Luca Meneghello

Luca Meneghello

Oggi cominciamo a fare quantità, presentando ben tre capitoli tradotti dal romanzo di E. R. Mason, Deep Crossing: capitoli 4, 5 e 6. Tutti i capitoli di oggi sono stati mirabilmente tradotti da  Luca Meneghello.

Siamo a un settimo dell’intero libro e abbiamo già pianificato le traduzioni fino al capitolo 20. Tuttavia ci farebbe molto piacere accogliere nel nostro piccolo gruppo qualche altro volontario, che accetti di cimentarsi nella traduzione.
Per questa operazione, oltre a cercare traduttori, stiamo anche provando a immaginare un “bel” titolo italiano. La mia proposta è appunto “A 1000 anni luce dalla Terra,” anche se non lo trovo del tutto soddisfacente.
Quindi sbizzarritevi e fatemi sapere le vostre proposte.

Mentre tornavo al mio ufficio, mi fermai a sbirciare dalla vetrata l’enorme hangar del simulatore: lo sportello di entrata era sollevato in posizione aperta. Tutto attorno c’era un viavai di gente affaccendata. Terry, che era in attesa di fianco alla scaletta, mi fece un cenno indicando l’ingresso del simulatore.

Entrai nell’hangar e mi diressi verso di lui, mentre due tecnici uscivano dallo sportello. “Hai trovato quello che stavi cercando, là fuori?”, mi chiese.

“Magari. Non ho trovato quello che cercavo.”

Mi fissò con un mezzo sorriso e salutò i due tecnici di passaggio. “È ancora tutto spento nella cabina di comando. Non vogliamo accendere finché non abbiamo verificato gli assorbimenti di ogni sistema. Non vogliamo certo rovinare i dischi ottici se cominciano a saltare gli interruttori di sicurezza”, disse.

“Fai pure strada.”

Salimmo gli scalini e ci infilammo nella cabina. Soltanto le luci erano accese, niente altro. La vista della cabina di comando, anche spenta, fu sufficiente a riempirmi di un’emozione difficile da nascondere. Il layout delle console era standard, ma i controlli erano più avveniristici di quanto avessi mai visto.

Terry si accorse della mia meraviglia. “Sai chi ha fatto tutto questo?” chiese.

Appena all’interno, c’era un armadietto pieno di cavi e schede di interfaccia, che non faceva parte del Grifone. Superai Terry e mi infilai nel ponte di comando. Il posto di pilotaggio a sinistra aveva tre grandi schermi avanti a sé, ancora spenti. Il posto del copilota, a destra, era identico. La configurazione dei display doveva essere standard: a sinistra orientazione spaziale, velocità e distanza, assieme a tutti gli altri indicatori di controllo assetto. Lo schermo centrale doveva essere per la rotta e la gestione del computer di volo. Lo schermo di destra era per il controllo di bordo: carburante, sistemi elettrici, controllo ambientale e una miriade di altre cose da controllare solo di tanto in tanto.

Tutte queste cose me le aspettavo, ma il resto era da uscire di testa. La console disposta tra i due sedili aveva una pletora di manette di spinta, alcune familiari, altre meno. Davanti alle manette, una serie standard di computer di volo, uno per ogni pilota, ma più grandi del solito e con tasti che non riconoscevo. C’erano i controlli di iniezione carburante, aerofreni, flap e altri ancora. Il sistema di comunicazione in fondo alla console era l’unica cosa che invece sembrava più semplice del normale. Più in alto, dove pensavo di trovare i controlli di tiro, ambientali, del carburante e dei sistemi generali, c’erano invece una dozzina di touch screen spenti disposti su due file che andavano da una parte all’altra della cabina.

Le postazioni dei tecnici di volo erano sistemate dietro ai sedili dei piloti e consistevano in decine e decine di schermi. Solo alla fine notai le simulazioni delle vetrate superiori, laterali e frontali: degli schermi bianco ghiaccio che simulavano la vista nello spazio. Seguivano le linee della nave congiungendosi verso il muso, dei triangoli allungati e appuntiti.

“Devo cercare dei sali? Sembri sul punto di svenire.” Scherzò Terry. “Ne avrai bisogno: se ti fa effetto la cabina, aspetta di vedere il modulo abitativo, nell’hangar est.”

Avrei davvero voluto sedere al posto di pilotaggio, ma non avevo nessuna ragione per farlo. La cabina era fredda e buia, i finestrini di un bianco lattiginoso. Avrei potuto soltanto provare i cuscini: sedermi lì avrebbe mostrato che ero impressionato.

“Vabbè, andiamo a vedere, allora.” Facendo appello a tutta la mia volontà, mi voltai per seguirlo.

Ritornammo nel corridoio, superammo il mio ufficio e aprimmo la porta d’alluminio dell’hangar est. Le dimensioni di questo hangar erano ugualmente enormi, ma il tetto era più basso: solo dieci metri. Anche qui i tecnici si affaccendavano avanti e indietro come formiche: camici bianchi e cuffie ferma capelli.

Il modulo abitativo del Grifone era di forma ovale, ma non aveva un profilo aerodinamico. A parte i cavi e le interfacce di collegamento, era un semplice guscio nudo creato per contenere le cabine e i sistemi di supporto, incluse alcune aree di supporto motori. Sul davanti c’erano dei gradini che salivano. Abbiamo lasciato uscire un paio di tecnici, poi siamo entrati noi attraverso un portello di metallo molto lucido.

“Questa è la camera stagna secondaria, Adrian. Serve per gli attracchi e come riserva per le attività extra veicolari, AEV. Durante un AEV il ponte di comando risulterebbe isolato ed è per questo che la camera stagna primaria è quella di poppa. Il portellone da cui siamo entrati, nel Grifone vero è a tenuta. Ce n’è un altro sul soffitto. Entrambi possono essere usati per l’attracco. Ci sono otto tute spaziali Bell Standard: due su quella parete, due su questa e altre quattro nella camera di poppa. Conosci le Bell Standard, Adrian?”

“Ti dirò che io e un amico di nome Perk dobbiamo la vita alle tute di volo Bell. Se posso utilizzo solo quelle.”

“Perk? Non stai parlando di Perk Murphy?”

“Conosci Perk?”

“No, ma ho sentito delle voci: che ha avuto uno scontro a fuoco con degli alieni durante un AEV ed è riuscito ad avere la meglio. Non è che intendi proprio questo episodio, eh?” Mi chiese spalancando gli occhi.

“Queste tute sono delle versioni K o dei modelli di base?”

“Dicevano che Perk Murphy si è preso un colpo di una qualche arma al plasma in pieno petto e se l’è cavata per un pelo.”

“Senti, è una domanda seria. Versione K o modello base?”

Terry non smetteva di scrutarmi. Non sapevo come evitare il suo sguardo, tutto inutile. “Oh cazzo! Allora è vero e c’eri anche tu!” Rimase un attimo senza parole, mandò giù il rospo e alla fine mi rispose. “Versione K. Solo il meglio per questa missione”. Mise da parte la sorpresa e si diresse verso l’area abitativa.

