L’ottavo racconto dello scrittore americano Arthur B Reeve che vi regaliamo per Ferragosto, si intitola Il sarcofago della mummia, tratto da Il medico dei sogni, nella nuovissima traduzione di Mario Luca Moretti e mia, Franco Giambalvo, Il libro uscirà presso Edizioni Scudo a cura di Giorgio Sangiorgi e Luca Oleastri. Anche questo racconto potrà sembrare strano agli occhi moderni: ci sono strane idee, di un tempo ormai perduto, che accettiamo senza ulteriori commenti.
Al momento sono disponibili su questo sito i seguenti capitoli:
1. Il medico dei sogni,
2. Analisi dell’anima
3. Il Sibarita
4. Il salone di bellezza
5. Il circuito fantasma
6. Il Detettàfono
7. La maledizione verde
Il capitolo di prossima programmazione, L’elisir della vita, sarà ancora una volta una storia che poteva apparire in una striscia di fumetti del secolo scorso.

 

Mi venne in mente il pensiero orribile che quel delinquente non fosse solo ad agire. Avevo notato l’infatuazione di Spencer per l’attraente bibliotecaria. Il custode dell’edificio dell’atelier era sicuro che una donna rispondente alla descrizione di quella donna avesse fatto visita allo studio. Poteva essere lei il mezzo per arrivare al milionario e ai suoi tesori? Anche eli faceva parte del complotto per sfruttarlo o forse ucciderlo? Quella donna per me era stata un enigma fin dall’inizio. Ora più che mai. Era chiaramente possibile che fosse anche lei dedita all’assenzio e che per un po’ si fosse scrollata di dosso la maledizione per poi ricadervi di bel nuovo.

Se per la mente di Kennedy fossero passati pensieri come questi, egli non lo dimostrava, almeno non sotto forma di esitazione nel percorso che aveva evidentemente deciso di seguire. Disse poco, ma si affrettò a lasciare l’atelier in taxi diretto al laboratorio. Pochi minuti dopo stavamo di nuovo sfrecciando verso il museo.

A Craig non restava molto per prepararsi a tutto ciò che sarebbe potuto accadere nel museo quella notte e sperando di essere pronto a tempo. Per prima cosa avvolse diverse bobine di filo di rame tutto attorno al magazzino del seminterrato. Non fu molto difficile nascondere il filo, perché la stanza era stipata di roba, nemmeno fu complesso far uscire i capi dalla finestra sul lato opposto rispetto a dove si trovava la finestra segata.

Al piano superiore della galleria d’arte installò diverse scatole come quelle che gli avevo visto sperimentare coi suoi test sul selenio, il pomeriggio in cui il signor Spencer ci aveva chiamati la prima volta. Erano scatole simili a macchine fotografiche, lunghe venticinque centimetri, larghe otto e alte dieci.

Un’estremità era aperta, o per lo almeno pareva che un lato fosse stato spinto all’interno della scatola per diversi centimetri. Guardai dentro una delle scatole e vidi una fessura sul lato spinto dentro. Kennedy si impegnò a regolare l’apparato e si fermò solo per controllare che le scatole contenessero due superfici sensibili al selenio, contrapposte a due resistenze al carbonio. Nella scatola c’era anche un meccanismo a orologeria che Craig caricò facendolo ticchettare. Poi spostò un’asta che doveva coprire la fessura e continuò per un po’, fino a quando ritenne l’apparecchio regolato in modo soddisfacente. Un’operazione delicata, a giudicare dalla cura che ci mise. Quando molte di queste scatole furono installate, era ormai piuttosto tardi.

I fili sistemati nella galleria d’arte conducevano anche all’esterno e questi, così come i fili delle bobine giù nel seminterrato, passavano attraverso il tratto di giardino sul retro di casa Spencer, fino a una stanza dell’ultimo piano. Nella stanza in alto, Kennedy attaccò i fili del magazzino a quello che sembrava un pezzo di cristallo e a una cornetta telefonica. I cavi nella galleria d’arte terminavano in qualcosa di molto simile alla cuffia che un radiotelegrafista mette sulla testa.

