso quando Kennedy mi disse che i test che stava preparando non si sarebbero affatto tenuti all’ospedale, ma nel suo laboratorio, il luogo di tanti suoi trionfi scientifici sui criminali più astuti.

Mentre lui e il dottor Barron stavano ancora giocando con la macchina, mi affidò l’arduo incarico di radunare tutti coloro che erano stati al Novella nel momento importante del caso.

La mia prima visita fu a Hugh Dayton, che trovai nel suo appartamento da scapolo in Madison Avenue e pareva mi stesse proprio aspettando. Uno degli uomini di O’Connor lo aveva già avvertito che ogni tentativo di evitare una chiamata quando necessario non sarebbe stata una buona idea. Lo avevano seguito dopo aver scoperto che era stato cliente di Millefleur e che quel fatidico pomeriggio era stato al Novella. Sembrava aver capito che una fuga fosse impossibile. Dayton era uno di quei giovani alti, spalle curve e atteggiamento inglese attentamente studiato, che verso sera si vedono a decine sulla Fifth Avenue. Il volto, che sul palcoscenico era deciso e attraente, non era affatto bello visto da vicino. Mostrava infatti segni ben evidenti degli eccessi, sia fisici che morali e la mano non era ferma. Tuttavia, aveva una personalità interessante, se non proprio coinvolgente.

Mi fu anche affidato il compito di consegnare una nota a Burke Collins nel suo ufficio. Sapevo che il contenuto era una richiesta formulata in modo da celare una convocazione. Infatti, si diceva che la signora Collins sarebbe stata di grande importanza per giungere alla verità e che se mai a lui servisse una motivazione per giustificare anche la sua presenza, gli suggerivano di dire che era lì come avvocato per proteggere gli interessi della moglie. Kennedy aveva aggiunto che avrei potuto dirgli a voce che lo scandalo sarebbe stato trattato nel modo più delicato possibile, in modo da non urtare i sentimenti di entrambi. Quando questa missione fu compiuta mi sentii piuttosto sollevato e infatti mi ero aspettato che Collins si sarebbe opposto violentemente.

Coloro che si riunirono quella notte, seduti nelle piccole poltrone che gli studenti di Kennedy usavano durante le lezioni, includevano quasi tutti coloro che potevano chiarire i fatti accaduti al Novella. Il professore e la signora Millefleur furono condotti lì dal carcere, dove sia O’Connor che il dottor Leslie avevano insistito per rinchiuderli. Millefleur si lamentava continuamente del destino che sarebbe toccato al Novella e la signora cominciava a mostrare segni della mancanza delle costanti cure di bellezza di cui predicava ai suoi clienti la grande importanza. Agnes si era ripresa abbastanza da poter essere presente, anche se notai che evitava i Millefleur e sedeva il più lontano possibile da loro.

Burke Collins e la signora Collins arrivarono assieme. Mi aspettavo che tra di loro ci fosse grande freddezza, se non addirittura inimicizia. Non erano esattamente cordiali, ma al momento sembrava che in qualche modo un buon amico avrebbe anche potuto lavorare per una riconciliazione, essendo stata rimossa la causa del loro allontanarsi. Hugh Dayton entrò gigioneggiando: la sua vivacità avrebbe dovuto per lo meno essere più controllata. Gli passai accanto una volta sola, ma l’odore che colpì il mio senso olfattivo mi fece chiaramente capire che l’uomo si era dato forza con uno stimolante durante il tragitto dall’appartamento al laboratorio. Naturalmente erano lì anche O’Connor e il dottor Leslie, sistemati in secondo piano.

Era una riunione silenziosa e Kennedy non tentò di alleviare la tensione, nemmeno con frasi di circostanza, mentre avvolgeva gli avambracci degli astanti con panni imbevuti in una soluzione salina. Su questi mise piccole piastre di alpacca a cui aveva attaccato dei fili che finivano dietro a uno schermo. Finalmente, fu pronto a iniziare.

