Il nono racconto dell’ormai ben noto scrittore Arthur B Reeve, si intitola L’elisir di lunga vita, tratto da Il medico dei sogni, nella nuovissima traduzione di Mario Luca Moretti e mia, Franco Giambalvo, Il libro uscirà presso Edizioni Scudo a cura di Giorgio Sangiorgi e Luca Oleastri. Questo racconto, ancora più di altri conserva tutto il fascino e la magia degli anni ’20 del secolo scorso: una scienza che non esisteva e una fantasia che vale la pena di seguire.
Al momento sono disponibili su questo sito i seguenti capitoli:
1. Il medico dei sogni,
2. Analisi dell’anima
3. Il Sibarita
4. Il salone di bellezza
5. Il circuito fantasma
6. Il Detettàfono
7. La maledizione verde
8. Il sarcofago della mummia
Il capitolo di prossima programmazione, La tossina della morte, risolverà del tutto questo mistero.

 

Minna Pitts ci guidò per la grande villa alla ricerca di un servitore che ci portasse in cucina e ci spiegò che il signor Pitts era stato a lungo malato e in quel momento stava seguendo una nuova cura studiata dal Dottor Thompson Lord. Non avendo ricevuto risposta al suono del campanello per via dello stato di scombussolamento nella casa, infine ci portò lei stessa alla porta a spinta della cucina, si fermò con un piccolo brivido solo il tempo necessario per raccontarci la storia, così come l’aveva sentita dal valletto, Edward.

A quel che sembrava, il signor Pitts aveva chiesto una colazione anticipata e aveva mandato Edward a ordinarla. Il valletto aveva trovato in cucina un vero e proprio disastro e il cuoco Sam, un uomo di colore, disteso sul pavimento. Sam era morto, sembrava, dalla sera prima.

Quando lei si fu allontanata, Kennedy spalancò la porta. Quella cucina antisettica o meglio asettica era un luogo meraviglioso con i rivestimenti smaltati bianchi, un enorme frigorifero e gli utensili da cucina adatti a qualsiasi evenienza, di fattura costosa e moderna.

Ovunque c’erano segni di lotta e, per terra, dove si era trovato il cuoco il cui corpo ora giaceva nella stanza accanto in attesa del medico legale, c’era un lungo coltello da carne con cui evidentemente l’uomo si era difeso. Sulla lama e sul manico si vedevano enormi macchie di sangue coagulato. Il corpo di Sam presentava segni di qualcuno che l’avesse afferrato violentemente per la gola e sulla testa aveva una sola profonda ferita che penetrava dentro il cranio in modo molto particolare. Non sembrava possibile che fosse il risultato di un colpo di coltello. La ferita era molto insolita e non era nemmeno il tipo di ferita che avrebbe potuto essere causata da un proiettile.

Mentre Kennedy esaminava il corpo scuotendo la testa, osservò a conferma della propria opinione: “Deve essere stata una pistola Behr senza proiettile.”

La Behr: elisir di lunga vita“Una pistola senza proiettile?” ripetei.

“Sì, una specie di pistola con un dispositivo a molla che proietta una lama affilata con grande forza. Non utilizza né proiettile né polvere. Ma quando viene posizionata esattamente su un punto vitale del cranio in modo che il bersaglio non possa essere mancato, un grilletto fa scattare una lunga lama con una forza tremenda e la morte è istantanea.”

Vicino alla porta, che conduceva al cortile per poi aprirsi sulla strada laterale, c’erano alcune macchie di sangue. Erano così lontane dal luogo in cui il valletto aveva scoperto il corpo del cuoco che non poteva esserci alcun dubbio sul fatto che il sangue fosse dell’assassino stesso. Il ragionamento di Kennedy sulla questione sembrava inappellabile.

C’era un tavolo vicino alla porta, coperto da un grande panno leggero e Kennedy guardò sotto. Lì e dietro al panno trovò un’altra macchia di sangue.

“Come è finita qui?” rifletté ad alta voce. “La tovaglia non presenta macchie di sangue.”

Craig ci pensò un momento. Poi sbloccò la porta e l’aprì.