Tra le altre cose che Craig aveva portato dal laboratorio c’era un pacchetto che non aveva ancora scartato. Lo mise vicino alla finestra, ancora avvolto. Era abbastanza grande e doveva pesare nove o dieci chili. Fatto ciò, prese un metro a nastro e, come se fosse un geometra, iniziò a misurare varie distanze e si sarebbe detto che calcolasse gli angoli e le distanze dal davanzale della finestra di casa Spencer fino al lucernario, che era al centro esatto del museo. La distanza in linea retta, se ricordo bene, era più di cento metri.

Completati questi preparativi, non restava altro da fare se non attendere che succedesse qualcosa. Spencer rifiutò di accettare i nostri timori relativi alla sua sicurezza e solo con molta difficoltà potemmo dissuaderlo dal muovere cielo e terra per ritrovare Miss White, il che poteva certamente sconvolgere le strategie accuratamente pianificate da Kennedy. Spencer era così interessato da rimandare una delle conferenze aziendali più importanti dell’anno, a proposito di una causa anti-concorrenza, pur di essere presente con noi e il Dr. Lith nella piccola stanza sul retro.

Era ormai piuttosto tardi quando Kennedy completò i suoi veloci aggiustamenti, ma man mano che la notte avanzava eravamo sempre più ansiosi per ciò che poteva succedere. Questa volta, Craig appariva molto più ansioso di quanto non fosse l’altra sera in cui avevamo vegliato nella galleria d’arte. Spencer fumava nervosamente, accendendo un sigaro dopo l’altro e l’aria era quasi blu.

Craig aspettava con il ricevitore collegato alle bobine giù nel ripostiglio sempre all’orecchio e a malapena fu pronunciata una parola. “Questo apparecchio potrebbe chiamarsi elettro-detective,” aveva spiegato a Spencer. “Se per esempio, dovesse accadere qualcosa di strano in una qualsiasi stanza, il dispositivo me lo riferirebbe anche a chilometri di distanza. È l’invenzione d’uno studente di Thorne Baker, l’esperto inglese di elettricità. Mentre sperimentava le correnti elettriche ad alta frequenza, per studiare la natura delle scariche che elettrificavano alcuni oggetti, scoprì quasi per caso che se la stanza in cui si faceva l’esperimento fosse stata occupata da qualcuno, i suoi strumenti di misurazione ne segnalavano la presenza. Ha verificato il grado di variazione facendo passare la corrente che attraversava la stanza, in un cristallo sensibile posto dentro un sofisticato ricevitore telefonico. Verificò un netto cambiamento nel tipo di ronzio ascoltato attraverso il telefono quando la stanza era occupata o quando non lo era. Io, ho avvolto degli anelli di filo semplice su ciascun lato della stanza nel sotterraneo e poi ho avvolto tutta la stanza con alcuni giri di filo di rame nascosto. Questi elettrodi sono montati su un cristallo di carburo di silicio e un ricevitore telefonico.”

Tutti provammo ad ascoltare quell’aggeggio e nel ricevitore si sentiva un netto ronzio.

“La presenza di un uomo o di una donna nella stanza potrà essere captata da chilometri di distanza,” proseguì. “Attraverso quel magazzino passa costantemente una corrente ad alta frequenza. Ed è ciò che causa quel ronzio.”

Era quasi mezzanotte quando Kennedy improvvisamente esclamò: “Ecco, Walter, prendi il ricevitore. Pensa al tono di quel ronzio. Ascolta. Dimmi se riesci anche tu a capire che è differente.”

Misi rapidamente il ricevitore all’orecchio. In effetti era differente. Invece del ronzio a pieno volume ora lo si sentiva molto più lieve. Come fosse più lontano.

“Ciò significa,” disse Greg eccitato, “che qualcuno è entrato nel ripostiglio buio pesto usando la finestra rotta. Aspetta, voglio ricontrollare. Ah, sta tornando il ronzio forte. La persona sta lasciando la stanza. Penso che abbia trovato il bastone a luce elettrica e la pistola dove li avevamo lasciati. Ora, Walter, visto che ti sei abituato a questo effetto, riprova e dimmi cosa senti.”