“La lunga storia della scienza,” cominciò emergendo da dietro lo schermo, “è piena di fenomeni, notati inizialmente solo per la loro bellezza o il mistero, che in seguito si sono rivelati di grande valore pratico per l’umanità. Un recente esempio è il sorprendente fenomeno della luminescenza. Il fosforo, scoperto secoli fa, era al tempo solo una curiosità. Ora viene usato per molte attività pratiche e uno degli utilizzi più attuali è in medicina. Il fosforo è un costituente del corpo e secondo molti medici, la sua mancanza causa molti mali, che la sua presenza, invece, cura. Ma è un farmaco virulento e tossico e nessun medico tranne uno che conosca perfettamente la materia, dovrebbe provare a maneggiarlo. Chiunque abbia fatto pratica d’utilizzo di fosforo al Novella, non conosceva la materia, altrimenti l’avrebbe usato in pillole e non in forma di liquido nauseabondo. In questo caso, però, non abbiamo a che fare con l’etere fosforizzato in forma di medicina. Abbiamo a che fare con la sostanza usata come veleno, un veleno somministrato da un demone.”

Craig urlò la parola in modo che avesse pieno effetto sul suo piccolo pubblico. Poi fece una pausa, abbassò la voce e riprese cambiando argomento.

“Lassù nell’ospedale di Washington Heights,” continuò, “c’è un’apparecchiatura che registra i segreti del cuore umano. Ciò che ho detto non è una figura retorica, ma un freddo dato scientifico. Questa macchina registra ogni variazione delle pulsazioni del cuore con una tale squisita precisione da fornire al dottor Barron, che adesso è lassù, non solo un diagramma delle pulsazioni dell’organo di ognuno di voi che siete seduti qui nel mio laboratorio a un miglio di distanza, ma una sorta di film delle emozioni con cui ogni cuore si muove, in questo momento. Non solo il dottor Barron può così diagnosticare malattie, ma può rilevare amore, odio, paura, gioia, rabbia e rimorso. Tale macchina è conosciuta come il ‘galvanometro a corda’ di Einthoven, inventato dal famoso fisiologo olandese di Leida.”

Ci fu un movimento notevole nel nostro piccolo pubblico al pensiero che i piccoli fili che correvano fin dietro allo schermo dal braccio di ciascuno di noi fossero collegati a questo strumento inquietante pur così lontano.

“Tutto avviene grazie alla corrente elettrica generata dal cuore stesso,” continuò Kennedy, per sottolineare vieppiù quella nuova e sorprendente idea. “Si tratta di una corrente tra le più deboli conosciute dalla scienza, perché la dinamo che la genera non è una ponderosa macchina di filo di rame e pezzi d’acciaio. Ma è il cuore stesso. Il cuore invia attraverso il filo il suo stesso incriminante registro alla macchina che lo trascrive. È qualcosa che risale a Galvani, che fu il primo a osservare e studiare l’elettricità animale. Il cuore produce solo un tre millesimo di volt a ogni battito. Ci vorrebbe l’energia di oltre duecentomila uomini solo per accendere una di queste lampade a incandescenza, due milioni o più individui per far funzionare un tram. Eppure, solo quella minima corrente è sufficiente a far oscillare il sottilissimo filo di quarzo sospeso in alto a questa macchina che noi chiamiamo la ‘stazione del cuore’. Questo apparecchio è talmente sensibile che le tracce del polso prodotte dallo sfigmografo, che altre volte ho usato, appaiono qui goffe e imprecise.”

Fece una nuova pausa, come se volesse imprimere profondamente nella mente di tutti il disagio derivato da quella informazione.