“Avrai notato che i tecnici che uscivano avevano soprascarpe antistatiche. Vedi questo tappeto bianco sia sul pavimento, che sulle pareti? È foto-ottico. Tutti gli interni sono foto-ottici, puoi chiedergli di mostrarti qualsiasi immagine. Puoi simulare di essere in mezzo alla foresta di Sherwood o in mezzo all’oceano! Tutto l’interno è imbottito da questo tappeto, che serve anche a proteggere durante il volo a zero G: ma insomma, è soprattutto un enorme display. Stessa cosa per la zona sonno.”

La camera stagna alla mia sinistra aveva una porta, finta, che nel Grifone portava alla cabina di pilotaggio. Alla mia destra, la camera si apriva verso l’enorme quadrato ufficiali. Tutto era di colore bianco e intonso. Due finestre ovali su ciascun lato si affacciavano all’interno dell’hangar. C’era una tavola, anch’essa ovale, con otto poltroncine disposte all’intorno. Nell’ambiente erano disposte altre tre sedute con tavolini dedicati. Oltre l’area comune, la zona cucina con due sistemi di preparazione del cibo gemelli, talmente pulita che tavolo e sedie si specchiavano sul pavimento.

Terry si mosse tra le sedute. “Hai notato le fessure sotto tutti i mobili? Tutta questa roba può scomparire nel pavimento, basta schiacciare un bottone e tutta la stanza si svuota. Puoi avere un ampio spazio a zero G, se lo desideri. I sedili per le manovre di decollo e atterraggio sono in quel muro: schiaccia un bottone e avrai quattro sedili a disposizione. Tutte le sedute sono IA. Le tute di volo hanno fibre metalliche intessute nelle gambe e nel torso: quando il sedile riconosce la tuta, si magnetizza in modo da trattenerti. Solo quel tanto che basta per non farti svolazzare in giro, puoi comunque muoverti sul sedile. Mai visto niente del genere, eh?”

Non attese una risposta e si diresse alla cambusa. “Le razioni sono il triplo di quello che vi servirà e non stiamo parlando di quelle schifezze disidratate. Però il pezzo forte sono queste,” – indicò una porta di accesso sul retro – “le vostre zone sonno.”

La zona dedicata al riposo mostrava degli incavi nel muro alti un metro circa, uno in alto e uno in basso. Due a destra e due a sinistra. Erano poco più di due metri di lunghezza e tappezzate con il solito materiale foto-ottico.

“Basta che entri in una di queste, ti chiudi dentro e poi metti l’immagine o il video che vuoi. Puoi dormire in mezzo all’erba o nella camera da letto di casa tua. C’è anche un collegamento con le telecamere esterne, così se preferisci al posto della parete puoi avere una enorme finestra sull’esterno. Sopra di te c’è un vano porta oggetti alto una trentina di centimetri. Il sistema di riproduzione video è IA, lo chiamano ‘5-D’. Se mentre guardi un film interagisci con uno dei personaggi in 3-D, quello ti risponde e la storia cambia in maniera opportuna.

“C’è un tubo di evacuazione in ogni cuccetta, quindi non ti devi alzare se ti scappa di notte. Tra l’altro è progettato per ‘ogni’ necessità fisiologica per entrambi i sessi, capiscimi, insomma.” Terry tossicchiò imbarazzato. “Ci sono due docce a zero-G e due toilette che separano le altre quattro cuccette, mentre dall’altra parte c’è la palestra. Tutte le apparecchiature sono duplicate, si può fare ginnastica in due per volta. Più in là c’è il laboratorio medico e scientifico, poi la camera stagna di poppa. C’è una porta nella paratia della camera stagna che conduce ai moduli di servizio. La prima cella non abitativa è usata come magazzino, ossigeno, acqua, un po’ di tutto. Ancora più in là c’è una botola di accesso a un tunnel, che scende ai sistemi di propulsione. Va in qualsiasi parte della nave se prosegui nel tunnel ed è un vero casino là sotto. Sono certo che ci entrerai non appena potrai, per capire come funziona.

Dimostrai l’appropriata quantità di ammirazione. Tornammo indietro nel quadrato. Terry si fermò nella camera stagna di prua e si appoggiò al muro, a braccia conserte. “Ora, come tuo Direttore Tecnico, vorrei avere una discussione franca a proposito del tuo personale, delle loro capacità, nonché sulle prestazioni della nave.”

“Mi sembra giusto”

“C’è qualcosa di strano qui. Il progetto della nave è abbastanza particolare, non credi?”

Tornai a sedermi al tavolo ovale. Terry mi tenne dietro.

“Caro Direttore Tecnico che cosa hai in mente?”

“Hanno rimosso ogni ostacolo pur di lavorare su questa nave. È evidente che molta roba qui dentro non è di origine terrestre, o almeno non è di tecnologia umana. L’Agenzia non si è mai impegnata così su un singolo progetto. Questa astronave vale un assegno in bianco. Qui non vedo solo una determinazione assoluta al successo. Vedo qualcosa di più.”

“Non credo di capire che vuoi dire.”

“C’è forte tensione. Questa nave è stata progettata per proteggere il suo equipaggio al meglio da un ambiente ostile, in circostanze ostili. Perciò tanto lusso. O questa nave deve andare in un posto estremamente pericoloso, o l’equipaggio deve fare qualcosa di molto difficile. O le due cose.”

“Hai visto la rotta della missione?”

“Ho visto un diagramma a blocchi, con degli allegati. Anche questo è strano. Non abbiamo ancora nessuna mappa stellare per la vostra destinazione. Qualcun altro inserirà questi dati, non so se hai capito. Oltre a questo, una traiettoria verso il nadir. Andrete più lontano dalla Terra di chiunque, in una zona di spazio chiamata Il Nulla. Per quanto ho capito io, è una zona di spazio che contiene, beh, meno di niente, se questo avesse un senso. In più è enormemente grande e ci starete per un bel pezzo. Là dentro non potrete vedere nessuna stella, niente di niente. La dovrete attraversare ed è così lontana che nulla vi potrebbe venire in soccorso. Un bel tratto da fare da soli, senza comunicazioni, senza navigazione a vista. Te lo avevano detto?”

“Sono felice che tu me lo abbia detto, Terry. E hai proprio ragione. Spero di avere altre conversazioni con te. Dimmi sempre qualsiasi cosa che secondo te è importante, anche se pare piccola.”

Si appoggiò allo schienale con le mani dietro la testa. “Bah. Spero solo di riuscire a sapere cosa c’è dietro un giorno o l’altro.”

Il giorno seguente iniziò la maratona di lavoro; per me, non va mai bene: per essere motivato ho bisogno di un certo livello di paura e in ufficio non si ha mai paura. Cercai di procrastinare al massimo richiedendo le autorizzazioni di rito per RJ e assegnando i compiti al mio team. A quel punto cominciai di malavoglia la battaglia per raggruppare la montagna di quaderni e stampati puzzolenti in quattro pile ben ordinate, per convincermi che facevo qualcosa di utile. Per un po’ funzionò, poi il mio sguardo cominciò a spostarsi sempre più spesso verso il simulatore al di là della finestra del corridoio. Se volevo lavorare davvero, avrei dovuto installare delle tende.