Craig aveva già indossato l’altro apparecchio collegato alla stanza nella galleria d’arte e aveva il ricevitore telegrafico sulle orecchie. Ascoltava assorto e parlava, in attesa.

“Questo è un apparato,” disse, “ideato dal Dr. Fournier d’Albe, docente di fisica all’Università di Birmingham, per aiutare i ciechi. È noto come optofono. Quello che sto letteralmente facendo è ascoltare la luce. L’optofono traduce la luce in suono per mezzo di un semplice, meraviglioso elemento, il selenio, che nell’oscurità è un cattivo conduttore di elettricità, ma alla luce è invece un buon conduttore. Tale proprietà viene utilizzata dall’optofono per trasmettere una corrente elettrica che viene interrotta da uno speciale sistema a orologeria. Sicché luce e oscurità saranno udibili nel telefono. Questa cosa che indosso in testa è come un ricevitore di radiotelegrafia, in grado di rilevare una corrente anche di un quarto di microampere.”

Stavamo tutti aspettando con ansia che Craig dicesse altro. Evidentemente l’intruso stava ora salendo le scale verso la galleria d’arte.

“In realtà posso già sentire la luce delle stelle che brillano attraverso quel suo meraviglioso lucernario di vetro, signor Spencer,” continuò. “Pochi istanti fa, potevo sentire la luna che splendeva attraverso il vetro come il rombo di un carro in transito. Sapevo che era la luna sia perché conoscevo la sua posizione sia perché lo capivo dal suono. Il sole avrebbe il rombo di un treno espresso se adesso fossimo di giorno. È possibile distinguere un’ombra che passa tra l’optofono e la luce. Una mano mossa di fronte all’apparecchio emette un suono di fusa e uno sguardo fuori dalla finestra alla luce del giorno suona come un film riavvolto al cinematografo.

“Ah, ecco.” Craig ora ascoltava con intensa eccitazione. “Il nostro intruso è entrato nella galleria d’arte. Sta facendo ricognizione e lampeggia il suo bastone elettrico su vari oggetti. Se avessi l’esperienza giusta e se avessi avuto più tempo per studiarlo, potrei senza dubbio capire dal suono che cosa sta guardando.”

“Craig,” lo interruppi molto eccitato, “il ronzio della corrente ad alta frequenza sta diventando sempre più basso.”

“Perbacco, allora ce n’è un altro,” disse lui. “Non mi sorprende. Fa’ molta attenzione e dimmi quando il ronzio aumenta di nuovo.”

Spencer riusciva a malapena a controllare l’impazienza. Ormai non era più un semplice spettatore e non sembrava affatto gradire di essere tenuto sotto scacco da qualcuno.

“Ormai lei sa di sicuro che il vandalo è lì,” spense addirittura il sigaro nella sua eccitazione, “non possiamo correre laggiù e prenderlo prima che possa fare altri danni? Potrebbe distruggere migliaia di dollari di roba mentre stiamo qui.”

“E distruggerebbe l’intera collezione, l’edificio e tutto quanto, noi compresi, se sentisse il minimo sussurro,” aggiunse Kennedy con fermezza.

“La seconda persona ha lasciato il ripostiglio, Craig,” dissi io. “Il ronzio è tornato a pieno volume.”

Kennedy si strappò il ricevitore radiotelegrafico dalle orecchie. “Bene. Allora Walter, lascia perdere l’elettro-detective. Prendi l’optofono e descrivimi con estrema precisione, esattamente ciò che senti.”

Aveva estratto dalla tasca una piccola palla di metallo. Io ho preso il ricevitore mettendolo sulle orecchie. Mi sono serviti diversi istanti per abituare le orecchie ai nuovi suoni, che pure erano piuttosto chiari e ho urlato le mie impressioni circa le loro variazioni. Kennedy era occupato alla finestra dove aveva messo il pesante pacchetto a cui ora aveva strappato l’involucro. Aveva la schiena rivolta era verso di noi e non potevamo vedere cosa stesse facendo.