“Come ho detto, la corrente passa su un filo da ciascuno di voi a turno e fa vibrare nell’apparecchio un sottile filo di quarzo all’unisono con ogni cuore. È uno dei meccanismi più delicati mai realizzati, accanto al quale la più piccola vite di un orologio è cosa grossolana. Ognuno di voi è sottoposto a turno a questa prova. Oltre a ciò, la registrazione, qui sopra, mostra non solo i battiti del cuore ma le onde successive di emozione che modificano la forma di quei battiti. Ogni individuo normale presenta quello che noi chiamiamo un ‘elettrocardiogramma’, che segue un certo andamento. La pellicola fotografica su cui viene registrato il ritmo è regolata in modo che possa leggerlo il dottor Barron dalla stazione del cuore. Ci sono cinque onde per ogni battito cardiaco, che egli contrassegna sulla pellicola con le lettere P, Q, R, S e T, due sotto e tre sopra la linea di base. Si è scoperto che tutte rappresentano una contrazione di una certa parte del cuore. Qualsiasi cambiamento dell’altezza, larghezza o tempo di una di queste linee, dimostra che c’è qualche difetto o cambiamento nella contrazione di quella parte del cuore. Così il dottor Barron, che ha studiato attentamente l’argomento, può riconoscere infallibilmente non solo la malattia ma anche l’emozione.”

A quel punto nessuno osava più guardare il vicino, come se tutti stessero cercando invano di controllare il proprio battito cardiaco.

“Adesso,” concluse Kennedy solennemente, come se volesse strappare l’ultimo segreto dal cuore di qualcuno in quella stanza che batteva selvaggiamente, “sono convinto che la persona che aveva accesso alla sala tecnica di Novella fosse una persona isterica, che ben conosceva l’etere fosforato, oltre ad altri trattamenti. Questa persona conosceva bene la signorina Blaisdell, l’aveva vista lì, sapeva che lo scopo della signorina Blaisdell era quello di frustrare le sue speranze più care. Per cui le scrisse il biglietto e, sapendo che la signorina avrebbe chiesto carta e busta per rispondere, avvelenò la linguetta della busta. Il fosforo è un rimedio per l’isteria, le emozioni irritanti, la mancanza di empatia, le delusioni nascoste, ma la quantità di fosforo che questa persona ha versato sulla linguetta non risponde a tale utilizzo. Chiunque fosse, al primo posto nei pensieri di quella persona non c’era la vita, ma la morte e una morte orribile.”

Agnes urlò. “L’ho visto che prendeva qualcosa e glielo spalmava sulle labbra e la luminosità è scomparsa. Io… io non volevo dire nulla, ma, Dio mi aiuti, devo farlo.”

“Chi ha visto?” domandò Kennedy, fissandola negli occhi come aveva fatto quando l’aveva guarita dall’afasia.

“Lui… Millefleur… Miller,” singhiozzò, ritraendosi come se quella confessione la spaventasse.

“Sì,” aggiunse Kennedy con calma, “dopo averlo scoperto Miller ha cercato di rimuovere le tracce del veleno, per proteggere se stesso e la reputazione del Novella.”

Suonò il telefono. Craig prese la cornetta.

“Sì, Barron, sono Kennedy. Ha ricevuto correttamente gli impulsi? Bene. E ha avuto il tempo di studiare le registrazioni? Sì? Chi? Il numero sette? Va bene. Vi vedrò molto presto e controlleremo insieme le registrazioni. Arrivederci.”

“Una parola ancora,” continuò, rivolgendosi ora a noi. “Il cuore normale traccia i suoi battiti con un ritmo regolare. Il cuore malato o sovraccarico batte in gradazioni di irregolarità che variano a seconda del disturbo che lo affligge, sia organico che emotivo. Un esperto come Barron può dire cosa significa ogni onda, proprio come può dire cosa significano le linee di uno spettro luminoso. Può vedere l’invisibile, udire l’inaudibile, percepire l’impalpabile, con precisione matematica. Barron ora ha letto gli elettrocardiogrammi. Ognuno è un’immagine del battito del cuore che lo ha generato, e ogni piccola variazione ha per lui un significato. Ogni passione, ogni emozione, ogni malattia, è registrata con una verità indiscutibile. La persona con l’omicidio nel cuore non può nasconderlo al galvanometro a corda, come pure la persona che ha scritto il falso biglietto in cui anche le linee delle lettere tradiscono un cuore malato. Il dottore mi dice che quella persona era il numero… “