Si creò una corrente d’aria e il panno si mosse.

“Chiaramente,” esclamò, “quella goccia di sangue è finita sotto il tavolo mentre la porta veniva aperta. Tutte le probabilità indicano che sia caduta da un taglio, forse sulla mano o sul viso dell’assassino stesso.”

Sembrava del tutto ragionevole, poiché le macchie di sangue per la stanza erano tali da indicare che l’assassino fosse stato gravemente ferito dal coltello da carne.

“Chiunque abbia attaccato il cuoco deve essere stato ferito seriamente,” osservai, raccogliendo il coltello insanguinato e guardando le macchie, relativamente poche delle quali potevano provenire dalla singola fatale ferita profonda sulla testa della vittima.

Kennedy era assorto nello studio delle macchie, evidentemente considerando che le loro dimensioni, forma e posizione potessero gettare un po’ di luce sull’accaduto. “Walter,” disse infine, “mentre sono occupato qui, vorrei che tu trovassi quel valletto, Edward. Voglio parlargli.”

Mi ci volle un po’, ma lo trovai: un giovane pulito molto al di sopra dell’intelligenza media.

“Ci sono alcune cose che non mi sono ancora chiare, Edward,” cominciò Kennedy. “Ora, dove si trovava esattamente il corpo quando hai aperto la porta?”

Edward indicò l’esatto punto, vicino al lato della cucina verso la porta che conduceva alla sala da colazione e di fronte al frigorifero.

“E la porta sulla strada laterale?” chiese Kennedy, apparentemente colpito molto positivamente dal giovanotto.

“Era chiusa a chiave, signore,” rispose sicuro.

Kennedy stava chiaramente considerando l’onestà e la fedeltà del valletto. Alla fine, si chinò e chiese rapidamente, “Posso fidarmi di te?”

Il sincero “Sì” del giovane suonò abbastanza convincente.

“Ciò che voglio,” proseguì Kennedy, “è avere qualcuno dentro la casa che possa dirmi tutto ciò che pensa dei visitatori, dei messaggeri che verranno qui in mattinata. Sarà un atto di lealtà nei confronti del tuo datore di lavoro; quindi, non devi preoccuparti per questa missione.”

Edward fece un inchino e ci lasciò. Quando ero stato a cercare Edward, Kennedy aveva telefonato al suo laboratorio e aveva parlato con uno dei suoi studenti. Gli aveva ordinato di portare lì un’apparecchiatura che descrisse e altro materiale.

Mentre aspettavamo, Kennedy mandò a dire a Pitts che voleva parlargli da solo per pochi minuti.

L’apparecchio richiesto sembrava essere composto da una palla di gomma e un manicotto con un sacchetto sempre di gomma attaccato all’interno. Da esso usciva un tubo che terminava in un altro tubo di vetro graduato con al suo interno una sottile linea di mercurio come fosse un termometro.

Craig adattò l’oggetto sopra l’arteria brachiale di Pitts, appena sopra il gomito.

“Potrebbe essere un po’ scomodo, signor Pitts,” si scusò, “ma sarà solo per pochi minuti.”

La pressione attraverso la palla di gomma chiuse l’arteria in modo che Kennedy non potesse più sentire il battito dal polso. Mentre lavorava, cominciai a capire quel che stava cercando. Sapevo che la lettura sulla scala graduata dell’altezza della colonna di mercurio indicava la pressione sanguigna. Questa volta, mentre lavorava, notai anche la pelle flaccida di Pitts così come le pupille piccole e non reattive.

Completò il test in silenzio e si scusò, anche se mentre tornavamo in cucina bruciavo di curiosità.

“Cosa era?” chiesi. “Cosa hai scoperto?”