Nelle mie orecchie risuonò un frastuono terrificante, quasi spaccandomi i timpani. Era come se fossi stato improvvisamente scagliato in una gigantesca camera del vento dove ero stato travolto da una cataratta più potente delle cascate del Niagara. Fu molto doloroso e gridai per la sorpresa, lasciando involontariamente cadere sul pavimento il ricevitore.

“È perché si sono accese tutte le luci elettriche nella galleria d’arte,” berciò Craig. “L’altra persona deve essere arrivata nella stanza più in fretta del previsto. Ecco.”

Ci fu una forte esplosione, apparentemente sul davanzale della finestra della nostra stanza. Quasi nello stesso istante udimmo uno schianto di vetri proveniente dall’interno del museo.

Siamo corsi verso la finestra e mi aspettavo di trovare Kennedy ferito, mentre Spencer temeva di vedere il suo costoso museo trasformato in una massa di rovine fumanti. Invece nulla di tutto ciò. Sul davanzale della finestra c’era un piccolo strumento che sembrava un cannone portatile in miniatura con un elaborato sistema di molle e leve per evitare il rinculo.

Craig si voltò all’improvviso, ma poi si mise a correre a tutta velocità verso di noi. “Forza,” gridò senza fiato uscendo dalla stanza e afferrando il dottor Lith per un braccio. “Dottor Lith, mi dia le chiavi del museo! Dobbiamo arrivare prima che i fumi si depositino.”

Facendo le scale due alla volta, Craig trascinava con sé il dignitoso curatore.

In meno secondi di quanto lo si possa dire eravamo nel museo e salivamo l’ampia scalinata verso la galleria d’arte. Un gas opprimente sembrava permeare tutto.

“Fermi un momento,” avvertì Kennedy mentre ci avvicinavamo alla porta. “Ho appena sparato qui una delle bombe lacrimogene che la polizia di Parigi ha inventato per combattere contro gli Apache e i ladri in automobile. Aprite tutte le finestre e spettiamo che l’aria si schiarisca. Walter, respira meno che puoi, ma – vieni qui – lo vedi? – là, vicino all’altra porta – non c’è una figura sdraiata sul pavimento? Tutti dietro di me e portatelo fuori. Una sola cosa ancora. Se non torno tra un minuto, cercatemi e trovatemi.”

Il sarcofago della mummia: rivelazioneQuindi si lanciò in mezzo ai fumi soffocanti. Presi un’ultima lunga boccata d’aria fresca e mi tuffai dietro di lui, senza sapere cosa mi poteva succedere. Vidi la figura sul pavimento, la afferrai e uscii dalla stanza il più velocemente possibile.

Ero stordito dai fumi che avevo dovuto inalare, ma riuscii a trascinare la persona svenuta fino alla finestra più vicina. Era Lucille White.

Un istante dopo mi sentii spinto via senza tante cerimonie. Spencer aveva dimenticato i suoi milioni di dollari di antichità, tutti i sospetti che aveva nutriti verso la donna e si era appropriato del fardello semicosciente.

“Questa è la seconda volta che ti trovo qui, Edouard,” mormorava la donna nel suo mezzo delirio, ancora non cosciente. “La prima volta – quella notte quando mi sono nascosta nella custodia della mummia, sei fuggito e io ti avevo chiesto aiuto. Ti seguo da ieri sera per impedirtelo. Edouard, non farlo, non farlo! Ricorda che ero… che sono tua moglie. Ascoltami. Ah, è l’assenzio che ha rovinato la tua arte e l’ha resa indegna, non i critici. Non è stato il signor Spencer a sedurmi, ma sei tu che mi hai cacciata, prima da Parigi e poi da New York. Lui è stato solo… No! No! —” ora urlava, con gli occhi spalancati perché si era resa conto che chino su di lei c’era proprio Spencer. Sembrò risvegliarsi con grande sforzo. “Non stia qui. Forza — corra via. Mi lasci. Ha una bomba che esploderà da un momento all’altro. Ah – oh – è la maledizione dell’assenzio che mi perseguita. Non lo insegue? Vite! Vite!”

Era più svenuta che cosciente e adesso parlava in francese, rideva e piangeva, ordinando a Spencer di andare, ma si aggrappava a lui.