Il salone di bellezza

“Sì,” gridò, premendo le mani sul petto…

La signora Collins si sollevò eccitatissima e ora era in piedi davanti a noi con gli occhi fiammeggianti. “Sì,” gridò, premendo le mani sul petto come se stesse per scoppiare e rivelare il segreto prima che le sue labbra potessero pronunciare le parole, “sì, l’ho uccisa, e lo rifarei fino alla fine del mondo se non ci fossi riuscita la prima volta. Lei era lì, la donna che mi aveva rubato ciò che mi era più caro della vita stessa. Sì, ho scritto il biglietto, ho avvelenato la busta. L’ho uccisa.”

Allora scaturì tutto l’intenso odio che aveva provato per quell’altra donna nei giorni in cui aveva invano cercato di eguagliarne la bellezza e riconquistare l’amore del marito. Era meravigliosa, magnifica, nella sua furia. Era la passione in persona; era il destino, il premio.

Collins guardò la moglie e anche lui percepì l’incantesimo. Non era stato un crimine quello che lei aveva commesso; era stato un semplice atto di giustizia.

Per un momento la donna restò in piedi, silenziosa, a fronteggiare Kennedy. Poi il colore svanì lentamente dalle sue guance. Vacillò.

Collins la afferrò e le diede un bacio, quel bacio che lei aveva desiderato per anni e per cui si era sforzata tanto. Non disse nulla e si limitò a contemplare il perdono che lui riversava su di lei mentre la stringeva.

“Davanti a Dio,” lo sentii sussurrarle nell’orecchio, “con tutto il mio potere da avvocato ti libererò da questa colpa.”

Dolcemente il dottor Leslie lo spostò da una parte e le sentì il polso, mentre lei cadeva senza forze sull’unica poltrona comoda del laboratorio.

“O’Connor,” disse dopo un po’, “tutte le prove che abbiamo pendono da un filo invisibile di quarzo a un miglio di distanza. Se il professor Kennedy è d’accordo, dimentichiamo ciò che è successo qui stasera. Convincerò la giuria perché emetta un verdetto di suicidio. Collins, si prenda cura di lei.” Si chinò e sussurrò in modo che lei non potesse sentire. “Altrimenti non credo possa durare sei settimane.”

Non potei fare a meno di sentirmi profondamente commosso mentre i Collins, appena riuniti, lasciavano insieme il laboratorio. Anche il duro vicesceriffo, O’Connor pareva commosso e, in quel caso, fece ciò che gli sembrava il suo dovere superiore con una delicatezza di cui non lo avrei creduto capace. A prescindere dalle questioni etiche del caso, fece in modo che a decidere fosse solo la giuria del coroner, il dottor Leslie.

Burke Collins stava già facendo i preparativi per la cura di sua moglie in modo che potesse avere la migliore assistenza medica possibile per prolungarle la vita di quelle poche settimane o mesi, prima che la natura esigesse la pena che la legge le perdonava.

“Ma questa apparecchiatura è davvero magnifica,” osservai, in piedi davanti ai collegamenti al galvanometro a stringa, quando fu tutto finito. “Pensa un po’, se questo caso fosse finito nelle mani di uno dei detective all’antica…”

“Odio fare le pulci… sui miei casi,” mi interruppe bruscamente Kennedy. “Domani sarà il momento di chiarire questo pasticcio. Nel frattempo, proviamo a dimenticarci di tutto questo.”

Mise il cappello con decisione e uscì di gran passo dal laboratorio, avviandosi attraverso il campus alla luce della luna, fino all’avenue dove l’unico suono era il rumoroso sferragliare di un tram di passaggio.