Assieme alla maledetta montagna di istruzioni di carta, avevano pensato bene di fornirmi anche tre tablet, che almeno erano più divertenti. Era sufficiente cercare un’informazione su uno e subito gli altri due caricavano dei dati di supporto. Dopo un po’ ero praticamente sdraiato sulla poltrona a studiarmi la console di pilotaggio del Grifone, quando qualcuno bussò alla porta ed entrò.

La tipa indossava un paio di pantaloni talmente attillati da essere quasi ridicoli, con un paio di stivali alti che avrebbero potuto andar bene se avesse avuto un cavallo. La camicia celeste era stampata con l’immagine sbiadita di un vortice bianco latte, il badge rosso era attaccato alla scollatura a V. I capelli erano castano scuro, poco trucco ma ben applicato. Aveva un nasino alla francese, gli occhi verdi con uno sguardo intenso, le labbra senza alcun accenno di sorriso sotto il rossetto color ciliegia. Le davo una trentina d’anni. Il suo modo fin troppo sicuro mi mise immediatamente sulla difensiva.

“Desidera?”

“Danica Donoro, comandante. Sono stata inviata da Porre. Volevo presentarmi e farle sapere che sono a bordo.”

“Mi deve scusare, ma le cose vanno talmente di fretta che nessuno mi ha informato. Se mi permette una domanda strana, per quale posizione è stata mandata qui?”

“Sono un pilota, comandante. In effetti, probabilmente è la prima cosa che dovremmo mettere in chiaro.”

“La prego, signora Donoro, si sieda. Cosa c’è da mettere in chiaro?”

“Un pilota collaudatore donna. Qui ci sono molte donne che hanno pilotato dei caccia e nessuno si sorprende se una donna ne pilota uno, ma in giro si dicono ancora un sacco di idiozie sulle donne: che non sono adatte a guidare prototipi o navi sperimentali per esempio. Spero che noi ci si metta d’accordo subito, invece.”

Si stravaccò sulla poltrona, con il mento in su, e mi fissò dritto negli occhi. Normalmente, quando qualcuno piazza un ultimatum al proprio boss tende a ritirarsi quel tanto che basta, dopo aver dato la stura a tutto il coraggio disponibile, ma lei non era così. Lo sguardo intenso mi diceva che era pronta a battersi. Feci del mio meglio per nascondere il fatto che mi aveva impressionato parecchio.

Decisi di darle del ‘tu’. “Danica, lo hai visto il simulatore qui fuori?”

“Il primo posto che ho guardato qui dentro. Adrian!”

“Allora mia cara saprai bene che quando noi avremo fatto precipitare quel simulatore almeno un centinaio di volte, non ci saranno più dubbi su chi sa volare e chi no. Lo bruceremo, lo spaccheremo in due, lo schianteremo al suolo fino a capire cosa possiamo fare e cosa no sulla nave vera. Tutte le volte che qualcuno farà una cazzata, sarà il simulatore stesso a dircelo. Non importa se tu sei Chewbacca, ET o Flash Gordon, le tue valutazioni di volo diranno a tutti di che pasta sei fatta. Non potrai nasconderti. Per quel che mi riguarda, ho pregiudizi verso le pilote donne? Te lo dico subito. Mio padre mi portato a fare il primo volo a 12 anni. Nel più piccolo e schifoso aeroporto che ha trovato, perché se imparavo su una pista corta, quelle lunghe sarebbero state una passeggiata. In quel posto gli operatori di volo stavano dentro una baracca di legno poco più grande di un capanno per gli attrezzi. Mi presento e mi buttano subito fuori ad aspettare su una panca; dopo qualche minuto, esce una signora tedesca sulla settantina. Mi guarda, legge il mio nome sul suo quaderno e dice: ‘Allora, vuoi imparare a volare?’. Rispondo di si e mi fa ‘Okay, allora cominciamo’.”

“Aveva un vecchio Pitts Special. Mi fa sedere al posto davanti e partiamo, poi comincia a fare tutto il repertorio delle manovre acrobatiche fin quando non è piuttosto sicura che io stia per vomitare, il che se succedesse sarebbe scomodo per lei che sta sottovento. Quando torniamo a terra e sto ancora cercando di tenere la colazione nello stomaco, mi fa ‘Okay Signor Tarn, se ci vediamo qui domani alla stessa ora sapremo entrambi che vuoi veramente imparare a volare.’ Il giorno dopo arrivo addirittura in anticipo, pronto a subire la medesima tortura, invece non c’è più la vecchia, ma la donna più bella mai vista con una camiciola trasparente. ‘Salve, sono Mary Mackly. La tua istruttrice. Ecco, Danica: cosa credi che pensi delle donne pilota?”

“Non saprei. Desiderio di vendetta?”

“Mettiamola così. Non chiuderò un occhio per nessuno in questa missione, quindi ti renderai conto che non nutro pregiudizi quando ti farò vedere i sorci verdi per qualche casino che hai combinato. L’uguaglianza funziona nei due sensi. Comunque, c’è qualcosa che voglio chiederti: perché sei diventata pilota?”

“Volevo farlo da quando ricordo. Da piccola, speravo che qualche aereo di passaggio avesse un guasto e si schiantasse di fianco a casa nostra, così avrei potuto tenere il relitto per me. Poi a 10 anni ho rubato il Jetstream di papà per fare un giro.”

“Mi stai prendendo in giro. Hai guidato da sola un aereo a 10 anni?”

“Eravamo in campeggio in montagna, per fortuna. Nessun controllore del traffico aereo. Ero sicura di farcela, convinta che i miei genitori mi avrebbero lasciato volare, dopo avermi vista.

“E come è andata?”

“Mi sono persa quasi subito e sono dovuta atterrare nel bel mezzo del nulla. C’erano puma e orsi e me la sono praticamente fatta sotto dalla paura. Quando mi hanno trovato, mi hanno messo in punizione per mesi; nessuno strascico penale per fortuna dato che non c’era nessuno in giro. Quando ai miei è passata, mi hanno portato in una scuola di volo con un simulatore, almeno quello. Ero l’unica ragazzina di 10 anni in una classe di adolescenti maschi. Ero arrogante e sicura di me e pensavo di poter fare qualsiasi cosa. Alla fine ho fatto meglio di tutti i ragazzini, poveracci, sembrava che gli avessi fregato la licenza di volo. Ero sicura che avrei volato. Una vocazione.”

“Come mai Porre ti ha mandata qui? Non per farmi i fatti tuoi.”

“Ero l’assistente all’ingegnere che ha testato il progetto originale del Grifone. Nessuno conosce il Grifone come me. Non vedo l’ora di rivederlo.”