Spencer non prestò attenzione alla stioria della bomba. Ma io sì. Il minuto era passato, e Kennedy non era tornato. Mi precipitai per aiutarlo in ogni caso.

Proprio in quel momento una forma mezzo svenuta barcollò verso di me. Era Craig. Teneva tra le mani l’infernale macchina a cinque tubi di vetro che avrebbe potuto farci esplodere nell’eternità in qualsiasi momento.

Sopraffatto, inciampò. Non potrò mai descrivere quella sensazione di sprofondamento del mio cuore. Aspettavo la terrificante esplosione che avrebbe posto fine a tutti noi tra un misero secondo, un lungo e interminabile secondo.

Ma non è successo.

Zoppicante com’ero per lo shock, caddi accanto a lui e mi sdraiai.

“Un bicchiere d’acqua, Walter,” mormorò, “e fammi un po’ d’aria. Non osavo pensare di poter fare tutto quel che si doveva e allora ho svuotato l’acido nel sarcofago. Temo di essere rimasto lì dentro un po’ troppo a lungo. Ma adesso siamo al sicuro. Vedi se ti riesce di portar fuori Delaverde. È vicino al sarcofago della mummia.”

Spencer stringeva ancora Lucille e con l’aria fresca nella sala la donna stava molto meglio. “Capisco,” mormorò. “Hai seguito questo tuo marito per proteggere il museo e anche me da lui. Lucille, Lucille, guardami. Tu sei mia, non sua, vivo o morto che lui sia. Ti libererò da lui e dalla maledizione dell’assenzio che ti ha perseguitata.”

I fumi soffocanti si erano ormai molto diradati. Al centro della pinacoteca trovammo un uomo, un francese alto e dalla barba nera, impazzito per la maledizione dell’assenzio verde che lo aveva rovinato. Respirava a malapena per una ferita mortale al petto. L’anello della molla dell’Apache Revolver aveva fatto esplodere la cartuccia mentre cadeva.

Spencer non lo guardò nemmeno, intento com’era a portare il suo amato fardello nel piccolo ufficio del Dr. Lith.

“Quando un uomo ricco sposa una ragazza che si guadagna da vivere, i giornali distorcono sempre la realtà,” mi sussurrò Craig pochi minuti dopo. “Jameson, tu sei un giornalista e questa volta conto su di te perché tutto sia descritto nel modo giusto.”

Fuori, Kennedy mi afferrò per il braccio.

“Lo farai, Walter?” chiese in modo deciso. “Spencer non è un cliente di tutti i giorni. Torna negli uffici dello Star e racconta tutta la storia. Ti prometto che non assumerò un nuovo caso finché non potremo seguirlo assieme.”

Non potevo negarglielo. A tarda notte buttai giù i fatti principali il più in fretta possibile e li consegnai al caporedattore. Ero troppo stanco per scrivere un lungo articolo, ma non potei fare a meno di provare soddisfazione sentendogli dire: “Roba grossa, Jameson, bello.”

“Lo so,” risposi, “ma una settimana di vita a pieno regime è logorante.”

“Caro ragazzo,” disse, “se avessi mandato un altro su quella storia, sarebbe morto. Vada a letto… tutto a posto.”

Sapevo che mi blandiva. Ma in un modo o nell’altro mi faceva piacere. Era ciò che mi serviva per andare avanti e mi affrettai verso la stanza che mi avrebbe concesso un sonno profondo e ristoratore.

“Molto bene,” osservò Kennedy la mattina seguente, sporgendosi dalla porta della mia stanza e mostrandomi una copia del Star nella quale era stata pubblicata all’ultimo momento una descrizione molto accurata degli avvenimenti. “Vado al laboratorio. Ci vediamo lì non appena mi puoi raggiungere.”

“Craig,” osservai più o meno un’ora dopo mentre entravo in laboratorio dove lui era al lavoro, “non capisco come tu riesca a sopportare questa febbrile attività.”

“Sopportarla?” ripeté, alzando un becher alla luce per osservare la reazione. “È la mia stessa vita. Sopportarla? Perché, amico mio, se vuoi che muoia, fermala. Finché dura, starò bene. Se finisce, tornerò al lavoro di ricerca,” rise.

