SpettriQuesti ‘Spettri’ me li sono trovati tra le vaste e disordinate pieghe della mia biblioteca di libri elettronici. Come ci siano arrivati, devo confessare che non lo ricordo.

Sono un compratore distratto e quasi compulsivo per quanto riguarda i libri e chissà, forse il titolo, mi ha a suo tempo orientato all’acquisto di questo romanzo.

Per altrettanto ignote ragioni, il libro è rimasto lì, in paziente attesa, fino a quando mi sono deciso a dare un’occhiata a quel che avevo in backlog. E forse non è una cosa del tutto casuale che ciò sia capitato proprio nel periodo in cui si svolgono le vicende del libro: intorno a Natale.

Il nome dell’autrice mi ha subito colpito: Franci Conforti. Avevo appena letto il suo Spine, premio Urania 2022. Lo avevo trovato ben scritto, ma non particolarmente memorabile.

Dopo pochissime pagine, mi domando se questa autrice può davvero essere la stessa che ha prodotto Spine! Non mi sembra possibile… I due libri, per non dire i due generi, sono del tutto diversi.

Gli spettri e la cugina Matilde sono un tutto tondo in una storia davvero ben concepita, ricca di idee e di bellissime proposte.

Si svolge tutto a Milano e senza alcuna forzatura. La storia è di tipo fantastico e fantasmatico, viene voglia di leggere tutto senza mai interrompersi.

La protagonista è assente per quasi tutto il periodo narrato. E anche questo è un tocco davvero originale: si chiama Greta e quasi subito deve andare in America per lavoro, da dove seguirà gran parte delle avventure via Skype.

I fatti sono semplici: Greta abita in quello che fu l’appartamento di Dino Buzzati, situato intorno a via Canonica. Vive con due piccoli cani quasi identici e proprio, o soprattutto per curare questi animali chiede alla cugina Matilde di trasferirsi a casa sua per il periodo in cui Greta sarà all’estero.

Franci: Per quanto riguarda Spettri è un libro a cui sono molto affezionata perché contiene, in modo discreto, la cifratura dei miei lavori successivi: siamo liberi d’immaginare. Immaginare non è credere. Aggiungo, anche se forse lo sai già, che vivo proprio nella casa che fu di Buzzati e in Spettri c’è molta più realtà di quanto si possa pensare a prima vista.

Ah questa sì che è un’informazione! Ma vediamo come si sono svolti i fatti…

All’inizio della storia, dentro all’appartamento ci saranno due donne davvero notevoli per vari aspetti: la cugina Matilde e l’amica di Greta che è russa: Anastasia Sokolova, detta Stasia. Entrambe bellissime, e un po’ folli. Due personaggi fantasticamente scomposti e rimontati dall’abilità di Franci Conforti.

Dovendo fare un film, Franci, chi vorresti chiamare a interpretare le due? Per Matilde io ci vedo Chiara Francini, non so perché…

Franci.: Oh sì, la Francini potrebbe funzionare e sarebbe divertente vederla nei panni di una bionda sopra le righe. Del resto credo che le storie, e soprattutto i personaggi, nascano dalla collaborazione tra scrittore e lettore. I libri sono solo un potenziale inespresso e anche quando vengono letti non sono che una traccia, più o meno definita. Nulla è tanto sottovalutato quanto il lavoro di un lettore.
Comunque, tornando a Matilde, posso raccontarti un fatterello. Stavo finendo di rileggerlo quando, vagando in rete, m’imbattei nella foto di una tipa: era lei. Ogni particolare coincideva in modo impressionante. Credo di aver perso parecchie ore (forse giorni) per cercare il suo nome o altre immagini. Niente. C’era quell’unico scatto in bassa definizione, per pubblicizzare un’acconciatura. Mi sembrava impossibile che non ci fossero altre tracce e, nella discarica dei pensieri, ci trovai anche il timore che fosse morta, o che non fosse mai esistita se non come figlia di photoshop. Forse il libro che stavo finendo era più importate per loro, per i morti e i mai-nati, che per i vivi. Lo stesso Buzzati, credo, avrebbe preferito esistere ancora in un libro che venire semplicemente citato in molte critiche letterarie.