“Quello,” rispose, “era uno sfigmomanometro, qualcosa di simile allo sfigmografo che abbiamo usato una volta in un altro caso. La pressione sanguigna normale è di 125 millimetri. Il signor Pitts mostra una pressione alta, molto alta. Anche le grandi compagnie di assicurazione sulla vita utilizzando questo strumento. Ti direbbero che una pressione alta come quella del signor Pitts è sintomo di apoplessia. Il signor Pitts, pur se appare giovane, è in realtà anziano. Come sai, si dice che un uomo è vecchio quanto lo sono le sue arterie. Pitts ha un indurimento delle arterie, o arteriosclerosi… forse anche altri problemi cardiaci e renali, insomma una situazione di pre-senilità.”

Craig si bloccò, poi aggiunse, come se stesse parlando a sé stesso: “Secondo le ultime teorie sull’invecchiamento, pare che sia dovuto a certi microbi velenosi presenti nell’intestino, capaci di penetrare le pareti intestinali. Per cui, nella senilità precoce i sintomi sono gli stessi dell’invecchiamento, ma l’acutezza mentale non è troppo compromessa.”

A quel punto eravamo di nuovo in cucina. Lo studente di Kennedy gli aveva anche portato parecchi vetrini di microscopio e provette sterilizzate: Craig prelevava e archiviava campioni dalle macchie di sangue prese qui e là apparentemente a caso. Raccolse anche campioni dei vari cibi, che sistemò nelle provette sterilizzate.

Mentre lavorava, Edward si unì a noi timidamente.

“Cosa è successo?” chiese Craig.

“È arrivato un messaggio di un ragazzo per la signora Pitts,” sussurrò il valletto.

“E lei, cosa ne ha fatto?”

“L’ha strappato.”

“Hai i pezzi?”

“Li deve aver nascosti non so dove.”

“Vedi se li trovi.”

Edward annuì e si allontanò.

“Già,” osservai quando se ne fu andato, “direi che la cosa più sensata da fare è mettersi sulle tracce di qualcuno che mostri d’essersi ferito. Per esempio, Craig, ho notato che Edward non mostra segni simili, né altri nella casa per quanto io possa capire. Se fosse stato un lavoro fatto dall’interno, immagino che almeno Edward avrebbe potuto essere scagionato. Il punto è dunque trovare la persona con una mano bendata o il viso coperto da una fasciatura.”

Kennedy acconsentì, ma la sua mente era da tutt’altra parte. “Prima di andare, dobbiamo vedere la signora Pitts da sola, se possibile,” disse semplicemente.

In risposta alla sua richiesta la donna mandò a dire, attraverso uno dei servitori, che ci avrebbe incontrati subito nel suo salotto. Gli eventi della mattina l’avevano naturalmente sconvolta ed era, se possibile, ancora più pallida rispetto a quando l’avevamo vista la prima volta.

“Signora Pitts,” disse Kennedy, “suppongo che sia consapevole delle condizioni fisiche di suo marito?”

Detto così mi sembrò un po’ brusco, ma forse era intenzionale.

“Perché?” chiese davvero allarmata. “Sta così male?”

“Piuttosto male,” osservò Kennedy senza pietà, notando l’effetto delle sue parole. “Così male, temo, che un po’ più di eccitazione come quella di oggi potrebbe scatenargli un attacco apoplettico. Le consiglierei di prendersi particolare cura di lui, signora Pitts.”

Seguendo il suo sguardo, cercavo di capire se l’agitazione della donna di fronte a noi fosse genuina o meno. Certamente così sembrava. Ma poi, sapevo che era stata un’attrice prima del matrimonio. In quel momento stava recitando una parte?

“Cosa vuole dire?” chiese la donna con voce tremante.

“Signora Pitts,” rispose prontamente Kennedy, osservando ancora il gioco delle emozioni sulle sue delicate fattezze, “credo che qualcuno debba essere entrato in cucina la scorsa notte, non so se qualcuno regolarmente presente, o uno che avesse facile modo di accedervi. Per capirne il motivo, lascio a lei il giudizio. Ma Sam ha sorpreso l’intruso ed è stato ucciso per la sua fedeltà.”

Il suo sguardo stupito diceva chiaramente che, sebbene potesse aver sospettato qualcosa del genere, non pensava a nessun colpevole ed effettivamente non ne sapeva nulla.