Evidentemente stava aspettandomi, perché mentre parlava, mise da parte i materiali con cui lavorava e si preparò per uscire.

“Inoltre,” continuò, “mi piace essere con persone come Spencer e Brixton. Per esempio, mentre ti aspettavo, è arrivata una chiamata da Emery Pitts.”

“Emery Pitts?” echeggiai. “Cosa vuole?”

“Il modo migliore per scoprirlo è… andarglielo a chiedere,” rispose. “Si fa tardi e ho promesso di andare subito da lui. Penso sia meglio prendere un taxi.”

Pochi minuti dopo venimmo accolti in una grande villa della Quinta Avenue per ascoltare una storia davvero interessante perfino per Kennedy.

“In cucina non è stata calpestata nemmeno una macchia di sangue. Non è stato modificato niente dopo aver scoperto il cadavere dello chef assassinato, eppure, il suo corpo è stato spostato nella stanza accanto.”

Emery Pitts, uno dei tantissimi milionari dell’acciaio, travolto da quell’omicidio avvenuto nella sua stessa casa, si lasciò cadere esausto su una poltrona.

Pitts non era un uomo anziano; anzi, per gli anni era nel pieno della sua esistenza. Tuttavia, a giudicare dal suo aspetto attuale, pareva mostrare quasi il doppio della sua età. Tutto questo in netto contrasto con Minna Pitts, la sua giovane e graziosissima moglie, che ora gli stava accanto nella caratteristica sala da pranzo e gli sistemava premurosamente un cuscino dietro la testa.

Kennedy ed io lo guardavamo stupiti. Sapevamo che poco tempo prima si era ritirato dall’attività lavorativa, dichiarando come motivo il suo cattivo stato di salute. Ma, quando quella mattina presto era arrivata la convocazione improvvisa per visitarlo immediatamente a casa sua, nessuno di noi aveva pensato che la sua condizione fosse così seria come ora era evidente.

“In cucina?” ripeté Kennedy, evidentemente non preparato a pensare a problemi in quella parte della casa.

Pitts, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì lentamente e notai quanto fossero contratti i suoi occhi.

“Sì,” rispose un po’ stancamente, “la mia cucina privata che ho fatto installare apposta. Deve sapere che io seguo una dieta speciale. Ho offerto centomila dollari per ottenere un recupero della giovinezza. La farò portare là presto.”

Ricadde nuovamente in uno stato sognate, la testa china sulla mano appoggiata al bracciolo della poltrona. Sul tavolo c’era ancora la posta del mattino: alcune lettere erano già state aperte, nel momento in cui gli era stata annunciata la scoperta. La signora Pitts era apparentemente molto eccitata e sconvolta dalla macabra scoperta dentro casa.

“Non ha idea di chi possa essere l’assassino?” chiese Kennedy, rivolgendosi a Pitts, ma osservando con attenzione la moglie.

“No,” rispose Pitts, “se lo sapessi avrei chiamato la polizia. Volevo che se ne occupasse lei della questione, prima che qualcuno manomettesse gli indizi. Tanto per cominciare, non pensiamo che possa essere stato uno degli altri domestici. Così, per lo meno, dice Minna che sa non esserci stata nessuna questione.”

“Come avrebbe potuto qualcuno entrare dall’esterno?” chiese Craig.

“C’è un ingresso posteriore, per i domestici, ma di solito è chiuso a chiave. Naturalmente qualcuno potrebbe essersi impossessato della chiave per aprirlo.”

Durante tutto il dialogo la signora Pitts era rimasta in silenzio. Non potevo fare a meno di pensare che sospettasse qualcosa, forse stava nascondeva qualcosa. Anche se, sembravano tutti e due parimenti desiderosi che il malfattore, chiunque fosse, venisse catturato.

“Mia cara,” disse infine Pitts, “potresti chiamare qualcuno che li accompagni in cucina?”

 

Traduzione
© 2024 by Mario Luca Moretti
© 2024 by Franco Giambalvo
Immagini generate con AI Microsoft Designer

 

Arthur B. Reeve: Kennedy & Jameson
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nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"