“Per quanto ne so, è nell’hangar di manutenzione, dalle parti del VAB. In preparazione per una missione di 12 mesi, ma ci sarà un volo di test prima della partenza vera e propria. Ti hanno detto in cosa ti stai imbarcando?”

“Per dirla tutta, ho dovuto incassare vecchi favori per essere qui. Ho sempre tenuto d’occhio il Grifone, sperando che lo togliessero dalla naftalina. Sai perché si chiama così?”

“No. Come mai?”

“Per via delle ali. Il Grifone è una creatura mitologica con il corpo da leone e le ali di aquila. Lo scafo ha la potenza di un’astronave e le ali di un velivolo. Per questo l’hanno chiamato Grifone. Ho un amico che lavora alla Nasa e quando il Grifone è partito per le modifiche, me l’ha detto. Ho dovuto fare un sacco di telefonate, ma alla fine sono riuscita a raggiungere l’ufficio di Porre. Sono stata fortunata: lui aveva già in mente qualcuno per il lavoro e non voleva cambiare idea. Ho dovuto far intervenire qualcuno in alto, sennò non sarei qui. A quel punto ho capito cosa valesse questa missione e che era impegnativa, ma la difficoltà mi piace.”

“E sapevi che ci sarebbero state grosse modifiche sul Grifone?”

“Solo che avrebbe avuto più autonomia e un valore di P assai maggiore rispetto ai propulsori standard. Quando potremo provare il simulatore?”

“Secondo il direttore tecnico ci vogliono un paio di giorni, ma ci vorrà molto di più per controllare tutte le specifiche e le certificazioni. Ti suggerisco di cominciare a leggerle fin d’ora. Ma parlami di te. Sei sposata?”

“Nisba. Nessun macho che mi dica cosa devo o non devo fare.”

“Wow! Chi di noi due sarebbe sessista, allora?”

“Ma che c’entra? Un partner, se glielo permetti, vorrà sempre dirti cosa fare della tua vita. Non so se mi spiego.”

“Figli?”

“Demonio, no. Quelli ti controllano la vita.”

“Darò un’occhiata al tuo file quando arriva. In effetti… C’è giusto un punto da chiarire. Che diavolo hai promesso al Sig. Bernard Porre?”

“Gli devo fare dei rapporti periodici sui progressi.”

“Vuole inserirsi nella catena di comando attraverso di te?”

“Capisco. È un manipolatore esperto, ma non gli ho promesso niente.”

“Sia chiaro. Quando rischieremo le nostre chiappe a qualche centinaio di anni luce, le sue saranno al sicuro su una poltrona con tè e biscottini e i suoi ordini non varranno un tubo. E prima di vederti seduta al pilotaggio devo essere ben certo che siamo perfettamente d’accordo su questo.”

“Mi sembra giusto.”

“In questa missione non possiamo permetterci una catena di comando standard. Ci saranno sette capi con un capo al di sopra di tutti, io. Se mi accorgo che qualcuno dimostra un senso di superiorità nei confronti di chiunque, sarà immediatamente qualificato al lavaggio pentole e alla pulizia latrine. Solo per cominciare.”

La donna sorrise e si allungò sulla sedia. “Non vedevo l’ora di conoscerti, comandante. Mi sono informata su di te quando hanno fatto il tuo nome per la missione. Sembra che tu sia misterioso almeno quanto il Grifone. So che eri nell’ultima missione dell’Elettra, ma non si riesce a sapere nulla di più. Ci sono delle storie che girano, alcune cose si sono sapute. Alcuni dicono che la nave fosse troppo danneggiata per poter fare il viaggio di ritorno. Altri parlano di una battaglia con degli alieni. Una di queste storie è veramente interessante e credo che non la conosca neanche tu. Mi ricorda una cosa successa negli anni ’80 che ci raccontavano alla scuola piloti. Un nuovo aereo di linea era appena stato messo in servizio. Era in attesa di partire, con i passeggeri già a bordo. L’aereo era talmente nuovo che gli indicatori di carburante non funzionavano, quindi il personale di terra doveva misurare il livello manualmente, solo che gli indicatori erano tarati in piedi, anziché in metri. Per farla breve, hanno dato il via libera al capitano quando i serbatoi erano pieni soltanto a metà. L’aereo era a metà del tragitto, a undicimila metri, quando si accende l’allarme della prima pompa carburante. Dopo qualche minuto i motori cominciano a spegnersi. Quando anche l’ultimo motore si ferma, capiscono che non hanno più carburante e andranno giù. Persino in quel periodo il cockpit era elettronico, quindi tutto si spegne assieme al motore ausiliario. Per avere un po’ di corrente elettrica, devono aprire una botola e far girare un’elica ausiliaria. Chiamano il Centro di Controllo Aereo e gli dicono che l’unica discesa possibile è verso un vecchio aeroporto abbandonato, al limite della loro zona di planata e forse oltre. Il capitano va in quella direzione. Quando arrivano a un chilometro, vedono che c’è una fiera in corso, proprio sulla pista, gente ovunque, e loro sono silenziosi perché non hanno motori. Alla fine, un ragazzino vede arrivare questo aereo enorme e comincia a urlare e strepitare e tutto diventa un casino infernale di gente terrorizzata che scappa. Anche se la pista era al di là del range di planata, il capitano arriva lungo e lui e il copilota posano l’aereo nei campi coltivati al termine della pista. Tutto l’equipaggio va in panico per possibili incendi, fino a che il capitano tranquillizza tutti: non c’è più una goccia di carburante. Comunque, nelle settimane successive, la compagnia aerea programma le stesse condizioni nei simulatori e un sacco di piloti riprovano a fare la stessa cosa, ma nessuno riesce a raggiungere la pista: si schiantano tutti prima. Ti racconto questa storia perché sembra che sia esattamente quello che è successo sulla Elettra. Nel centro di addestramento di Washington hanno programmato le stesse identiche circostanze che l’Elettra ha incontrato, con gli stessi sistemi della nave fuori uso. Hanno provato e riprovato con gruppi diversi di piloti e meccanici di volo, ma nessuno ha riportato la nave a terra. Almeno, nessuno fino a ora. Penso che volessi saperlo. A me farebbe piacere sapere di prima mano come è andata.”

“Dov’è che alloggi, Danica?”

“Mi hanno assegnato un appartamento a Merrit Island. La vista è fantastica, ma non penso che ci passerò molto tempo.”

“Hai già cominciato a lavorare sulle specifiche?”

“Ne ho scaricato un bel po’ stamattina.”

“Devi presentarti al Direttore Tecnico, Terry Costerley. Ti assegnerà un ufficio e un programma di lavoro.”

Si alzò e fece per uscire dalla stanza, fermandosi sulla soglia. “Comandante, fai kick boxing?”

“Solo se sono obbligato, Danica”.

Fece un cenno d’assenso. “Lo faccio per hobby e vorrei uno sparring partner.”

Solo allora mi resi conto di quanto fosse in forma. “Sei fortunata. Ci potrebbe essere qualcuno a bordo che sarebbe un buon avversario. Tra l’altro, hai qualche idea di chi altro sta mandando Porre?”