“Non riesco a immaginare chi potrebbe essere stato, se non uno dei domestici,” mormorò in fretta; aggiungendo, “e non ho il diritto di sospettare nessuno di loro.”

Aveva in parte riacquistato la sua compostezza e Kennedy capì che continuare oltre quella conversazione sarebbe solo servito a esporre la sua mano prima che fosse pronto a giocarla.

“Quella donna nasconde qualcosa,” osservò Kennedy pochi minuti dopo, mentre uscivamo dalla casa.

“Ma lei però non mostra alcun segno di violenza,” commentai.

“No,” concordò Craig, “no, hai ragione; per adesso.” Aggiungendo: “Sarò molto occupato in laboratorio questo pomeriggio e probabilmente anche dopo. Ma passa per l’ora di cena e, senza dire niente a nessuno, usa la tua posizione allo Star per cercar di sapere cosa stanno facendo gli investigatori della polizia.”

Non era un compito difficile, dato che quelli rilasciavano delle dichiarazioni il cui senso era solo far sapere che si davano da fare, ma non avevano nulla da riferire.

Kennedy era ancora occupato quando lo raggiunsi, volutamente un po’ in ritardo, sapendo che sarebbe stato immerso nel lavoro.

“E questo cosa è… uno zoo?” chiesi, guardandomi intorno quella sera mentre entravo nel santuario.

C’erano cani e cavie, ratti e topi, un serraglio che avrebbe deliziato un bambino. Non sembrava il vecchio laboratorio per indagini scientifiche criminali, ma guardando bene vidi che nulla era cambiato: c’era il solito caos di microscopi, provette e tutta la sconcertante attrezzatura di sempre che, sotto la sua abile mano, rendeva apparentemente semplici i casi più complicati.

Craig sorrise alla mia sorpresa. “Sto facendo un piccolo studio sui veleni intestinali,” commentò, “veleni prodotti da microbi che teniamo più o meno sotto controllo con una vita sana. Dopo la morte sono questi piccoli individui che si espandono per tutto il corpo e lo putrefanno. Nutriamo dentro di noi microbi che secernono veleni molto pericolosi e quando quei veleni sono troppi per noi… be’, invecchiamo. Almeno questa è la teoria di Metchnikoff, il quale afferma che la vecchiaia è una malattia infettiva cronica. Più o meno,” aggiunse pensieroso, “quella bella cucina bianca nella casa dei Pitts, in realtà era diventata una fabbrica di veleni intestinali.”

C’era un’aria di eccitazione repressa nel suo modo di fare che mi diceva che Kennedy era sulle tracce di qualcosa di insolito.

“Omicidio attraverso la bocca,” esclamò infine, “era quello che stava accadendo in quella meravigliosa cucina. Sai, l’uccisione scientifica di esseri umani ha di gran lunga superato le capacità di indagine. Sì, sai che l’avrei detto; tu credi che io guardi questo aspetto quasi con compiacenza. No, ma è comunque così.

“Per la polizia è una questione molto semplice catturare l’assassino comune che usa il coltello o la pistola, ma è diverso quando devono investigare sulla morte di una persona che è stata vittima dell’assassino moderno che uccide, per esempio, con un bacillo mortale. Secondo le autorità, e io la penso come loro, in questo paese ogni anno vengono commessi centinaia di omicidi che non vengono rilevati, perché i poliziotti non sono scienziati mentre gli assassini usano le conoscenze degli scienziati per commettere e nascondere i loro crimini. Sai, Walter, un dipartimento scientifico per l’omicidio non solo risolverebbe quasi ogni mistero di avvelenamento, ma ispirerebbe anche un grande timore ai potenziali assassini facendo loro abbandonare i tanti tentativi di togliere la vita.”

Era entusiasta del caso come non l’avevo mai visto. Infatti, era evidente che metteva alla prova le sue massime capacità.

“Cosa hai trovato?” chiesi, sorpreso.