Vabbè, poi studieremo quali attrici chiamare. Del resto, ci sono specialisti addetti proprio alla selezione del cast. Ciò che importa adesso ai nostri lettori è che tu evidenzi una presenza importante nella storia. Cosa si muove in questa casa che fu di Buzzati? Una porzione del pavimento della sala si presenta diversa da tutto il resto: “Stasia […] Osservò con attenzione la porzione di pavimento che le cagnette evitavano, poi la riguardò di taglio, stringendo gli occhi. […] – [Le cagnette] non passano da lì, insistette Stasia.”

Qualcosa abitava là sotto? Pare proprio di sì. Che cosa?

La partenza di Greta scatena una serie di fatti in parte ridicoli e in buona parte spaventosi. Interviene anche un certo Carlo, il cui fratello gemello è una persona ammodo, mentre lui conversa con gli spiriti ed è considerato folle, o per lo meno un mostro da baraccone.

Poi c’è anche un vecchio telefono a disco usato come oggetto di arredamento, che tuttavia si collega con la redazione del Corriere della Sera, ma quella degli anni Trenta. È così che qualche volta sarà possibile parlare direttamente addirittura con Dino Buzzati.

Dino sa benissimo di essere morto, ma ci sta bene nel suo Corriere della Sera fantasmatico e non intenderebbe uscirne.

Ma sotto o dentro il pavimento di casa di Greta che cosa c’è?

Perché sono tutti convinti che il fatto abbia a che fare con Dino Buzzati a cui Matilde ha già parlato al telefono?

La parte finale del romanzo è fantasticamente ricca di avventura e di inseguimenti che lasciano il fiato corto, come si addice ai migliori romanzi d’avventura.

Franci, che tipo di scrittura ritieni adatta al tuo carattere?

Franci: Ah ah, bella domanda e molto complessa. Cos’è la scrittura? Quanti tipi di scrittura ci sono? Che relazione c’è tra carattere e la scrittura? E perché diavolo scrivo? Servirebbe un libro, ma provo a risponderti cercando di non banalizzare troppo. Sono una giornalista, vengo dall’editoria, ci sono dentro da quando ho 14 anni, non faccio parte di quelli che s’illudono, non venero la letteratura: la amo. Venerare e amare sono due cose molto diverse, proprio come si diceva prima per immaginare e credere. E il mio è un amore fisico, semplice, passionale che mi porta a una confidenza e un’intimità che ha ben poco d’intellettuale. Forse è per questo che la scrittura per me è uno strumento che si deve piegare alle necessità dell’opera piuttosto che a mostrare chi sono. Lo so, commercialmente non è furbo, è il nome dell’autore che vende, ma come dicevo ci credo poco al business editoriale e scrivo per altri motivi 🙂

Ma, giusto! Scrivere non per se stessi, ma per la storia che sta venendo fuori. Che diresti se facessimo questo film sul fu Buzzati, un po’ in bianco nero, in po’ a colori. Anzi, non ti piacerebbe riprendere in qualche modo l’argomento con dei nuovi libri? Voglio dire, anche solo per una serie di racconti di fantasmi, magari.

Franci: Spettri è nato per essere il primo di una serie e, nel cassetto, ho già un paio di embrioni a crescita lenta. Lenta perché non mi piacere ripetermi. Il tempo di chi legge è prezioso, ci tengo a dare sempre qualcosa di nuovo. Ma Matilde e Anastasia hanno tutte le intenzioni di farsi sentire ancora. Quindi, visto che siamo in vena di sognare, perché limitarsi a un film quando posso immaginare molte stagioni di una serie televisiva? Una piccola anticipazione? Il fu Buzzati ora dirige un giornale…

Ah, ma questa è una bellissima notizia! Anche se, parlando con Franco Forte, parecchio tempo fa, ho avuto una sgradevole sensazione: secondo lui su Urania possono trovare posto solo racconti di fantascienza dura e pura. Per esempio, i fantasmi a suo vedere non hanno nessun senso per il lettore di Urania. Immagino che sia lo stesso per molte altre cose di fantasia. Per quel che riguarda il tuo lavoro dello scrivere, che effetto ti fanno queste limitazioni?