“So che si tratta di un tecnico motori, ma nient’altro. Era abbastanza incazzato quando ha dovuto accettare me, quindi non siamo esattamente amiconi.”

“Beh, benvenuta a bordo. Non vedo l’ora di averti sul ponte.”

“Occhio, comandante. Potrei fregarti la licenza di volo, come ai ragazzini!”. Uscì ridendo e sbatté la porta un po’ troppo forte.

A mezzanotte ero riuscito a finire la montagna di carte relativa ai controlli basilari di volo. Tutte le volte che il segnale “è ora di andare a casa” si accendeva nella mia testa, bastava uno sguardo al simulatore per farlo spegnere. Stavo alzandomi per l’ennesima tazza di caffè, alla porta si presentò Julia Zeller.

“Ancora qui, Julia?”

“Ma pure tu!”

“I caffè sono caramelline, per me.”

“Divertente, ma forse hai fatto bene a venire qui.”

“Come mai?”

“Siamo avanti rispetto ai tempi. Il gruppo di ispettori finirà gli ultimi controlli per le 04:00. E noi possiamo sparare il simulatore in orbita bassa.”

“Davvero? Lo staff del Direttore Tecnico sarà lì?”

“Non ha importanza. Abbiamo ordine di essere a vostra disposizione H24. Inoltre, se chiamiamo i ragazzi bisognerà sparargli per tenerli lontani.

“Devo portarmi il giubbotto antiproiettile.”

“Tu sei un tipo spiritoso anche a quest’ora, eh?”

“Esatto, Julia.”

Se ne andò, quando un altro viso conosciuto fece capolino alla porta. RJ, con una camicia di tweed grigio, jeans e scarpe da lavoro entrò e si lasciò cadere su una sedia vicina alla porta. Tra i denti una pipa di foggia antiquata che non tolse mai. “Ho avuto il mio tesserino”, disse mentre me lo mostrava fiero.

“RJ, sai che c’è un rilevatore di fumo proprio sopra di te, vero?”

“Nella mia vita precedente ero un ispettore, ricordi? La pipa è spenta, e anche io, del resto.”

“Non riuscivi a dormire o cosa?”

“Non mi piego al banale schema orario delle 24 ore. Del resto, chi ha stabilito questa regola?”

“Oddio, ti avevo spento.”

“Sbagliato interruttore. Va bene così.”

“Hai cominciato a fare i compitini?”

“Finora è facile. La maggior parte dei sistemi di supporto sono versioni standard o appena migliorate. Roba vecchia. Comunque controllo tutto.”

“Hai controllato i moduli abitativi del Grifone? Ci sono delle cose incredibili”

“Ah, la tecnologia. La risposta alle domande dell’uomo. Amico, lascia che ti parli della nostra società sintetica, liofilizzata, precompressa…”

“Oh, cavolo.”

“Prima di accorgercene, ci ridurremo a delle creature a forma di patata con braccine e gambette ridicole, seduti in un oloprogramma da qualche parte a vivere una vita immaginaria senza alcuna connessione con il mondo esterno. E alla fine, quando avremo finalmente consumato la carica dell’ultimo elettrone dell’ultima molecola di materia, cosicché gli elettroni collassino sui rispettivi nuclei, anche noi congeleremo in una massa di carbonite, ancora vivi, a guardarci l’un l’altro chiedendoci come cacchio sia potuta succedere una cosa del genere.

“Ehi? Tu lo sai, sì, che buona parte di quel che dici non sta in piedi?”

“Cosa? Quale parte?”

“RJ, hai letto il riassunto di missione che ti ho mandato?”

“Certo che l’ho letto. Per citare uno dei più illustri filosofi di tutti i tempi, sembra che tu mi abbia infilato in un altro bel casino.”

“Di quale dei tuoi oscuri guru stiamo parlando?”

“Del Professor Ollio, università di Stanlio.”

“Mi spiace, ma non lo conosco. Ma lo hai letto il documento?”

“Certo. Mi è venuta voglia di baciare la terra. Ripetutamente.”

“Parlando di terra, ti va di fare un volo?”

“Stai scherzando?”

“04:00. Siamo io e te, puoi prendere il sedile di destra.”

“Accendiamo i motori!”

Lasciando dietro di noi ogni ulteriore velleità di leggere dell’altra cartaccia, ci dirigemmo alla sala ristoro, dove ci aspettavano caffè caldo e ciambelle stantie in un contenitore di cartone.

“Hai incontrato Danica?”

“Non ho ancora avuto il piacere.”

“Fai attenzione. Sembra che collezioni licenze di volo. Altrui.”

“Sembra la mia donna ideale. Hai già scelto il secondo ingegnere dei sistemi?”

“Pensavo a Wilson Mirtos.”

“Sicuro? Ma non è quello che…”

“Si.”

“Qual è la famosa sua frase che riesce a mettere subito a posto quelli che hanno deciso di sfidarlo?”

“Ragazzi, non sto cercando grane.”

“Proprio quella. Si dice che quando la senti, sei a due o tre secondi dell’apocalisse.”

Mentre sorseggiavamo il caffè, passò un tecnico con una bottiglia di champagne per ogni mano. Ci fece un timido cenno, le infilò nel frigorifero e si diresse all’hangar.

RJ commentò: “Sembra che da queste parti prendano sul serio il varo delle astronavi. Anche di quelle simulate.”

“Si sono veramente fatti il culo per finire il simulatore: direi che è il minimo.”

“In effetti è rassicurante. Apprezzo la gente che lavora coscienziosamente. Ma tornando a bomba, Wilson dove ha trovato quella sua frase pre-apocalittica?”

“È la sindrome dell’orsacchiotto. Lui è grande e grosso e sembra proprio a un orsacchiotto. Al liceo e all’accademia e anche adesso in effetti, qualche coglioncello che beve un bicchiere di troppo decide invariabilmente di prendersela con lui, pensando di aver di fronte un avversario facile. Purtroppo però, quando arrivano alle mani il nostro si trasforma in una specie di Hulk e l’orsacchiotto si riempie di muscoli. È a questo punto che l’idiota di turno capisce di aver fatto un terribile errore, ma è troppo tardi. Dopo una serata particolarmente vivace, un giudice lo ha obbligato a una terapia di controllo della collera, e quello stupido psicanalista gli ha insegnato quella frase per cercare di disinnescare certe situazioni. Non che abbia mai funzionato, ma dato che la terapia gli è costata un botto di soldi, lui pensa che sia almeno il caso di provarci.”

“Hai mai avuto il piacere di condividere con lui l’utilizzo di questo inutile talismano?”

“Certo. L’ultima volta ci dovevamo trovare in un bar: stavo arrivando e ho visto un tizio scaraventato fuori dalla finestra. Erano tre contro uno, ma quando l’ho raggiunto o erano stesi o li aveva sbattuti fuori. Gli ho chiesto come mai avesse spedito il tipo attraverso la vetrata e mi ha risposto che, una volta fuori, il tizio non avrebbe potuto fare altri casini.”