Non so per quanto abbiamo camminato. Ma so che per distendere davvero i nervi dopo un lungo periodo di forte stress, non c’è niente di meglio che l’esercizio fisico. Siamo dunque entrati nel nostro palazzo, svegliando il sonnolento portiere e siamo saliti.

“Immagino che la gente pensi che io non riposi mai,” osservò Kennedy, evitando accuratamente qualsiasi riferimento agli eventi eccitanti degli ultimi due giorni. “Ma lo faccio. Devo farlo come tutti. Quando lavoro duramente su un caso… be’, ho sempre una reazione violenta su quel che succede… lavoro in più, ma di altro tipo. Per qualcuno si tratta di luci bianche, vini rossi e malinconia post-azione. Ma, quando arrivo a quel punto, trovo che il miglior antidoto sia qualcosa che faccia sparire l’ultimo caso dalla mia mente, preparandomi al prossimo evento imprevisto.”

Era affondato in una poltrona e stava riflettendo sui suoi piani per il giorno dopo.

“Al momento devo recuperare non facendo proprio nulla,” e si stava spogliando lentamente. “Quella passeggiata era proprio quel che serviva. Quando mi tornerà la febbre del lavoro, ti chiamerò. Non ti devi perdere nulla, Walter.”

Come il famoso Finnegan, però, era di nuovo in piedi la mattina seguente. Questa volta mi disse cosa stava facendo con un biglietto lasciato sul tavolo della biblioteca, anche se mi sarebbe piaciuto accompagnarlo, “Oggi studio l’East Side. Resterò in contatto con te. Craig.” Il compito quotidiano che avevo di trascrivere i miei appunti era completato e pensai di passare allo Star per far sapere all’editore come stesse progredendo il mio lavoro.

Non ero ancora entrato, che il ragazzo d’ufficio mi ha rifilò un messaggio. Questo ancora prima che mi sedessi alla scrivania. Era di Kennedy dal laboratorio e il timbro con l’ora di arrivo dimostrava che doveva essere stato ricevuto solo pochi minuti prima che io arrivassi.

“Vieni alla Grand Central,” diceva, “e immediatamente.”

A quel punto non sono più entrato in ufficio. Mi sono voltato, ho preso l’ascensore e mi sono avviato il più velocemente possibile verso la nuova stazione della metropolitana.

“Dove siamo diretti?” domandai ansimante, quando Craig mi incontrò all’ingresso da cui aveva ben dedotto che sarei arrivato. “Sulla costa o in direzione est?”

“Woodrock,” rispose in fretta, prendendomi per il braccio e trascinandomi giù per la rampa verso il treno che stava proprio partendo in quel momento in direzione di quella elegante periferia.

“Ebbene,” ho chiesto con impazienza, mentre il treno si muoveva. “Perché tutto questo segreto?”

“Questo pomeriggio ho avuto una visita,” iniziò, passando lo sguardo sugli altri passeggeri per vedere se qualcuno ci osservasse. “Lei sta tornando su questo stesso treno. Non devo però contattarla alla stazione, ma tu e io dobbiamo camminare fino alla fine del marciapiede ed entrare in una limousine con questo numero.”

Estrasse una carta da visita sul retro della quale era scritto un numero di sei cifre. Mentre mi mostrava la carta ho guardato meccanicamente il nome. Craig osservò attentamente l’espressione sul mio volto, “Miss Yvonne Brixton.”

“Da quando ti hanno ammesso nella bella società?” ho ansimato, fissando ancora il nome della figlia del banchiere John Brixton, il miliardario.

“È venuta lei a dirmi che suo padre è in uno stato d’assedio, per così dire, virtuale, in casa sua,” mi ha spiegato Kennedy sottovoce, “e pare che lei sia l’unica persona di cui lui sente di potersi fidare per farmi avere un messaggio. In pratica lo spiano per tutto ciò che dice o che fa; non può neanche telefonare senza che sappiano delle sue conversazioni.”