Franci: Sono problemi che mi non mi pongo. Ho scritto Eden che, credimi, di fantascientifico ha ben poco, anche se può essere classificato come l’ucronia originaria. Dietro un’avventura che scorre via facile, adatta a tutti, ho nascosto temi complessi: Dio, la morte, il paradiso terrestre… eppure è arrivato in finale al premio Urania e poi ha vinto il premio Italia. E posso aggiungere che storie con fantasmi, anche se con un tocco digitale, sono presenti in numerose collane Urania-Mondadori. Forse l’ostacolo maggiore non è nelle redazioni, ma nell’atteggiamento mentale dei lettori più conservatori. E non è una colpa, è solo un dato di fatto dettato dai gusti. Cercare di compiacere chi ha letto e rilegge i capolavori di fantascienza per me è tempo perso. È come cercare di sedurre chi è innamorato di un altro. Li lascio volentieri alla loro felicità. Fa parte della natura umana vivere in un passato migliore del presente e lo fanno in molti. Non è però il mio caso. Fatico già col presente e, di mia indole, vivo di futuro.

Non vorrei insistere, ma direi che il mondo che hai usato per Spine, è molto, ma molto diverso. Mi pare di vedere esattamente questo, essendo su Urania pensavi ci volesse molta più fantascienza?

Franci: Sì, credo che il Premio Urania sia dedicato alla fantascienza, se lo avessi vinto con Eden forse mi sarei sentita in imbarazzo. Del resto, lo avevo perso con Stormachine, che era decisamente molto più hard sci-fi. Così per Spine ho fatto una via di mezzo, o meglio, ho tenuto la stessa linea dei tre racconti che lo avevano preceduto, due dei quali con lo stesso protagonista.

Ah! Esattamente di che racconti si tratta?

Franci: Te li l’elenco in ordine narrativo e non di pubblicazione. Il primo è “Giochi di Luce”. È ambientato nella valle del Niger più o meno ai giorni nostri e racconta della nascita delle prime case-albero. Lo trovi nella prima antologia solarpunk pubblicata da Delos e curata da Ricciardiello. Gli altri due racconti si collocano un paio d’anni prima dei fatti narrati nel romanzo e il protagonista è sempre il problematico detective Joe. Uno è stato pubblicato nella prima antologia Fanta-Scienza, curata da Passariello, sempre per Delos, con il titolo: “Il Giorno della Doppia Elica”. L’altro, “Come Concime”, è uscito nell’antologia Stranimondi curata da Forte per Mondadori.

Quindi a te piace la fantascienza, diciamo, del tipo fanta, più scienza?

Franci: Sì, a me la fantascienza piace, mi ci trovo a mio agio, mi diverto a creare ambientazioni nuove, che non ho mai incontrato prima. Le uso come palcoscenico per mettere in atto le idee, le atmosfere e le emozioni che mi va di sperimentare assieme a chi legge. Spine, nelle sue componenti sociali, è una chiara metafora, o se vuoi un’iperbole, della situazione attuale. Le modificazioni ambientali servono a mettere alla prova i personaggi e i loro background culturali. In questo senso la fantascienza offre grande libertà d’espressione ma richiede, oltre a una buona capacità di sospensione dell’incredulità, un grande sforzo d’immaginazione. Puoi farcela solo se il lettore rema con te. E per farlo deve volerlo. Ma non è facile e, come sappiamo, questo scoglio tiene lontano il grande pubblico. Amano i film di fantascienza, ma con i libri non ce la fanno.

Ultimamente molti scrittori italiani di fantascienza (forse te ne sei accorta) non sono esattamente nelle mie corde. Non so perché, ma sembra che la distopia sia qualcosa che deve assolutamente essere usata. Poi, c’è il politically correct. Poi c’è la necessità di un messaggio. La parità uomo, donna, transgender, alieni e chissà cosa. Tutte cose che, volendo per forza stare al passo, a mio avviso sono in qualche modo limitanti per la fantasia.

Al di là del fatto che il rispetto per tutti è assolutamente necessario, tu come ti poni di fronte a questi nuovi cliché?