RJ sorrise al di sopra della tazza di caffè. “Ah, un tipo davvero coi piedi per terra. Apprezzerò la sua compagnia e la sua saggezza. Spero solto di non sentire mai quella frase.”

“Tra l’altro è anche un meccanico coi fiocchi. Ha un gran senso dello humor: fa battute fulminanti quando le cose si fanno serie. Capisci che sa come uscire dai casini, anche se nessun altro sa cosa fare.”

“Gli hai già dato la bella notizia?”

Stavo per rispondere quando vidi arrivare Terry Costerly trafelato, in giacca e cravatta. Digitò il suo codice ed entrò nell’hangar senza degnarci di uno sguardo.

RJ mi fece l’occhiolino. “Qualcuno sta per dare una festa. Vedi di non rompere niente, sennò ti fanno il funerale.”

“Tranquillo, nessuno rompe le cose meglio di me.”

“Per favore, non ricordarmelo.”

Alle tre e mezza, una dozzina di meccanici, tecnici e ispettori erano riuniti nel Centro di Controllo, detto amichevolmente CdC, per presidiare l’accensione inaugurale del simulatore. I ragazzi della manutenzione dovevano aver avuto una fretta indiavolata nel preparare l’enorme capannone che contiene l’hangar del simulatore e il mio ufficio. I muri bianco slavato mostravano ancora tracce della vernice precedente e qua e là sul pavimento si potevano vedere delle piastrelle rovinate. Il mio ufficio aveva anche una porta che dava direttamente nell’hangar, ma non si poteva usare per via della catasta di strumentazione messa davanti. C’erano finestre di osservazione su tutta la parete verso l’esterno. Una fila di computer di controllo, alcuni veramente mal posizionati, sulla parete. Fasci di cavi serpeggiavano ovunque, chiaro segnale che tutto era stato installato troppo velocemente: l’idea di farli passare sotto il pavimento non era stata neanche presa in considerazione. Qualche buontempone aveva appeso tre metri di striscione con su scritto “BASE TRANQUILLITÀ”, ironico tributo agli sforzi di tutti.

Un tecnico e un ispettore erano chini su un tavolo per verificare le ultime fasi della procedura di installazione, circondati da una piccola folla. Julia Zeller era tra loro. Il clima era fondamentalmente rilassato, con frasi del tipo “C’è voluto un bel po’, eh” o “Potresti firmare il modulo col tuo sangue” o ancora “E adesso ci licenziano tutti?”. Un sacco di pacche sulle spalle, congratulazioni e strette di mano. A un tratto, fine dell’eccitazione quando la piccola folla si gira e mi vede. RJ proruppe in una risata talmente forte da rovesciare metà caffè.

“Ragazzi, qualcosa mi dice che siete pronti.”

La frase fu accolta da un coro di risate. Tutti si diressero alla loro postazione, Terry sedette sulla sedia del Direttore. Ruotò sulla sedia e mi lanciò un’occhiata da professionista. “Non abbiamo ancora le carte stellari complete, quindi farete soltanto un giretto in orbita. Tutti gli oggetti orbitanti sono già inseriti, incluse le stazioni private. Adrian, dove vuoi andare?”

“Direi di fare una cosa all’antica, un giretto. Restiamo fermi a venti metri di quota per una decina di minuti, per vedere se tutto va, poi saliamo in orbita bassa, facciamo una rivoluzione e scendiamo: se possibile in manuale. Abbiamo pagato un pilota, facciamolo lavorare.”

Terry fece un cenno di assenso a un programmatore, poi si voltò verso di me. “Altro?”

“Si, saltiamo la verifica di accensione e attiviamo gli strumenti di volo e il computer di controllo volo. Si è fatto già abbastanza tardi e non vorrei perdere altro tempo: vogliamo veder volare questo coso. RJ va sul sedile di destra: impostate il peso a due persone.”

“Capito. Un’ultima cosa, che ho tenuto da parte per te.” Inserì un codice di sicurezza e aprì un cassetto della scrivania, da cui estrasse un oggetto dalle dimensioni della sua mano. Erano tre cilindri fluorescenti, grandi quanto una pila AA, uno rosso, uno verde e uno blu, che parevano pieni di un liquido strano. Erano collegati a un display con tre lucine rosse. Me lo diede dicendo: “Che tu ci creda o no, questo affare contiene un campione del tuo DNA. Noi accendiamo la console quando sali a bordo, ma non accetterà nessun comando se non inserisci questo nello slot di autorizzazione della console. Tra l’altro, è la stessa chiave che apre il Grifone. Tu sei l’unico che ha la posizione di amministratore. Fino a che questa chiave è inserita, la nave verifica periodicamente i tuoi segnali biometrici. Se non ti vede per più di ventiquattr’ore, passa in stand by. Rimarrà così fino a che non vedrà di nuovo il tuo segnale. Puoi cambiare il periodo di attesa a piacimento. Gli altri piloti hanno delle chiavi analoghe, ma se manca la tua potranno solo far tornare la nave al punto di partenza, niente altro. Se dovessi perdere la chiave c’è un kit nel laboratorio scientifico per programmarne una nuova, ma ti dovrai infilare tre elettrodi in dei posti scomodi, quindi se fossi in te mi prenderei cura di questa. Ora puoi registrare sul libro di bordo che sei stato addestrato alle procedure di delega dei comandi.”

RJ mi fissava senza parlare, con una espressione stranamente seria. Feci del mio meglio per restare impassibile.

Nell’hangar ci arrampicammo dentro il simulatore, dove trovammo tutte le console accese e un lieve rumore di ventole. La cabina era talmente piena di luci multicolori che sembrava di essere all’interno di un albero di Natale. Fuori, nel mondo reale, il sole non era ancora sorto ma dalle finestre del simulatore godevamo una vista assolata degli edifici del Centro Spaziale. L’aria della cabina era fresca ed elettrica, con l’odore particolare dei veicoli nuovi. Ci accomodammo nei larghi sedili bianchi in similpelle. Presi la mia chiave fluorescente dalla tasca della mia tuta, aprii lo slot di autorizzazione e la infilai in posizione. Sullo schermo comparve subito il messaggio ‘Tarn, A., Capitano, Amministratore’. I controlli sulla console centrale emisero un flash verde, per poi passare ad ambra.

RJ ripiegò i braccioli della poltrona. “Ho qualcosa da dire: WOW!”

“RJ, allaccia la cintura prima che il computer ci sculacci.”

“Vedi cosa ti stavo dicendo prima? Chi comanda qui?”. Si allacciò la cintura e regolò il microfono. “Major Tom to ground control,” canticchiò.

“Per la barba di Pietro.”

“Che avrà poi di speciale quella barba. Mio Dio, il realismo della vista esterna è incredibile. Sembra di essere davvero sulla pista di lancio nei pressi dei Progetti Spaziali.

“Credo che Pietro, sia ‘San Pietro’.”

“Allora, speriamo di non vederla troppo presto, quella barba.”