“Ricordi il mio uso dello sfigmomanometro?” chiese. “In primo luogo, quello mi ha messo su quella che sembra essere una pista evidente. Il più temuto tra tutti i mali del sistema cardiaco e vascolare oggigiorno sembrano essere l’arteriosclerosi, o indurimento delle arterie. È possibile per un uomo di quarant’anni, come il signor Pitts, avere arterie in una condizione che normalmente non si riscontrerebbe in persone al di sotto dei settant’anni.

“L’arteria indurita o in indurimento, crea una maggiore pressione sanguigna, con conseguente maggiore sforzo del cuore. Il che può portare, come in questo caso, a una lunga serie di sintomi angoscianti e, ovviamente, alla morte finale. Secondo le statistiche, le malattie cardiache stanno portando via una percentuale sempre maggiore di persone rispetto al passato. Il che non può essere negato e viene attribuito in gran parte allo stress, alla frenesia anomala della vita di oggi e talvolta a metodi alimentari scorretti, con cattiva nutrizione. In genere, nel signor Pitts potrebbero sembrare all’opera proprio queste cause naturali. Ma io non ci credo, Walter, non ci credo. C’è di più. Sai, non posso fare altro stanotte; devo capirne di più da questi animali e dalle colture che ho nelle provette. Facciamo un giro o due, poi ceniamo e forse potremo ricevere qualche notizia da Edward, nel nostro appartamento.”

Quella notte era tardi quando un leggero bussare alla porta dimostrò che la speranza di Kennedy non era infondata. Aprii la porta e feci entrare Edward, il valletto, che ci consegnò i frammenti di un biglietto, strappato e accartocciato.

“Non c’è nulla di nuovo, signore,” spiegò, “se non che la signora Pitts sembra più nervosa che mai e il signor Pitts, però, pare sentirsi un po’ meglio.”

Kennedy non disse nulla, mentre lavorava con la fronte corrugata a ricomporre il biglietto che aveva trovato Edward dopo aver cercato per tutta la casa. Era stato buttato nel camino della stanza della signora Pitts e una parte non si era consumata solo per caso. Il centro del biglietto era del tutto assente, ma la prima e l’ultima parte erano leggibili.

Apparentemente era stato scritto la stessa mattina in cui era stato scoperto l’omicidio.

Diceva semplicemente: “Sono riuscito a far dichiarare Thornton …” Poi c’era la parte mancante. Le ultime parole erano chiare e dicevano: ”…rinchiuso in un’istituzione opportuna dove non potrà causare altri danni.”

Non c’era firma, come se il mittente sapesse perfettamente che il destinatario avrebbe capito.

“In ogni caso non è difficile fornire parte del contesto,” rifletté Kennedy. “Non sappiamo chi sia Thornton, ma pare che qualcuno sia riuscito a farlo dichiarare ‘matto’. Se si trova in un’istituzione vicino a New York, dovremmo essere in grado di localizzarlo. Edward, questo è un indizio molto importante. Per ora basta così.”

Kennedy impiegò il resto della notte a scrivere un elenco di tutte le istituzioni, pubbliche e private dove potevano essere detenuti i malati di mente, entro un notevole raggio dalla città.

La mattina seguente, dopo un’ora circa trascorsa in laboratorio apparentemente per confermare alcuni test di controllo che Kennedy aveva preparato per essere sicuro di non sbagliare con le indagini, partimmo per una serie di rapide visite ai diversi sanatori cittadini, in cerca di un paziente di nome Thornton.

Non tenterò di descrivere le molte curiose cose ed esperienze che abbiamo vissuto e constatato. Non sarebbe difficile credere che chi abbia trascorso anche solo il breve tempo che abbiamo sperimentato noi in un sanatorio, potrebbe pensare che il mondo sia ormai abitato solo da folli. Trovammo migliaia di nomi, e non per modo di dire, in quegli elenchi esaminati pazientemente, passandoli tutti in rassegna, perché Kennedy non era affatto sicuro che Thornton fosse un nome di battesimo e non potevamo perdere tempo con delle congetture.