Franci: Come dovresti aver capito sono molto distante dalle posizioni e dalle reazioni che vanno di moda. Provo a essere altro. Un esempio: evito di usare i romanzi per imprimere una pressione sociale o per far propaganda ideologica, anche se a molti lettori piace e si emozionano nel sentir esaltare quello per cui tifano. Nel limite delle mie capacità cerco di non farlo. Questo non significa che eviti argomenti politici scottanti per nascondermi in tematiche più intimistiche. Significa che cerco di mettere in scena tutte le parti e, credimi, non è una sfida facile e nemmeno una via comoda per strappare l’applauso o la recensione da tifoseria. Siamo così abituati a vivere in un mondo spaccato in due che chiunque tenti di andare oltre viene visto come appartenente alla fazione opposta. Lo so e l’ho messo sul piatto della bilancia quando ho fatto la scelta di andare per la mia strada.

Ho visto che hai scritto parecchio. Cinque romanzi, Spettri e altre vittime di mia cugina Matilde, Delos Books, Carnivori, Kipple Officina Libraria, Stormachine, Delos Digital, Eden, Delos Digital, 2021, Spine, Urania n.1707. più moltissimi racconti, ovviamente. Vedo che giri quasi esclusivamente tra Silvio Sosio e Franco Forte come editori. Tranne per quel che riguarda Kipple. Che cos’è Kipple?

Franci: Il motivo è banale: mando i romanzi ai concorsi e quando vincono li pubblicano. È stato così per Spettri e per Eden che hanno vinto il Premio Odissea, per Carnivori che ha vinto il Premio Kipple e per Spine che ha vinto l’Urania. Stomachine, che era in finale all’Urania, è stato poi pubblicato da Delos e ha vinto il Vegetti. Ciò non toglie che reputi Sosio/Forte/Delos ottimi editori. Kipple da un punto di vista editoriale è meno strutturata, ma Kremo e la sua banda sono una forza della natura.

Ho molto apprezzato la tua presentazione su Spettri, dove parlando di te in terza persona dici: “Ha sulle spalle alcuni fallimenti e qualche successo; nel cuore però tiene (al caldo) una passione: usare gli uomini e le donne che ha conosciuto per dar vita alle sue storie fantastiche. È per queste persone che scrive, ma scrive anche, al buio, per chi non ha ancora incontrato. E cerca di dare a tutti qualcosa in cambio di quello che prende, pur sapendo che non sarà mai abbastanza. Spera comunque di offrire un sorriso, un gesto d’amicizia o una leva per risollevare la giornata.”

Franci: Sono felice sia di tuo gradimento. Mi piacciono le persone, mi piace stare con loro. Scrivere è un modo per farlo. Si scrive in compagnia dei propri fantasmi, ma il romanzo nasce solo nell’atto della lettura. È in quel momento che scrittore e lettore lavorano assieme, per creare una storia unica. A me piace farlo da pari a pari, senza salire in cattedra, senza tirare una linea sulla lavagna per dividere “i buoni dai cattivi”, senza credere di avere la verità in tasca, ma semplicemente immaginando. Immaginare non è credere, immaginare consente di mettere alla prova qualcosa di nuovo, assieme.

Ah un’ultima cosa: tu non scrivi molti racconti, mi sembra di capire.

Franci: Già. Scrivere un racconto è per me quasi più faticoso che scrivere un romanzo. Ho aspettative e fisse mie che, per i racconti, collocano l’asticella molto in alto. Un racconto per me richiede una centratura, una sintesi e una chiusura che rasentano la perfezione e sono obiettivi che si conquistano a fatica molto raramente. Il più delle volte si finisce di scrivere delle storielle più o meno piacevoli. Il romanzo è diverso. Nel mio immaginario deve assomigliare più alla realtà, alla complessità in cui i vari fili narrativi s’intrecciano. Quando chiudo un romanzo e so dire esattamente di cosa parla mi resta un senso di artefatto, d’occasione mancata, di racconto annacquato per riempire le pagine. Sono fisime, lo so, ma per me il racconto e il romanzo non si caratterizzano per dimensioni, a definirli è la struttura narrativa.

Sai, mi sento proprio di consigliare a tutti la lettura del tuo “Spettri e altre vittime di mia cugina Matilde,” nell’attesa (mia) di leggere gli altri tre romanzi che mi mancano e magari qualche tua nuova proposta.

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.

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Nasce a Milano e nel 1987 si laurea in scienze biologiche all’Università degli Studi di Milano. Giornalista professionista dal 1995, lavora anche come copywriter e nell’organizzazione di eventi. Dal 2016 è docente accademico presso l’Accademia di belle arti Acme. Vive e lavora prevalentemente a Milano