“La checklist è vicino al ginocchio destro. Dobbiamo controllare qualche cosa prima di partire. Comincia coi controlli ambientali, Terry mi ha detto che se cappelliamo qualcosa ci lascia diventare blu, prima di aprire i portelli per cambiare aria.”

“Speriamo di non farlo arrabbiare, allora. Porte sigillate, nessuno può cader fuori e farsi male. Circolazione aria accesa, pressione 8.000 e 4.5 psi differenziale.”

Richiamai le letture di superfice sullo schermo del simulatore e controllai il funzionamento delle manette laterali e dei pedali d’imbardata. Lisci come l’olio. Richiamando i sistemi spaziali, la manetta fece accendere i razzi di spinta sul display, proprio come previsto.

“Grifone a DT, tutti i sistemi di volo sono attivi e funzionanti. Tutte le letture del simulatore sono normali. Grande cosa essere al lavoro.”

“DT a Grifone, ricevuto e confermato. Semaforo verde da qui.”

“Sistema di rilevazione collisioni acceso e impostato.”

“Lieto che ve ne siate ricordati. Non avevo intenzione di farlo io.”

“Stiamo seguendo la checklist, DT.”

“Ah, allora va bene.”

“Inserimento del programma: salita a venti piedi, volo statico, motore a repulsione di gravità fino all’orbita. Radio altimetro ok. Il computer di volo ha accettato l’input. Pronti, DT?”

“DT a Grifone, procedete.”

“Avviato.”

Ci fu una breve scossa dei sedili, seguita da un leggero ronzio. Vedemmo il suolo allontanarsi dai finestrini. Salimmo verso l’alto rispetto agli edifici vicini e sentimmo il simulatore rollare e beccheggiare lievemente. A venti piedi, la nave smise di salire, ma continuò a rollare piano per assestarsi all’altezza assegnata.

“Grifone a TD. Abbiamo visuale in tutte le aree di visione. I propulsori sono accesi e ci mantengono stabili. La simulazione del moto è appropriata.”

“DT a Grifone, rimanete in posizione. Verifichiamo la potenza assorbita.”

“Grifone in attesa.”

RJ raggiunse e azionò la leva dei carrelli d’atterraggio. “Richiamo i carrelli, così non bruciamo le gomme in atterraggio.”

“Grifone, CdC tutto nominale. Potete continuare.”

“Inserimento dati di volo. Orbita con apogeo a 200 miglia, manovre orbitali a Mach 25 e accelerazione massima 2G.”

“DT a Grifone, ricordate che avete dei passeggeri”

RJ se la prese. “Ehi! Non ho problemi con dei G in positivo. Sono quelli in negativo che mi fanno uscire gli occhi dalle orbite. In più, quanti G volete strizzare fuori da un simulatore, eh?”

Guardai il piano di volo che appariva in azzurro sullo schermo di navigazione, mentre il DT tornava a squittire nelle cuffie.

“DT a Grifone. Impostate il display NAV su selezione coordinate M50. Inseriamo piano di volo, spegnimento spinta principale a 5708531 X, 18914656 Y, e 10185790 Z. Sarete sopra Dakar, sulla costa africana. Siete autorizzati alla spinta.”

“Grifone ricevuto. Autospinta attivata. Autopilota C assegnato. Piano di volo… avviato.”

Con la prima accensione dei motori simulati fummo spinti contro i sedili, più di quanto mi aspettassi, mentre il Grifone si orientava muso in alto e saltava in cielo. La terra sotto divenne presto l’Oceano Atlantico, le finestre anteriori piene di cielo azzurro macchiato da nuvole bianche.

RJ era stupito dal realismo. “Wow. Mi sembra di accelerare ancora.”

“Perché il simulatore punta tutto in alto, mentre le aree visive mostrano soltanto un angolo di sessanta gradi. Comunque, anche se so come funziona l’illusione mi frega lo stesso.”

Il cielo azzurro divenne prima più scuro, poi completamente nero. Cominciarono a brillare le stelle mentre il muso della nave si raddrizzava, una volta raggiunta l’orbita. Centinaia di chilometri sotto di noi le nubi nascondevano l’oceano. Davanti, l’Africa cominciava a prendere forma nella foschia.

“Grifone a DT. La visuale è precisa e stupefacente. Stiamo per arrivare all’apogeo.”

“DT a Grifone, anche per noi siete al massimo della curva. Spegnimento motore tra 17 secondi.”

Mentre l’atmosfera scorreva sotto di noi, sentimmo un breve sussulto allo spegnimento del motore orbitale. L’accelerazione del Grifone scomparve e un indicatore di inserimento in orbita apparse sullo schermo del navigatore.

“Grifone a DT. Siamo in orbita. Tutte le visuali e letture sono come previsto.”

“Roger Grifone, godetevi il giretto mentre verifichiamo i sistemi di terra.”

“Adrian, è veramente spettacolare. Il realismo, intendo. Ho addirittura la sensazione di essere senza peso.”

“Non è che adesso mi cominci a vomitare, eh?”

“Ah ah ah, fai proprio ridere.”

“Non ricordo di essere mai stato su una nave con finestrini sul pavimento fino a oggi. Tra un po’ vedremo Dakar passare là sotto. Questa nave è un giocattolo di lusso.”

“Vedremo come la penserai dopo sei mesi qui dentro.”

“Già. Ti stai già abituando all’idea?

“Sono ancora in modalità luna di miele con l’idea. Ma tra un paio di settimane vedrai che mi chiederò chi me l’ha fatto fare.”

“Lo sporco effetto dei lunghi voli spaziali.”

“Danica almeno è carina, spero?”

“Sarà meglio che ti controlli, con lei attorno. È una pistola carica.”

“Meglio così. Ci serviranno vere sfide per conservare un minimo di sanità mentale. Quella poca che abbiamo ancora, insomma.”

Anche se ho visto la terra dallo spazio più volte di quante riesca a ricordare, non avrei potuto dire che si trattava di una simulazione. In mezzo al nero vellutato dello spazio si intravedevano stelle sparse e sull’orizzonte c’era una foschia che sfumava in uno spesso tappeto di luci. Al di fuori dell’atmosfera le costellazioni non sono facili da riconoscere: ci sono tantissime stelle che diventano visibili. Bisogna trovarne un paio di quelle abbastanza luminose da essere viste da terra e poi ricondurle nelle loro posizioni per ritrovarsi, ma la vista è talmente spettacolare che quasi mai si arriva al fondo del tentativo.

La voce di RJ mi scosse. “Dakar, davanti a noi.”

“Tarn a DT. Perfetta visuale del continente africano.”

“Lo vediamo Grifone. Anche noi ci stiamo godendo lo spettacolo.”

“Linea del terminatore in vista. Vediamo le luci delle città.”

“Ricevuto Grifone. Tutto secondo le specifiche.”

RJ ed io ci rilassammo sulle poltrone, godendoci il passaggio. Il tempo scorse così veloce che la chiamata dal DT mi colse di sorpresa.

“Grifone, qui DT. Potete scendere quando volete. Spinta di uscita orbita tra cinque minuti, seguita da una lunga discesa in manuale.”