Fu solo molto tempo dopo il tramonto che, stanchi dalla ricerca e coperti di polvere per il nostro frenetico girovagare attraverso il paese con l’auto che Kennedy aveva noleggiato dopo aver esaurito le istituzioni cittadine, arrivammo in un piccolo manicomio privato a Westchester. Ero quasi disposto a rinunciare per quel giorno e ricominciare tutto il giorno dopo, ma Kennedy sembrava sentire che il caso fosse troppo urgente per perdere anche solo dodici ore.

Era un posto strano, isolato, fuori mano, e circondato da un alto muro di mattoni che racchiudeva un giardino di dimensioni abbastanza notevoli.

Un suono al campanello portò alla porta una cameriera molto decisa.

“Avete… ehm… qualcuno qui di nome Thornton… ehm…?” Kennedy si fermò in modo tale che, se fosse stato il cognome, avrebbe potuto non andare oltre e se fosse stato un nome di battesimo, avrebbe fatto capire di poter continuare.

“C’è un signor Thornton che è arrivato ieri,” rispose lei sgarbatamente, “ma non potete vederlo. È contro le regole.”

“Sì… ieri,” ripeté Kennedy con entusiasmo, ignorando l’asprezza della donna. “Potrei…” le infilò una banconota stropicciata in mano… “potrei parlare con l’infermiere del signor Thornton?”

La banconota parve rendere l’acidità della ragazza leggermente più alcalina. Aprì la porta un po’ di più e ci trovammo in una sala d’attesa arredata in modo semplice e deserta.

Potevamo essere nella sala d’attesa di un ricco gentiluomo di campagna, tanto era tranquilla. Per quanto potessi capire, non c’era alcuno dei deliri che mi sarei aspettato in un manicomio, anche se del ventesimo secolo, nessun materiale per una storia di Poe sul Dr. Catrame e il Professor Piuma.

Alla fine si aprì la porta del corridoio ed entrò un uomo, non di aspetto gradevole tuttavia, per via delle mani e delle braccia grandi e potenti e le gambe leggermente arcuate, quasi da bulldog. Eppure, non dava l’impressione di essere aggressivo, uno che mostrerebbe la forza fisica senza una buona ragione.

“È lei che si occupa lei del signor Thornton?” chiese Kennedy.

“Sì,” fu la risposta secca.

“Immagino che qui stia bene?”

“Non sarebbe qui se stesse bene,” fu la pronta replica. “E lei chi sarebbe?”

“Lo conoscevo molto tempo fa,” rispose Craig evasivamente. “Il mio amico qui non lo conosce, ma mi trovavo in visita in questa parte di Westchester e, avendo sentito che lui era qui, ho pensato di fare un salto, solo per i tempi passati. Ecco qui.”

“Come ha saputo che era qui?” chiese l’uomo sospettoso.

“L’ho saputo indirettamente da una mia amica, la signora Pitts.”

“Ah.”

L’uomo sembrò accettare la spiegazione per ciò che pareva.

“È molto… molto grave?” chiese Craig con ben simulato interesse.

“Mah,” rispose l’uomo, un po’ ammorbidito dal buon sigaro che gli avevo offerto, “non andate a dirlo a lei, ma il nome Minna non lo dice una volta al giorno, ma mille volte al giorno. Questi drogati hanno strane illusioni.”

“Strane illusioni?” chiese Craig. “Perché, cosa vuol dire?”

“Senta,” esclamò l’uomo. “Non vi conosco, voi due. Venite qui dicendo che siete amici del signor Thornton. Come faccio a sapere chi siete?”

“Eh,” azzardò Kennedy, “potrei dirle che sono anche amico dell’uomo che lo ha fatto rinchiudere.”

“Il dottor Thompson Lord?”

“Esattamente. Il mio amico qui conosce molto bene il dottor Lord, vero, Walter?”

Così sollecitato, mi affrettai ad aggiungere, “Sì, certo.” Poi, sfruttando l’apertura, mi affrettai: “Ma il signor Thornton è violento? Credo che questo posto sia piccolo, ma è uno dei luoghi più tranquilli che abbia mai visto.”

L’uomo scosse la testa.

“Perché,” aggiunsi, “pensavo che alcuni drogati fossero violenti e spesso dovessero essere trattenuti con la forza.”