“Assedio?” ho ripetuto incredulo. “Impossibile. Solo questa mattina stavo leggendo delle sue trattative con un sindacato di banchieri stranieri del sud-est europeo per un prestito di dieci milioni di dollari al fine di alleviare la penuria monetaria di quelle nazioni. Sicuramente ci deve essere un errore in tutto ciò. Infatti, se ben ricordo, uno dei banchieri stranieri che sta cercando di interessarlo è quel Conte Wachtmann che, secondo tutti, è fidanzato con Miss Brixton e soggiorna nella casa di Woodrock. Craig, sei sicuro che non ci sia qualcuno che ti prenda in giro?”

“Leggi qui,” rispose laconico, consegnandomi un pezzo di carta sottile di quella spesso usata per la corrispondenza estera. “Se ho capito bene, lettere come questa arrivano al signor Brixton ogni giorno.”

La lettera era vergata in una scrittura quasi illeggibile:

JOHN BRIXTON, Woodrock, New York.
I dollari americani non devono mettere in pericolo la pace europea. Ritieniti avvisato. In nome della libertà e del progresso abbiamo alzato lo stendardo del conflitto senza tregua né quartiere contro la reazione. Se tu e i banchieri americani associati accetterete questi titoli non vivrete abbastanza a lungo per ricevere il primo pagamento degli interessi.
LA FRATELLANZA ROSSA DEI BALCANI.

Alzai lo sguardo interrogativo. “Che cos’è è la Fratellanza Rossa?” chiesi.

“Per quanto capisco,” rispose Kennedy, “dovrebbe essere una sorta di società segreta internazionale. Credo che predichi il vangelo del terrore e della violenza per la causa della libertà e dell’unione di alcuni popoli del sud-est europeo. Comunque, custodisce bene i suoi segreti. L’identità dei membri è un mistero e nessuno sa da dove vengano i suoi fondi, che si dice siano immensi.”

“E operano così segretamente che Brixton non può fidarsi di nessuno di quelli che lo circondano?” chiesi.

“Credo che sia malato,” spiegò Craig. “A ogni modo, è chiaro che sospetta di quasi tutti quelli che ha intorno tranne la figlia. Però, per quanto ho potuto capire, non sospetta di Wachtmann e secondo miss Brixton ci sarebbero dei nemici del conte in azione. Suo padre è un uomo riservato. Anche a lei, ha affidato il solo messaggio di volermi vedere immediatamente.”

A Woodrock scendemmo dal treno in tutta calma. Miss Brixton, una ragazza alta, dai capelli scuri e atletica appena uscita dal college, era già scesa e quando la sua auto usciva dal marciapiede della stazione, noi ci avviavamo tranquillamente lungo il binario per entrare in un’altra auto segnata con il numero che la donna aveva dato a Kennedy.

Arrivati alla casa capimmo che ci stavano aspettando. Appena ammessi oltre il portico, fummo condotti lungo un corridoio fino alla biblioteca sul fianco della casa. Dalla biblioteca entrammo in un’altra stanza, poi scendemmo una rampa di scale che arrivava in un cortile all’aperto, sotto a un terrazzo sul fronte della casa, poco dopo scendemmo tre gradini.

Scesi i tre gradini ci trovammo davanti a una grande porta di ferro e acciaio con pesanti chiavistelli e una serratura a combinazione del tipo che si trova di solito solo nelle casseforti delle banche.

La porta si aprì e scendemmo altre scale, continuando per un po’ in direzione sul fianco della casa. Poi girammo ad angolo retto, verso la parte centrale dell’edificio, ma più in basso. Dovevamo essere, ho dedotto in seguito, al di sotto del cortile. Alcuni passi più in là giungemmo in una stanza a volta di discrete dimensioni.

 

Traduzione
© 2024 by Mario Luca Moretti
© 2024 by Franco Giambalvo
L’immagine di copertina è stata generata con AI Microsoft Designer
L’immagine a centro articolo con AI Firefly Adobe.

 

Arthur B. Reeve: Kennedy & Jameson
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nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"