Sulle manette della console di controllo, inserii la modalità asse-y, imbardata e spinsi lievemente. il Grifone rispose subito spostandoci sui nostri sedili, mentre si posizionava con il muso all’indietro. Sullo schermo di posizione vidi la forma della nave fare una leggera piroetta, mentre le cifre di fianco cambiavano.

“Wow. Funziona da dio. DT, siamo in posizione per la spinta.”

“DT a Grifone, Roger. Spinta di circa tre minuti con una traiettoria di discesa standard. Come al solito, ci sono troppi detriti orbitali per consentire una discesa verticale. Dovete restare a tre miglia al secondo fino a 40k piedi prima di scendere a repulsione di gravità.”

“Ricevuto DT. Vorrei fosse rimasta un’orbita senza detriti orbitali.” Diedi uno sguardo a RJ. “Stiamo andando in retromarcia a 17.000 miglia all’ora.”

“Non so bene perché, ma la cosa mi disturba. Non farmici pensare.”

“Già, i ragazzi della Mercury e dell’Apollo facevano lo stesso, ma in una sfera di fuoco e fiamme.”

“Il che prova che nei primi tempi l’astronautica fu forgiata, se mi permetti il termine, da gente abbastanza fuori di testa.”

“DT a Grifone. Vi abbiamo inserito in un piano di volo con discesa sopra il pacifico che vi porta alla pista shuttle 15. Vento 8 nodi da tre-uno-cinque gradi. Non dovreste aver bisogno di ulteriori spinte dal motore orbitale, se avete abbastanza energia per gli strumenti di volo.”

“Tarn a DT. Ricevuto. Punto di rientro nel pacifico centrale con vento in fronte a livello superfice.”

“Quindi non ti va di tirar fuori le ali e vedere come questo affare plana?”

“Non questa volta, RJ. La giornata è stata abbastanza lunga. Voglio essere un po’ più lucido per la prima volta, non vorrei dovermi vergognare. Seguiamo manualmente lo schermo del navigatore e la curva di discesa ed è tutto.”

“Okay. E non dimenticare di far uscire il carrello.”

“GUMP”

“Cosa?”

“È un vecchio acronimo per gli atterraggi degli aerei. Sta per Gasolio, Uscita carrello, Miscela arricchita e Propulsione a tutta. Probabilmente è stato creato da qualche pilota che aveva dimenticato di far scendere il carrello. Nell’era spaziale è diventato Gravità in repulsione, Uscita carrello, Monitor in rientro e Programma in accettazione.

“Come può qualcuno essere così distratto da dimenticare il carrello?”

 “È vero.”

“DT a Grifone. Avete un conto alla rovescia di sessanta secondi per il motore di spinta sullo schermo del navigatore”

“Confermato, DT. In attesa della spinta.”

Guardammo i numeri scendere fino allo zero e sentimmo il Grifone vibrare e spingerci contro i sedili. Per tre minuti fu come se fossimo in accelerazione. Alla fine della spinta, il simulatore si riposizionò, anche se la rotazione al di fuori, sugli schermi, non sembrava aver rallentato.

“Grifone da DT, la spinta è stata nominale. Potete riorientare la navicella.”

“Grifone ricevuto.” Diedi un colpetto di manetta e la rimisi con il muso in avanti. Il navigatore e lo schermo di posizione mostravano una velocità di discesa di 9680 piedi al minuto.

RJ scosse la testa ammirato. “Costa ovest, eccoci. Sono veramente impressionato da questa macchina.”

“Tarn a DT. Schermo di posizione, repulsore di gravità in attivazione.”

RJ si sporse avanti sul sedile. “Adrian, abbiamo persino la luminosità del rientro atmosferico sull’area visiva inferiore.”

“Questo simulatore spacca, amico.”

“DT a Tarn. Deflettori di frenata aerodinamica in posizione.

“Grifone, ricevuto.”

“Sembra una bellissima giornata simulata su quella spiaggia laggiù.”, disse RJ.

Col repulsore di gravità si accese una finestra sul sistema di controllo del simulatore: ‘Sistemi di controllo in manuale’. Con dei colpetti sulla manetta mantenni allineati il percorso e la velocità di discesa con il piano di volo, dando ogni tanto un’occhiata agli schermi video. Tornammo in atmosfera sopra al Texas e ci spingemmo fino al Golfo del Messico per la virata di 180 gradi che ci avrebbe riallineato con la pista 15. Avremmo potuto fermare la discesa a metà con il motore orbitale e scendere sulla pista coi repulsori, ma cambiare quota in velocità e scendere come un aeroplano era molto più efficiente in termini di carburante. E molto più divertente.

Cominciammo la virata, scuotendo un po’ come se fossero le ali a sostenerci in volo piuttosto che il repulsore di gravità.

La voce di Terry squittì ancora. “Siete su uno-ottanta.”

“Siamo su uno-ottanta.”

“Grifone da DT, che ne dite di full stop a metà pista, volo stazionario a venti piedi e quindi atterraggio?”

“Tarn a DT, eseguiamo.”

Usando i repulsori, rallentammo fino a fermarci al di sopra della pista, quindi inserimmo il comando di discesa e parcheggio e guardammo il tarmac salire ad accoglierci. Ci fu qualche minimo scossone, quindi il rumore dei giroscopi e dei sistemi ausiliari che rallentavano fino a spegnersi mentre la nave si arrestava.

“Tarn a DT. Lasciamo a voi le manovre di spegnimento. Ci vediamo al CdC.”

Potevamo sentire i festeggiamenti in sottofondo mentre Terry rispondeva. Abbiamo slacciato le cinture e sorridendo ci siamo uniti alla festa.

La scena al CdC era quasi comica. Un camice bianco girava in tondo appeso a uno dei ventilatori sul soffitto. Il rumore delle bottiglie di champagne che venivano stappate echeggiava ovunque. Dappertutto c’era gente che rideva, si stringevano le mani tenendo fette di torta e bicchieri. Terry e pochi altri erano ancora alle console a controllare dei dati. Una segretaria con top e una gonna cortissimi ci porse un vassoio con delle tazze di plastica piene di champagne. Prestando più attenzione al top che alla tazza, RJ inciampò rischiando di rovesciarla. I festeggiamenti continuarono mentre il personale del turno di mattina arrivava e si univa a noi. Per un breve attimo, ebbi accanto Julia Zeller con il suo drink in mano. Giusto il tempo di un brindisi e fu trascinata via da due del suo staff. Ci furono discorsi e applausi, barzellette e risate. Nessuno sembrava veramente dell’umore giusto per cominciare i rapporti post volo. RJ ed io ce la svignammo alla chetichella.

“Papi, dovevo cominciare i controlli al simulatore ambientale stamattina. Me la fai una giustificazione?” mi disse con una vocina in falsetto, mentre raggiungevamo le nostre auto.

“Te lo farò sapere, ma non preoccuparti. Ho idea che saranno ben pochi a lavorare oggi…”

Voglio collaborare.

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.