“Non troverete un segno o un graffio su di lui, signore,” rispose l’uomo. “Questo non è il nostro metodo.”

“Non un segno o un graffio su di lui,” ripeté Kennedy pensieroso. “Mi chiedo se mi riconoscerebbe.”

“Non saprei,” concluse l’uomo. “E, inoltre, non possiamo provare. È contro le regole. Voi signori siete qui solo per il fatto che conoscete tante persone che lui conosce. Per vederlo dovrete venire in un giorno prestabilito e su appuntamento, signori.”

C’era un’aria definitiva in questa dichiarazione, sicché Kennedy si alzò e andò alla porta con un caloroso “Grazie, per la sua gentilezza,” chiedendo che riferisse al “povero vecchio Thornton” la sua simpatia.

Mentre salivamo in macchina, mi diede una pacca nelle costole. “Facciamo conto di averlo visto,” esclamò. “Drogato, amico della signora Pitts, rinchiuso dal dottor Lord, nessuna ferita.”

Poi, mentre ci dirigevamo verso la città, piombò nel silenzio.

“A casa dei Pitts,” ordinò Kennedy mentre procedevamo, dopo aver guardato l’orologio e visto che erano passate le nove. Poi rivolto a me, “Dobbiamo vedere ancora una volta la signora Pitts, e da sola.”

Quando Kennedy mandò a dire di voler vedere la signora Pitts, aspettammo un po’. Alla fine, apparve. Pensai che evitasse lo sguardo di Kennedy e sono sicuro che intuisse come lui avesse una rivelazione da farle, per la quale si stava preparando.

Craig la salutò nel modo più rassicurante possibile, ma mentre sedeva nervosamente davanti a noi, potevo vedere che in realtà la signora era pallida, esausta e ansiosa.

“Abbiamo avuto una giornata piuttosto difficile,” disse Kennedy dopo le solite scontate domande sulla sua salute e quella del marito, che a mio avviso erano andate fin troppo per le lunghe.

“Davvero?” chiese lei. “Siete arrivati più vicini alla verità?”

Kennedy la guardò negli occhi e lei distolse lo sguardo.

“Sì, io e il signor Jameson abbiamo trascorso la maggior parte della giornata passando da un’istituzione per malati di mente a un’altra.”

Si fermò. L’espressione sorpresa sul volto della donna disse chiaramente, come se avesse parlato, che il suo commento aveva colpito nel segno.

Senza darle la possibilità di rispondere, o di pensare a come sfuggire dall’argomento, Craig proseguì rapido con il resoconto di ciò che avevamo fatto, senza dire nulla riguardo alla lettera che ci aveva spinto a cercare Thornton, ma lasciando che lei pensasse che Craig sapesse molto di più di quanto era disposto a rivelare.

“In breve, signora Pitts,” concluse fermamente, “non ho bisogno di dirle che so già molto riguardo alla questione che tenta di nasconderci.”

L’accumularsi di fatti su fatti, per quanto fosse sconcertante per me che ancora non avevo idea di dove il mio amico volesse andare a parare, fu troppo per la donna che invece conosceva la verità, anche se non sapeva di quanto Kennedy fosse a conoscenza. Minna Pitts camminò nervosamente per la stanza, quell’aria di attrice del tutto scomparsa, ma con la grazia innata e il sentimento dell’attrice che si manifestavano senza freni nelle sue azioni.

“Lei conosce solo una parte della mia storia,” strillò, ora fissandolo con gli occhi asciutti. “Ma è solo questione di tempo, poi scoprirà tutto con i suoi metodi inquietanti e occulti, signor Kennedy; per cui mi affido a lei.”

 

Traduzione
© 2024 by Mario Luca Moretti
© 2024 by Franco Giambalvo
Immagini generate con AI Microsoft Designer

 

Arthur B. Reeve: Kennedy & Jameson
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nasce il 5 ottobre 1880, muore il 9 agosto 1936, è stato uno scrittore americano di misteries. È conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio del Professor Craig Kennedy, talvolta chiamato "Lo Sherlock Holmes americano"